Ho parlato della morte della mia cagnona, Sissi, successa il 19 ottobre.
Non ho ancora raccontato che l'ho fatta cremare, e mi sono riportata a casa le ceneri. Negli ultimi tempi ero venuta a conoscenza dell'esistenza di questi centri che effettuano questo servizio, per gli animali domestici. Avevo deciso che sarebbe stata la strada da seguire già mesi fa, quando Sissi stava ancora bene. Avevo già avuto un altro cane prima di lei, e purtroppo nel suo caso dopo che era mancato ne avevo lasciato le spoglie al veterinario perché se ne occupasse lui, ma questa cosa aveva continuato a rodermi dentro a lungo, mi sembrava di averlo abbandonato come se fosse stato un rifiuto. Chissà che fine aveva fatto, me lo ero chiesto più e più volte nel corso degli anni... Stavolta, avendone la possibilità, ho deciso di fare diversamente.
Da una parte, la cremazione degli animali domestici (cani, gatti, addirittura cavalli!) sicuramente è un business, ma è anche un modo per venire incontro a un'esigenza espressa da tanti proprietari di animali. Per quanto mi riguarda io mi sono trovata bene, ovviamente bene per quanto ci si possa trovare in un'esperienza del genere, che si vorrebbe pur sempre evitare.
Nel posto dove mi sono rivolta - vicinissimo a casa mia, fra l'altro - sono stati carini, delicati e comprensivi. Sono venuti a prendere il cane a casa e abbiamo fissato l'appuntamento per la cremazione già per il giorno dopo. Abbiamo potuto vedere Sissi ancora per 10-15 minuti, per le cosiddette "ultime coccole", e poi abbiamo aspettato in una saletta d'attesa, dove c'era un monitor, per l'ora e mezza che è stata necessaria. Ho seguito tutto, non mi sono risparmiata nulla. Anche questo penso mi sia servito per farmene una ragione, per capire che lei non c'era più. Al termine ho visto recuperare le ceneri, con una specie di bidone aspiratutto, e il loro deposito in una specie di tegame, che poi è stato raffreddato. In pochi minuti mi è stato consegnato un cofanetto contenente tutto ciò che restava di lei. Di oltre 30 chili di cane sono rimasti soltanto 1,2 kg di ceneri, fredde e spente. Oltre ovviamente al ricordo.
Ho messo nel cofanetto anche il suo collare con la sua medaglietta, e la sera l'ho poggiato sulla sua cuccia vuota ai piedi del mio letto: Sissi è tornata a casa e ha dormito nel suo solito posto.
Durante il weekend però, abbiamo tolto tutte le sue cucce e i suoi cuscini sparsi in giro per casa. Ho messo tutte le sue cose in uno scatolone e le ho portate in solaio; alcune, più vecchie, le ho buttate.
Il cofanetto l'ho lasciato nella mia stanza, che era poi anche la sua, in un posto ben visibile. Per adesso resta lì e vi rivolgo spesso lo sguardo e un saluto. Più avanti, quando magari il dolore sarà scemato un po', o comunque si sarà attutito, o quando magari girerà un altro peloso per casa, probabilmente lo sposterò in un posto più nascosto. Avevo anche pensato di seppellire una parte delle ceneri in giardino e di piantarvi sopra una pianta di rose, o qualcosa del genere. Vedrò.
Lande di carta
pensieri a caso, tra realtà e fantasia
lunedì 6 novembre 2017
giovedì 26 ottobre 2017
la perdita di un cane/1
E' già trascorsa una settimana da quando la mia cagnolona è mancata, ma ne scrivo qua soltanto adesso.
E' morta lo scorso giovedì, nel pomeriggio: ho dovuto farla addormentare perché malata. Ho aspettato egoisticamente forse troppo, avrei potuto risparmiarle una notte e una mattina di sofferenze finali. Ma lo stesso veterinario l'aveva vista mercoledì sera, e avevamo cominciato a parlare della "puntura", ipotizzandola per il venerdì. Stava male ma sembrava che potesse ancora tirare avanti dignitosamente sino ad allora.
Veder star male il tuo animale e non poter fare nulla per ridurre il suo patimento è una delle cose al mondo che ti fanno sentire più impotente. Prendere quell'ultima decisione è devastante, ma finisce per sembrarti l'ultimo atto possibile di misericordia e di amore nei suoi confronti. Non puoi più fare nient'altro di utile per lui/lei, non puoi più proteggerlo/a come hai sempre cercato di fare.
Purtroppo il giorno dopo - giovedì - Sissi era peggiorata tantissimo, respirava in maniera sempre più sforzata, con la lingua fuori, e cominciava ad avere forti difficoltà a tenersi sulle zampe. Era una pena vederla così. Ho chiamato il veterinario, ed è venuto nel pomeriggio. E' venuto a casa, e devo ringraziarlo per la sua infinita disponibilità (quel giorno non era nemmeno di turno lui, in clinica, ma è venuto lo stesso perché la stava seguendo). In certe situazioni vuol dire molto.
Non è stata necessaria la seconda puntura... la prima di metadone è stata sufficiente, e mentre il veterinario cercava di trovarle la vena per fare la seconda iniezione, con molta difficoltà vista la pressione stra-bassa, Sissi ha piantato un guaito straziante e il veterinario mi ha detto che stava morendo da sola. Si è interrotto, e l'ha auscultata. Ho intravisto ancora un paio di spasmi, di contrazioni, e il suo cuoricino ha smesso di battere. La sua battaglia è terminata verso le 15.30 del pomeriggio di giovedi 19.
Era cominciata circa un anno e mezzo fa, quando aveva sostenuto due operazioni per un tumore mammario, uno per ciascuna fila. Erano stati asportati perfettamente, e lei da allora si era ripresa benissimo. Fino a circa 10-12 giorni prima di andarsene era sempre stato il solito cane esuberante e testone, pronto ad abbaiare alle bici, alle moto, a chiedere l'elemosina per un biscottino o per quello che avevo nel piatto. Un cane felice e che apparentemente stava bene.
Ma evidentemente - e il veterinario me l'aveva già paventato allora - era tornato qualcosa a livello dei polmoni. Qualcosa che non si poteva più risolvere.
Così di botto, una decina di giorni prima, Sissi ha cominciato a non avere più fame, a non voler mangiare praticamente nulla, nemmeno i suoi cibi preferiti. Siamo andati avanti con pastiglie per circa una settimana, antibiotici, antinfiammatori, cortisone e gastroprotettore; mattino e sera. E non è facile far ingoiare le pastiglie a un cane di 30 chili che non vuole mangiare nulla. Sembrava che il cortisone sortisse qualche effetto, ma l'illusione è durata soltanto un paio di giorni, nei quali la cagnona ha avuto voglia di mangiare i rimasugli (puliti) del pollo allo spiedo, pezzi di toast, fette di bresaola e prosciutto... i suoi ultimi pasti "decenti", poi da lunedì la situazione si è avviata verso l'epilogo...
Sissi è morta all'età di 11 anni e poco più di 4 mesi (l'avevo presa quando aveva 3 mesi, quindi abbiamo passato insieme un pezzo di cammino, l'intera vita per lei, ma un periodo troppo breve per me...)
E' morta lo scorso giovedì, nel pomeriggio: ho dovuto farla addormentare perché malata. Ho aspettato egoisticamente forse troppo, avrei potuto risparmiarle una notte e una mattina di sofferenze finali. Ma lo stesso veterinario l'aveva vista mercoledì sera, e avevamo cominciato a parlare della "puntura", ipotizzandola per il venerdì. Stava male ma sembrava che potesse ancora tirare avanti dignitosamente sino ad allora.
Veder star male il tuo animale e non poter fare nulla per ridurre il suo patimento è una delle cose al mondo che ti fanno sentire più impotente. Prendere quell'ultima decisione è devastante, ma finisce per sembrarti l'ultimo atto possibile di misericordia e di amore nei suoi confronti. Non puoi più fare nient'altro di utile per lui/lei, non puoi più proteggerlo/a come hai sempre cercato di fare.
Purtroppo il giorno dopo - giovedì - Sissi era peggiorata tantissimo, respirava in maniera sempre più sforzata, con la lingua fuori, e cominciava ad avere forti difficoltà a tenersi sulle zampe. Era una pena vederla così. Ho chiamato il veterinario, ed è venuto nel pomeriggio. E' venuto a casa, e devo ringraziarlo per la sua infinita disponibilità (quel giorno non era nemmeno di turno lui, in clinica, ma è venuto lo stesso perché la stava seguendo). In certe situazioni vuol dire molto.
Non è stata necessaria la seconda puntura... la prima di metadone è stata sufficiente, e mentre il veterinario cercava di trovarle la vena per fare la seconda iniezione, con molta difficoltà vista la pressione stra-bassa, Sissi ha piantato un guaito straziante e il veterinario mi ha detto che stava morendo da sola. Si è interrotto, e l'ha auscultata. Ho intravisto ancora un paio di spasmi, di contrazioni, e il suo cuoricino ha smesso di battere. La sua battaglia è terminata verso le 15.30 del pomeriggio di giovedi 19.
Era cominciata circa un anno e mezzo fa, quando aveva sostenuto due operazioni per un tumore mammario, uno per ciascuna fila. Erano stati asportati perfettamente, e lei da allora si era ripresa benissimo. Fino a circa 10-12 giorni prima di andarsene era sempre stato il solito cane esuberante e testone, pronto ad abbaiare alle bici, alle moto, a chiedere l'elemosina per un biscottino o per quello che avevo nel piatto. Un cane felice e che apparentemente stava bene.
Ma evidentemente - e il veterinario me l'aveva già paventato allora - era tornato qualcosa a livello dei polmoni. Qualcosa che non si poteva più risolvere.
Così di botto, una decina di giorni prima, Sissi ha cominciato a non avere più fame, a non voler mangiare praticamente nulla, nemmeno i suoi cibi preferiti. Siamo andati avanti con pastiglie per circa una settimana, antibiotici, antinfiammatori, cortisone e gastroprotettore; mattino e sera. E non è facile far ingoiare le pastiglie a un cane di 30 chili che non vuole mangiare nulla. Sembrava che il cortisone sortisse qualche effetto, ma l'illusione è durata soltanto un paio di giorni, nei quali la cagnona ha avuto voglia di mangiare i rimasugli (puliti) del pollo allo spiedo, pezzi di toast, fette di bresaola e prosciutto... i suoi ultimi pasti "decenti", poi da lunedì la situazione si è avviata verso l'epilogo...
Sissi è morta all'età di 11 anni e poco più di 4 mesi (l'avevo presa quando aveva 3 mesi, quindi abbiamo passato insieme un pezzo di cammino, l'intera vita per lei, ma un periodo troppo breve per me...)
giovedì 19 ottobre 2017
mercoledì 11 ottobre 2017
essaouira, la cittadina ben disegnata
Il mio viaggio in Marocco insieme ad altre due amiche risale a diversi anni fa, quando non avevo ancora la macchina fotografica digitale (e infatti le foto che illustrano questo post sono state passate allo scanner, e per questo non sono di qualità eccelsa).
Avevamo scelto di fare il classico tour delle città imperiali, che ci impegnava per una settimana, al quale avevamo deciso di abbinare un'ulteriore settimana di relax, in una località di mare.
La scelta se la giocavano Agadir e Essaouira: la prima la conoscevamo soltanto di nome, e ci sembrava un posto un po' troppo frenetico e moderno in stile Rimini (non so se rendo l'idea), mentre la seconda non la conoscevamo ancora ma ci ispirava molto, dalle foto che ci avevano mostrato in agenzia di viaggio. E fu così che optammo per una settimana ad Essaouira.
Bella, bianca, affascinante, rilassata, affacciata coi suoi bastioni sull'oceano Atlantico, Essaouira possiede una lunga storia.
Nasce come scalo costiero già all'epoca dei Fenici, e in virtù della sua posizione privilegiata per i traffici marittimi anche i Romani vi faranno tappa. Nel XIV secolo la cittadina viene colonizzata dai portoghesi e prende il nome di Mogador. Questa fu forse l'epoca più fiorente per il commercio.
Successivamente si trasformò in una base navale grazie ai lavori portati avanti dal sultano dell'epoca, e affidati a Theodore Cornut, un allievo di Vauban, l'ingegnere militare del Re Sole. Con la costruzione di una cittadella fortificata per proteggere la cittadella commerciale, l'architetto francese diede a Essaouira l'aspetto tipico che oggi la caratterizza e che è all'origine del suo nome: "Al Souirah", cioè "la ben disegnata".
Il centro storico originale di Essaouira è protetto da dei bastioni immensi. Mi ha ricordato molto Saint-Malo, e non a caso.
La medina è caratterizzata da colori molto particolari, azzurro blu su fondo bianco. Quando si cammina sulle alte mura dei bastioni ci si ritrova in un altro mondo, lontano dalle atmosfere delle altre città marocchine che avevamo visto la settimana precedente.
Essaouira è anche un porto di pesca, al quale si accede dalla Porta della Marina, di fianco alla Skala del Porto. Si può mangiare il pescato direttamente sul posto, perché ci sono dei tavoli allestiti lì all’aperto...
Il monumento principale di Essaouira, destinato alla difesa della città, è la Skala de la Ville, il forte sul mare costruito sulla scogliera. Qui si possono ammirare cannoni allineati verso l'oceano e l'Ile de Mogador, che oggi ospita riserve ornitologiche. Il tempo sembra essersi fermato e sembra di tornare indietro nei secoli.
Ammirare il tramonto da qui è davvero uno spettacolo. Qui Orson Welles girò le sequenze iniziali del suo film "Otello" all'inizio degli anni Cinquanta. E qui sono state ambientate anche alcune scene della terza stagione di "Game of Thrones".
Al pianterreno di queste spettacolari batterie, delle cantine, che una volta erano usate per immagazzinare le munizioni, ospitano oggi innumerevoli botteghe di pittori, ebanisti, e atelier con vari oggetti artigianali.
Gli artisti europei e americani hanno un rapporto privilegiato con Essaouira.
Negli anni Sessanta del Novecento, la cittadina fu frequentata da hippy, fricchettoni e artisti vari: Jimi Hendrix visse in un villaggio poco distante per un breve periodo, e vi passarono anche i Rolling Stones, Leonard Cohen, Cat Stevens e Frank Zappa. Così, per dire.
Ma parliamo un attimo di un altro elemento fortemente caratterizzante di Essaouira. Il vento.
Non sto scherzando. Nonostante fossimo in pieno agosto, e intorno a noi ci fossero tutti i canonici 40° gradi che ti aspetti in Marocco in quel periodo, la spiaggia di Essaouira era battuta da venti sferzanti e gelidi. Ci siamo azzardate forse il primo giorno a bagnare un alluce nell'oceano, dopo di che ce ne siamo state belle rintanate intorno alla piscina del nostro riad e non ci abbiamo più riprovato. Peccato, perché la spiaggia è bellissima e molto estesa.
Si tratta dei venti alisei, che soffiano tutto l'anno, e che danno a Essaouira un clima unico. D'estate, durante il giorno, i venti rinfrescano l'aria e spariscono nei vicoli della vecchia città. Non per niente è stato coniato lo slogan "The windy city, Afrika", indirizzato al target degli appassionati di windsurf, che in effetti frequentano molto Essaouira per praticare il loro sport.
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venerdì 29 settembre 2017
il referendum della catalogna
Non sono mai stata a Barcellona, nè in Catalogna. In realtà non sono mai stata nemmeno in Spagna (è fra i pochi paesi europei che non ho mai visitato). Ammetto di non conoscere bene la storia passata e i rapporti fra Spagna e Catalogna nei secoli. Però quanto sta succedendo adesso mi colpisce.
Il 1 ottobre i catalani vorrebbero tenere un referendum per decidere della propria autonomia dalla Spagna. Ma la Spagna si sta comportando come ci aspetteremmo dalla Cina: ha dispiegato le forze dell'ordine (spagnole) e l'esercito per vietare la consultazione elettorale, ha interdetto i voli aerei privati su Barcellona, ha chiesto a Google di rimuovere dai risultati del motore di ricerca le informazioni per recarsi ai possibili seggi. Ha già effettuato arresti dei principali responsabili del referendum, sequestrato schede e seggi, e minacciato di pesanti pene chi parteciperà a un eventuale voto.
Certo: un paese nella propria Costituzione non prevede il suo smembramento, cerca di garantirne sempre l'indivisibilità territoriale. Dal punto di vista del diritto è chiaro che un referendum per l'indipendenza è anticostituzionale, va oltre la legge primaria di un paese e quindi è illegale, per definizione. I suoi effetti non sarebbero riconosciuti da quel paese in cui dovesse svolgersi.
Ma è giusto, moralmente, vietare a un'area di un paese, a larga parte dei suoi cittadini, di esprimere la propria volontà? E se davvero un'ampia maggioranza volesse staccarsi dalla Spagna, dalla giurisdizione di Madrid?
Potrebbero volerlo fare per le più svariate ragioni: economiche, storiche, politiche, culturali, linguistiche; ragioni giuste o sbagliate; motivazioni intelligenti o campate in aria, egoiste o lungimiranti. Ma perché i catalani non dovrebbero avere il diritto di scegliere per sé stessi? Perché non dovrebbero poter aver la possibilità di farselo, questo benedetto referendum?
Perché quando ci riferiamo ad altre nazioni negli altri continenti riteniamo che abbiano diritto all'autodeterminazione, ad affrancarsi dalle dittature coloniali, o da confini disegnati a tavolino da altri, mentre per la Catalogna questo non è possibile? E se domani un'altra regione di un qualsiasi altro paese europeo lo volesse fare? Perché la Scozia ha potuto almeno esprimersi con un voto, e la Catalogna no?
Si potrà obiettare che la Catalogna non è sotto dittatura, ma in democrazia (anche la Scozia lo era, se è per quello), anche se ciò che sta succedendo negli ultimi giorni non ha un'apparenza molto democratica.
lunedì 26 giugno 2017
il borgo medievale di torino
Lungo le sponde del Po a Torino, all'interno del Parco del Valentino, si trova il Borgo Medievale. Nonostante il suo nome, il borgo è un falso storico, dato che non ha nemmeno 150 anni.
Il Borgo Medievale nacque nel 1884 come sezione di arte antica della 3a Esposizione Generale Italiana: rassegna del sapere, dell'industria e dello sviluppo economico nazionale. Il progetto si inseriva nel filone delle iniziative pedagogiche delle grandi esposizioni universali. In particolare, a Torino si era pensato di realizzare qualcosa di simile a quanto fatto a Parigi alcuni anni prima, dove erano stati costruiti edifici tipici di ciascuno dei paesi presenti all'evento.
L'idea iniziale prevedeva quindi la costruzione di diversi corpi di fabbrica che mostrassero lo svolgimento delle arti figurative in Italia dal X al XVII secolo, in modo che i visitatori avessero un colpo d'occhio su tutti gli stili dominanti dal Medioevo in poi.
Ma il progetto venne giudicato troppo costoso, e così si concentrò soltanto su un secolo e su una sola regione: in particolare si diede corpo all'idea del vilaggio piemontese quattrocentesco, sormontato da una rocca.
Dietro la direzione degli architetti Vittorio Avondo e Alfredo d'Andrade, in circa 16 mesi gli edifici furono costruiti.
Nel villaggio ritroviamo la maestosa porta d'entrata, la palizzata, il fosso, il ponte e la cinta. All'interno si hanno l'albergo/ospedale dei pellegrini, il forno, la fontana, le case più o meno ricche, la torre signorile, i portici, le botteghe, i balconi, i ballatoi, il cortile, la chiesa, l'osteria, e infine la Rocca.
Il borgo è una sintesi perfetta di una grande quantità di studi e di ricerche condotti su numerosi edifici di epoca medievale in Piemonte e Valle d'Aosta. Ogni particolare degli edifici, degli arredi e degli oggetti in vendita nelle botteghe fu ricostruito sulla base di originali esistenti e documentati. D'Andrade effettuò un vastissimo lavoro di studio e rilievo del patrimonio, disegnando e fotografando edifici, decorazioni e arredi.
Così la torre di Oglianico e gli affreschi della porta di Malgrà vennero "fusi" nella torre di ingresso al Borgo. La casa che riproduce un'abitazione medievale di Bussoleno mostra su un lato un affresco di una casa di Lagnasco che venne distrutto all'inizio del secolo scorso. Le facciate delle chiese di Verzuolo e Ciriè si ritrovano sintetizzate nella piccola chiesa del Borgo.
Si individuano poi alcune differenze rispetto ai disegni originali nella casa di Pinerolo, nella torre di Avigliana, nelle case di Mondovì, Malgrà e Ozegna che si affacciano sulla piazza antistante la Rocca.
La fontana con l'albero di melograno antistante la Rocca riproduce fedelmente quella del castello valdostano di Issogne, mentre il cortile e lo scalone della Rocca stessa sono copie di quelli del castello di Fenis.
Ogni cosa in quest'insieme è un particolare vero, e uniti formano una raccolta di esempi tratti dai momenti più noti e meno noti del Piemonte, una colorata scenografia fatta di scorci prospettivi vari, ma sempre armonici fra loro.
Percorrendo il borgo, ora completato dai giardini e dall'orto, si vede ciò che avrebbe potuto vedere un uomo del Quattrocento.
Il Borgo e la Rocca sono espressioni della cultura ottocentesca delle grandi esposizioni universali, però non sono semplici copie, bensì adattamenti basati sia su uno studio dettagliato, ma anche su una profonda conoscenza di tecniche, forme, leggi strutturali e decorazioni del 15°esimo secolo piemontese.
Il successo del Borgo fu tale che, al termine dell'esposizione, la struttura non venne abbattuta (com'era invece nelle intenzioni originali). La Città di Torino acquistò l'opera e la affidò alla direzione dei musei civici, per trasformarla in museo e renderla ancora utilizzabile.
Un po' come è successo per la Tour Eiffel a Parigi, che ha finito per diventare il simbolo della città, qui a Torino il Borgo è stato risparmiato dalla distruzione, ed è diventato un patrimonio vivo, che i torinesi frequentano e a cui sono molto affezionati.
(Purtroppo sembra che l'attuale giunta civica voglia venderlo a privati, per recuperare soldi, ma questo è un altro discorso...)
Al Borgo si svolgono spesso eventi e attività, sia per bambini sia per adulti.
L'anno scorso addirittura, in un fine settimana, Sky ha usato il Borgo come location per lanciare la nuova stagione della serie televisiva del Trono di Spade. In quel weekend le viuzze si sono riempite di cosplay vestiti a tema, di cavalieri in armatura, di falconieri e di guerrieri con cani lupo al seguito: è stato un po' bizzarro, ma divertente.
martedì 30 maggio 2017
tappetini rinfrescanti per cani
Primi caldi, e i primi caldi sono quelli che si percepiscono con maggiore disagio. Non solo da parte nostra, ma anche da parte dei nostri animali domestici. Mi accorgo che ovviamente la mia cagnona patisce la temperatura che si è alzata.
L'anno scorso avevo visto per la prima volta, nei negozi di articoli per animali, dei tappetini refrigeranti, che in teoria dovrebbero fornire sollievo alle bestiole. Li avevo adocchiati, ma altrettanto velocemente erano andati a ruba e non ne avevo acquistati.
Adesso siamo ad inizio stagione, e ieri ho approfittato di uno sconto del 30% presso un negozio vicino a casa mia (della catena Fortesan), così ho comprato un tappetino, per la "modica" cifra di circa 20 euro. L'ho già provato, ma vi dico subito che non ne sono soddisfatta e molto probabilmente non lo farò usare alla mia cagnona.
Premetto che i vari tappetini refrigeranti in vendita presso le varie catene non sono tutti uguali. Faccio nomi e cognomi così se qualcuno di voi è interessato, si può regolare.
Quello che ho comprato io da Fortesan (visto lo sconto) è del marchio Aqua Cool Keeper. Funziona in base a un particolare materiale (l'HydroQuartz) contenuto all'interno, e va immerso in acqua per 15-20 minuti in modo da attivare il gel raffreddante.
Quando il tappetino si tira fuori dall'acqua ovviamente è bagnato, e bisogna stenderlo o distenderlo in modo che la superficie esterna si asciughi e si possa usare.
Il tappetino è fresco, ma di fatto l'umidità e il bagnato contenuti al suo interno si sentono, eccome se si sentono, anche dopo diverse ore "dall'asciugatura". Poggiarsi sopra al tappetino con gli HydroQuartz attivati dà la stessa sensazione di dormire su una superficie fredda e umida. Non è una bella sensazione, e soprattutto non è un toccasana per la salute, neanche del cane. Sulla scatola campeggia lo slogan "feels cool, dry and comfortable", ma obiettivamente non è vero.
A parte che il mio cane ieri non ha voluto provare il tappetino, ma comunque l'ho testato direttamente io. E' vero che rinfresca, ma non si resiste più di un minuto. Superato questo tempo credo che si vinca direttamente un biglietto omaggio per dei futuri (ma neanche tanto) reumatismi. Quindi, considerato che non li voglio nè per me né per la mia cagnona, credo proprio che questo tappetino refrigerante non verrà usato.
Quando tornerà a temperatura ambiente, spero fra qualche giorno, lo useremo come tappetino semplice senza refrigerazione, senza bagnarlo di nuovo nella vasca da bagno. In pratica soldi buttati.
Però, come dicevo sopra, esistono vari modelli. Per pura curiosità oggi sono passata in un negozio della catena Isola dei Tesori, vicino all'ufficio, dove commercializzano invece il marchio Trixie.
Il commesso mi ha mostrato il tappetino, e mi ha detto che non bisogna né bagnarlo nè metterlo preventivamente in frigo. Il tappeto è già pronto all'uso, e pronto ad assorbire, per contatto, il calore dell'animale. Se così fosse, in effetti, in questo caso non si ha la sensazione di essere sdraiati sull'umido.
Peccato aver visto questo modello soltanto dopo che avevo già comprato il primo tappetino. Non penso che me ne comprerò un secondo.
L'anno scorso avevo visto per la prima volta, nei negozi di articoli per animali, dei tappetini refrigeranti, che in teoria dovrebbero fornire sollievo alle bestiole. Li avevo adocchiati, ma altrettanto velocemente erano andati a ruba e non ne avevo acquistati.
Adesso siamo ad inizio stagione, e ieri ho approfittato di uno sconto del 30% presso un negozio vicino a casa mia (della catena Fortesan), così ho comprato un tappetino, per la "modica" cifra di circa 20 euro. L'ho già provato, ma vi dico subito che non ne sono soddisfatta e molto probabilmente non lo farò usare alla mia cagnona.
Premetto che i vari tappetini refrigeranti in vendita presso le varie catene non sono tutti uguali. Faccio nomi e cognomi così se qualcuno di voi è interessato, si può regolare.
Quello che ho comprato io da Fortesan (visto lo sconto) è del marchio Aqua Cool Keeper. Funziona in base a un particolare materiale (l'HydroQuartz) contenuto all'interno, e va immerso in acqua per 15-20 minuti in modo da attivare il gel raffreddante.
Quando il tappetino si tira fuori dall'acqua ovviamente è bagnato, e bisogna stenderlo o distenderlo in modo che la superficie esterna si asciughi e si possa usare.
Il tappetino è fresco, ma di fatto l'umidità e il bagnato contenuti al suo interno si sentono, eccome se si sentono, anche dopo diverse ore "dall'asciugatura". Poggiarsi sopra al tappetino con gli HydroQuartz attivati dà la stessa sensazione di dormire su una superficie fredda e umida. Non è una bella sensazione, e soprattutto non è un toccasana per la salute, neanche del cane. Sulla scatola campeggia lo slogan "feels cool, dry and comfortable", ma obiettivamente non è vero.
A parte che il mio cane ieri non ha voluto provare il tappetino, ma comunque l'ho testato direttamente io. E' vero che rinfresca, ma non si resiste più di un minuto. Superato questo tempo credo che si vinca direttamente un biglietto omaggio per dei futuri (ma neanche tanto) reumatismi. Quindi, considerato che non li voglio nè per me né per la mia cagnona, credo proprio che questo tappetino refrigerante non verrà usato.
Quando tornerà a temperatura ambiente, spero fra qualche giorno, lo useremo come tappetino semplice senza refrigerazione, senza bagnarlo di nuovo nella vasca da bagno. In pratica soldi buttati.
Però, come dicevo sopra, esistono vari modelli. Per pura curiosità oggi sono passata in un negozio della catena Isola dei Tesori, vicino all'ufficio, dove commercializzano invece il marchio Trixie.
Il commesso mi ha mostrato il tappetino, e mi ha detto che non bisogna né bagnarlo nè metterlo preventivamente in frigo. Il tappeto è già pronto all'uso, e pronto ad assorbire, per contatto, il calore dell'animale. Se così fosse, in effetti, in questo caso non si ha la sensazione di essere sdraiati sull'umido.
Peccato aver visto questo modello soltanto dopo che avevo già comprato il primo tappetino. Non penso che me ne comprerò un secondo.
sabato 22 aprile 2017
le spettacolari gorges du fier
In Alta Savoia, a un tiro di schioppo da Annecy, si trovano le pittoresche Gorges du Fier, un lungo canyon stretto e profondo scavato dall'erosione dovuta al passaggio continuo delle acque correnti del sottostante fiume Fier.
La visita si svolge su una passerella in legno lunga quasi 300 metri, fissata ovviamente alla parete rocciosa mediante una struttura portante in ferro, a circa 25 metri dalle acque minacciose del torrente.
Già dopo qualche passo dall'inizio del percorso ci si addentra nella stretta faglia delle Gole, dove, in caso di forti piogge, l'acqua può salire di 26 metri in poche ore. Dopo di che, la gola si restringe. Una volta verde attenua la luce, attraverso le fronde degli alberi che si trovano in cima, conferendo alle rocce aspetti imprevedibili, mentre in basso il Fier scorre silenzioso o con fragore attraverso cumuli di blocchi di roccia dalle forme più svariate. Alcuni fanno pensare a enormi fossili di animali preistorici. altri sembrano dei visi.
In caso di piene, il livello dell'acqua fa presto a salire. A sinistra del percorso c'è un punto dove si trova un pannello verticale (a mo' di termometro) che mostra il livello raggiunto dalle acque nel corso delle piene degli ultimi 100 anni.
In periodo di magra, la portata del Fier è di circa 3 mcubi/sec, ma durante le piene, la portata aumenta considerevolmente, da 30 a 500 mcub/sec.
In passato è successo alcune volte che le acque salissero addirittura sopra al livello della passerella stessa, e non di poco... Ho visto le foto recentissime della piena del maggio 2015, e vi assicuro che tutti i passaggi in legno sono stati completamente rifatti (era rimasto ben poco di integro).
Più avanti, si vede l'arcata di un ponte stradale, e poco oltre, quella di un ponte ferroviario. Dopo si lasciano le passerelle e, varcato un cancelletto in ferro, bastano pochi passi per accedere a un sentiero.
Sui pannelli informativi, si scopre una presentazione generale del sito e della sua geologia, spiegazioni su tutte le curiosità della visita. Il sentiero si prolunga per aprire la vista sulla Mer des Rochers, una sorta di labirinto di blocchi di roccia fra le cui incrinature scorre discreto il Fier, bagnando ogni canale. Dopo una pausa in questo labirinto, il fiume riprende il suo corso.
Per tornare indietro, si imboccano nuovamente le vertiginose passerelle. Dopo il tornello dell'uscita, in una stanza allestita, sono presentati (dal 1860 ad oggi) gli eventi che hanno segnato questa regione e le fotografie delle grandi piene, che hanno lasciato il segno in questo sito.
Nonostante la visita si svolga in assoluta sicurezza, devo confessare che la passerella (e soprattutto aver sbirciato "prima" della visita le fotografie della piena dell'anno precedente) mi ha generato un briciolo di timore, soprattutto perché in molti punti del percorso il legno era bagnato a causa della pioggia dei giorni precedenti, e questa cosa, unita all'altezza della passerella, mi ha suscitato un'irrazionale paura che il legno potesse essere marcio. Insomma, mi spiace un po' ma per questa mia piccola fobia non mi sono goduta la visita come avrei voluto. Mai sbirciare prima le foto che si sarebbero dovute vedere soltanto a fine giro.
Comunque tra i visitatori c'erano anche moltissimi bambini, e anche i pannelli didascalici nella parte finale del percorso erano mirati esplicitamente a un target infantile, segno che quindi il luogo è considerato sicuro e adatto anche a loro. Di più, ho addirittura visto alcuni visitatori col proprio cane al guinzaglio.
I gestori delle gole hanno saputo far leva sugli aspetti fiabeschi e magici del luogo per arricchire la visita, non soltanto dei bambini. Hanno predisposto pannelli che fanno notare ai visitatori i punti in cui le rocce, scolpite dall'erosione, assomigliano a volti o ad animali mitici come i draghi. Ad un'estremità del percorso, sul "Mer des roches" dove ci sono curiosità geologiche che assomigliano ad impronte, hanno rievocato le leggende dei cavalieri medievali e di un'infelice contessa che viveva nel vicino castello di Montrottier.
La leggenda
Secondo la leggenda, il conte di Montrottier nutriva dei sospetti sulla fedeltà di sua moglie, la contessa Diane. Incaricò quindi un giovanotto, un paggio, di sorvegliarla. Il ragazzo, innamorato segretamente della donna, si mise quindi a spiare ogni suo minimo gesto, e la sorprese in un abbraccio appassionato con il conte di Pontverre, il rivale del suo legittimo sposo.
L'amore che il paggio nutriva per la contessa si tramutò velocemente in odio, e per vendicarsi avvertì il conte di Montrottier, il quale organizzò una messinscena per sorprendere i due amanti. Smascherato e spaventato, il conte di Pontverre fuggì a cavallo. Il paggio, determinato a prenderlo, si attaccò alla coda del destriero per rallentarlo, ma il conte lo trascinò sino all'altezza del Fier e poi tagliò la coda al cavallo con un fendente di spada. Il ragazzo precipitò e sparì nel punto dove si formarono le Gorges. Da allora, gli abitanti del luogo a volte sentono dei gemiti lontani innalzarsi dalla gola. Alcuni dicono che si tratti dei lamenti del paggio che ricorda il suo amore perduto.
La visita si svolge su una passerella in legno lunga quasi 300 metri, fissata ovviamente alla parete rocciosa mediante una struttura portante in ferro, a circa 25 metri dalle acque minacciose del torrente.
Già dopo qualche passo dall'inizio del percorso ci si addentra nella stretta faglia delle Gole, dove, in caso di forti piogge, l'acqua può salire di 26 metri in poche ore. Dopo di che, la gola si restringe. Una volta verde attenua la luce, attraverso le fronde degli alberi che si trovano in cima, conferendo alle rocce aspetti imprevedibili, mentre in basso il Fier scorre silenzioso o con fragore attraverso cumuli di blocchi di roccia dalle forme più svariate. Alcuni fanno pensare a enormi fossili di animali preistorici. altri sembrano dei visi.
In caso di piene, il livello dell'acqua fa presto a salire. A sinistra del percorso c'è un punto dove si trova un pannello verticale (a mo' di termometro) che mostra il livello raggiunto dalle acque nel corso delle piene degli ultimi 100 anni.
In periodo di magra, la portata del Fier è di circa 3 mcubi/sec, ma durante le piene, la portata aumenta considerevolmente, da 30 a 500 mcub/sec.
In passato è successo alcune volte che le acque salissero addirittura sopra al livello della passerella stessa, e non di poco... Ho visto le foto recentissime della piena del maggio 2015, e vi assicuro che tutti i passaggi in legno sono stati completamente rifatti (era rimasto ben poco di integro).
Più avanti, si vede l'arcata di un ponte stradale, e poco oltre, quella di un ponte ferroviario. Dopo si lasciano le passerelle e, varcato un cancelletto in ferro, bastano pochi passi per accedere a un sentiero.
Sui pannelli informativi, si scopre una presentazione generale del sito e della sua geologia, spiegazioni su tutte le curiosità della visita. Il sentiero si prolunga per aprire la vista sulla Mer des Rochers, una sorta di labirinto di blocchi di roccia fra le cui incrinature scorre discreto il Fier, bagnando ogni canale. Dopo una pausa in questo labirinto, il fiume riprende il suo corso.
Per tornare indietro, si imboccano nuovamente le vertiginose passerelle. Dopo il tornello dell'uscita, in una stanza allestita, sono presentati (dal 1860 ad oggi) gli eventi che hanno segnato questa regione e le fotografie delle grandi piene, che hanno lasciato il segno in questo sito.
Nonostante la visita si svolga in assoluta sicurezza, devo confessare che la passerella (e soprattutto aver sbirciato "prima" della visita le fotografie della piena dell'anno precedente) mi ha generato un briciolo di timore, soprattutto perché in molti punti del percorso il legno era bagnato a causa della pioggia dei giorni precedenti, e questa cosa, unita all'altezza della passerella, mi ha suscitato un'irrazionale paura che il legno potesse essere marcio. Insomma, mi spiace un po' ma per questa mia piccola fobia non mi sono goduta la visita come avrei voluto. Mai sbirciare prima le foto che si sarebbero dovute vedere soltanto a fine giro.
Comunque tra i visitatori c'erano anche moltissimi bambini, e anche i pannelli didascalici nella parte finale del percorso erano mirati esplicitamente a un target infantile, segno che quindi il luogo è considerato sicuro e adatto anche a loro. Di più, ho addirittura visto alcuni visitatori col proprio cane al guinzaglio.
I gestori delle gole hanno saputo far leva sugli aspetti fiabeschi e magici del luogo per arricchire la visita, non soltanto dei bambini. Hanno predisposto pannelli che fanno notare ai visitatori i punti in cui le rocce, scolpite dall'erosione, assomigliano a volti o ad animali mitici come i draghi. Ad un'estremità del percorso, sul "Mer des roches" dove ci sono curiosità geologiche che assomigliano ad impronte, hanno rievocato le leggende dei cavalieri medievali e di un'infelice contessa che viveva nel vicino castello di Montrottier.
La leggenda
Secondo la leggenda, il conte di Montrottier nutriva dei sospetti sulla fedeltà di sua moglie, la contessa Diane. Incaricò quindi un giovanotto, un paggio, di sorvegliarla. Il ragazzo, innamorato segretamente della donna, si mise quindi a spiare ogni suo minimo gesto, e la sorprese in un abbraccio appassionato con il conte di Pontverre, il rivale del suo legittimo sposo.
L'amore che il paggio nutriva per la contessa si tramutò velocemente in odio, e per vendicarsi avvertì il conte di Montrottier, il quale organizzò una messinscena per sorprendere i due amanti. Smascherato e spaventato, il conte di Pontverre fuggì a cavallo. Il paggio, determinato a prenderlo, si attaccò alla coda del destriero per rallentarlo, ma il conte lo trascinò sino all'altezza del Fier e poi tagliò la coda al cavallo con un fendente di spada. Il ragazzo precipitò e sparì nel punto dove si formarono le Gorges. Da allora, gli abitanti del luogo a volte sentono dei gemiti lontani innalzarsi dalla gola. Alcuni dicono che si tratti dei lamenti del paggio che ricorda il suo amore perduto.
mercoledì 12 aprile 2017
vicious
Vicious è una serie comedy inglese composta da solo due brevissime stagioni (quattordici episodi in tutto), e non mi risulta che sia mai stata trasmessa in italiano.
Mi ci sono imbattuta per caso (la potete trovare anche su YouTube) e mi è piaciuta molto, proprio per il suo carattere dissacrante e poco politically correct, ma molto divertente.
I protagonisti sono Freddie e Stuart (interpretati da Ian McKellen e Derek Jacobi), due anziani gay impegnati da quasi cinquant'anni in un rapporto di amore/odio e visibilmente innamorati l'uno dell'altro, malgrado i diversi insulti che si scambiano ogni giorno.
Ogni episodio è impostato come se fosse una scena di teatro, e segue una struttura più o meno fissa, con varianti minime.
Se non sono impegnati a punzecchiarsi a vicenda, Freddie e Stuart passano le giornate a spettegolare insieme all'amica Violet (Frances De La Tour), sempre molto sfortunata in amore, e con il giovane vicino del piano di sopra Ash (Iwan Rheon, in un ruolo diversissimo dal Ramsay di Game of Thrones), trasferitosi lì da poco.
Altri personaggi che ogni tanto fanno la loro comparsa sono Mason, fratello di Freddie, e Penelope, una svagata vecchietta smemorata che spesso fraintende completamente ciò che la circonda.
Freddie e Stuart possiedono anche un vecchissimo cane, Balthazar, che (soprav)vive dormendo perennemente nella sua cuccia in cucina. Ogni tanto i due verificano che sia ancora vivo...
Tra gli argomenti ricorrenti c'è la carriera altalenante di Freddie, attore squattrinato costretto ad interpretare piccoli ruoli - che lui spaccia per grandi opportunità - in serie di successo (come Downton Abbey dove viene chiamato a ricoprire il ruolo di un vice-maggiordomo con una sola battuta).
Stuart invece faceva il barista e aveva conosciuto Freddie nel bar in cui lavorava. Ha un rapporto telefonico giornaliero con la madre, alla quale in cinquant'anni non ha mai confessato di avere una relazione con il suo coinquilino, temendo la sua reazione. Al termine della seconda stagione, Freddie e Stuart finalmente si sposano.
sabato 1 aprile 2017
visita alla mostra Titanic
Ho visitato Titanic. The artifact exhibition, la mostra sul Titanic attualmente in svolgimento a Torino, unica tappa italiana.
L'impressione nel complesso è stata positiva e toccante, ma non tutte le aspettative che nutrivo sono state soddisfatte, e adesso cercherò di spiegare il motivo, man mano che vi racconto la visita. Innanzitutto, avevo letto sul web recensioni di persone che avevano visitato l'esposizione altrove, a Las Vegas, Copenaghen, Bruxelles, etc, e avevano detto che il biglietto d'ingresso veniva accompagnato da un talloncino a mo' di carta d'imbarco, con un nominativo di uno dei veri passeggeri, e che a fine del percorso si sarebbe visto se questo nome era fra i sopravvissuti o fra i morti. Un semplice giochino a costo quasi zero, ma che aiutava il visitatore a immedesimarsi nei passeggeri del Titanic. A me qui a Torino non è stato dato nulla, e nemmeno alle altre persone entrate subito prima di me: prima delusione...
Subito dopo l'ingresso c'è poi la possibilità - se ho capito bene - di posare per la famosa foto in stile DiCaprio-Winslet sulla prua della nave, che si può scegliere di acquistare a fine percorso. Non ne sono certa perché non ho visto indicazioni scritte in corrispondenza di quel punto, e quando sono passata io i ragazzi dello staff stavano allegramente chiacchierando dei fatti loro e non ci hanno spiegato nulla, né tantomeno invitato a fare lo scatto.
Accanto ai ragazzi dello staff ho intravisto le audioguide, ma non ho capito se erano comprese o no nel biglietto, già salato di per sé (16 euro). Io in quel momento ero ancora perplessa per la mancanza della "carta d'imbarco", per cui ho proseguito senza audioguida, sperando che girando l'angolo mi avrebbero dato 'sto benedetto talloncino, cosa che però non è avvenuta.
Quindi, appena entrata, mi sono già imbattuta in un'imperdonabile mancanza di informazioni e di non corrispondenza a quanto mi aspettavo di trovare (la carta d'imbarco).
Nella prima saletta espositiva si tratta dell'utilizzo dei rivetti nella costruzione dello scafo. Non tutti furono montati con mezzi automatici, ma nei punti più difficili da raggiungere si fece ricorso all'intervento manuale di uomini e ragazzi. Questa osservazione sembra quasi voler implicare che il lavoro potesse non essere stato fatto bene, ma in realtà il Titanic andrò incontro al suo destino per tutta una serie di sfortune e coincidenze accumulatesi le une sulle altre... non penso che i rivetti da soli siano stati così determinanti.
Successivamente si vedono parte dei progetti e delle mappe dei ponti della grande nave e due modellini in scala, che riproducono con precisione il grande transatlantico.
In una saletta sulla sinistra (altra mancanza che ho notato sono le frecce che indicano il percorso di visita da seguire - per visitare questa saletta son dovuta tornare indietro ) ci sono le storie degli italiani del Titanic. A bordo del bastimento c'erano infatti 37 italiani, di cui soltanto 3 si salvarono. La maggior parte erano camerieri - moltissimi i piemontesi, liguri e lombardi - che erano stati assunti da Luigi Gatti, italiano emigrato in UK; non erano stati registrati come lavoratori sulla nave perché non c'era stato tempo, così Gatti, che non sopravvisse, diede una lettera con tutti i loro nomi a una passeggera che stava salendo su una scialuppa, affinché i loro parenti potessero essere informati della loro fine. C'è la copia de "La Stampa" del 18 aprile 1912, con un paginone contenente le prime notizie che erano arrivate.
Sui pannelli al muro ci sono le storie di molti dei passeggeri italiani, come quella di Sebastiano e Argese, marito e moglie da un paio di mesi e che stavano andando in America: lui non sopravvisse, lei era incinta e nel novembre diede alla luce una piccola che chiamò Maria Salvata. Storie così, come quella dei ragazzini e dei camerieri. Una fotografia che ritrae tutto lo staff dei camerieri insieme al loro coordinatore e al figlioletto di quest'ultimo, scattata al porto di Southampton prima di partire, e portata con sé a terra dal bambino che naturalmente scese prima che la nave salpasse.
Si ritorna nella sala precedente e ci si imbarca in senso figurato transitando su una piccola passerella, poi si passa attraverso quella che è la ricostruzione in scala reale del corridoio con le cabine di prima classe. Storie di persone comuni, ma anche di persone ricche e famose, perché il Titanic non risparmiò nessuno: fra le vittime ci furono milionari come Benjamin Guggenheim, John Jacob Astor IV, Isidor Straus (fondatore del grande magazzino Macy's). La moglie di quest'ultimo decise di condividerne il destino e di non salire sulla scialuppa di salvataggio per stare vicino al marito.
Le scialuppe furono uno dei grandi punti deboli del Titanic. Durante i lavori per la costruzione ne erano state previste 32, ma poi si decise di utilizzare lo spazio disponibile sul ponte in maniera diversa, e ne rimasero soltanto 16, più 4 pieghevoli di tela. A quell'epoca non esisteva una normativa che imponesse una dotazione sufficiente di scialuppe. Le 20 scialuppe esistenti avrebbero avuto una capienza di soltanto 1178 posti, ma in ogni modo le prime vennero calate in acqua con pochissime persone rispetto a quelle che sarebbero potute starci. Ad esempio nelle prime 7 c'erano soltanto 160 persone, su una disponibilità di spazio per 430. Questo anche perché il Titanic era ritenuto così "inaffondabile" che al principio le persone non capirono la gravità della situazione, e preferirono restare a bordo in attesa, piuttosto che sfidare il mare su delle fragili e insicure scialuppe, decisione che si rivelò poi sbagliata, come sappiamo.
Sono esposte diverse banconote recuperate nelle casseforti della nave. Prima del 1912 negli Stati Uniti la moneta veniva emessa sia dal governo federale sia da banche private, e sono stati recuperati esemplari di entrambe le tipologie.
Si arriva poi alla ricostruzione di una cabina di prima classe: ampia, spaziosa, con un lettone molto comodo. Nelle teche si vedono rubinetti, lavandini, tappi dei lavelli, e piastrelle dei bagni di bordo.
Nella sala successiva si possono vedere piatti, caraffe, tazze e posate dei diversi servizi disponibili a bordo, differenziati per le varie classi. Ad esempio c'è una coppa di cristallo con il logo White Star Lines usata in prima classe, e poi una caraffa più semplice in vetro usata nella terza classe.
E' sorprendente pensare che questi oggetti così fragili siano sopravvissuti al momento del naufragio rimanendo integri, e che poi abbiano trascorso decenni nelle profonde acque dell'oceano. A vedere alcuni di questi si direbbe che siano nuovi, invece su altri si nota bene la patina del tempo e degli avvenimenti. A parte il logo della White Star, la scritta Titanic non compariva mai su questi oggetti, e questo permetteva di poter riutilizzare le suppellettili su altre navi della compagnia, in caso di necessità. In altre teche ci sono piatti e ciotole a motivi floreali, non facenti parte dei servizi di bordo, ma probabilmente trasportati da qualche passeggero, dei pettini e delle ciotolette porta-cipria o porta-balsami.
Proseguiamo nella visita e arriviamo alle riproduzioni fotografiche della sala fumatori, destinata agli uomini della prima classe, e la sala di lettura, destinata alle donne sempre della prima classe. Si scende nella saletta in basso e, nonostante il dislivello sia naturalmente presente nello spazio espositivo della Palazzina della Promotrice, qui non è stata riprodotto il famoso scalone del Titanic. Ci sono soltanto una foto e due teche con un pezzo di un lampadario e una sputacchiera.
Se, come avevo letto, lo scalone era invece presente nelle mostre all'estero (su Google ne trovate anche diverse foto), non mi spiego perché qui a Torino non abbiano voluto riproporlo: penso che lo spazio ci fosse e comunque i progettisti del percorso potevano sicuramente inventarsi qualcosa. Invece niente, e questa è un'altra delusione.
Proseguiamo per un altro stretto spazio, ed ecco la riproduzione del corridoio di terza classe con una cabina. La sistemazione è spartana rispetto a quanto visto sino a qui, con due letti tipo a castello e una mensola, ma comunque sembrava confortevole. Nel corso della mia vita mi è capitato di dormire in ostelli che avevano un aspetto ben peggiore.
Il costo del biglietto per una cabina di prima classe era di 2500 $ (pari a circa 57.000 $ di oggi). Le due suites esistenti costavano addirittura 4500 $ (circa 103.000 $ odierni). Prezzi davvero da capogiro.
I servizi presenti per i passeggeri di seconda classe del Titanic erano comunque analoghi a quelli della prima classe di altre compagnie. Le cabine avevano mobilio in mogano, legno bianco smaltato e piastrelle in linoleum; fra i servizi c'erano l'ascensore, la sala lettura, la biblioteca e la possibilità di fare passeggiate sul ponte. La sala da pranzo di seconda classe aveva 394 posti, per cui si dovevano fare i turni.
Anche le cabine di terza classe erano relativamente care, se rapportate ai costi odierni. Il biglietto costava 40 $ (circa 900 $ ai prezzi odierni) e ci si poteva trovare a viaggiare con altri passeggeri sconosciuti, poiché nella cabina il posto era per quattro persone. Sul soffitto potevano trovarsi tubi e travi, e di sicuro si sentivano rumori e vibrazioni provenienti dalle sale macchine. Però lo standard della White Star Lines era comunque alto rispetto ad altre compagnie, e ad esempio anche in terza classe c'erano materassi veri, e non quelli di paglia. Le vasche da bagno erano soltanto due, per circa 700 passeggeri di terza classe, ma ai tempi erano sufficienti perché in genere si faceva il bagno una volta alla settimana.
Abbandoniamo lo sfarzo dei ponti superiori e nella sala successiva vediamo qual era l'anima della nave, la sala macchine con le fornaci per il carbone. Il Titanic aveva 159 caldaie/fornaci e consumava la quantità folle di 850 tonnellate di carbone al giorno, pari a circa 1,5 kg. di carbone per metro percorso. Considerando quant'era lunga la traversata dell'Atlantico, non riesco nemmeno a fare il conto... Vediamo le fotografie e i nomi di alcuni dei ragazzini che portavano il carbone (trimmers) e di alcuni fuochisti. Il loro lavoro doveva essere davvero infernale.
Passiamo poi in un corridoio dove veniamo allertati da vari messaggi di altri bastimenti che nel corso della giornata del 14 aprile 1912 segnalavano la presenza di banchi di ghiaccio nella zona. Pare che le vedette del Titanic non disponessero nemmeno dei binocoli, perché nella fretta non erano stati caricati a bordo. La temperatura, sia dell'acqua che dell'aria, verso sera era scesa di molto.
Nell'esposizione il momento dell'impatto laterale con l'iceberg è riprodotto solo da un filmato simulato, che mostra come, dei 15 compartimenti stagni trasversali, 6 siano stati aperti dallo squarcio di 91 metri derivante dall'impatto, e poco alla volta la nave si sia spezzata in due tronconi e sia affondata. Passando oltre, si può toccare con mano una parete di vero ghiaccio, che ci fa rendere conto del gelo di quei momenti. Buona parte delle persone non morirono infatti per annegamento, quanto per assideramento.
In sostanza la mostra non si focalizza particolarmente sul momento drammatico dell'affondamento, ma sugli oggetti ritrovati e recuperati, nonché sulle storie di molti passeggeri.
Nella penultima sala sono esposti oggetti recuperati nei bauli dei passeggeri, come ad esempio banconote, spartiti musicali, un flauto, colletti di camicie da uomo, bretelle, pantaloni, addirittura delle boccette di un fabbricante di profumi di Manchester che fu tra i superstiti: chissà quale fragranza contengono mai oggi!
Nell'ultima sala ci sono i pannelli con tutti quanti i nomi dei superstiti e delle vittime, divisi secondo le tre classi. Mi sono presa appunti, e questo è quanto riportano:
Prima classe: 200 salvi e 125 vittime
Seconda classe: 120 salvi e 160 vittime
Terza classe: 180 salvi e 530 vittime
equipaggo: 210 salvi e 690 vittime
I totali però non combaciano con quanto indicava un altro pannello nel corso dell'esposizione, che indicava 705 superstiti e 1523 vittime totali. Addirittura su Google ho trovato una foto di questo pannello (Memorial Wall) in una tappa estera della mostra e questi stessi numeri sono diversi, e non di poco. Com'è possibile? Questo è un altro motivo di lamentela sulla mostra, perché almeno le informazioni fornite sarebbero dovute essere precise, o perlomeno ri-controllate. Sui pannelli qualche errore c'è, non soltanto di grammatica, evidentemente. Nella sala dedicata al carbone un pannello è scritto soltanto in inglese e non in italiano. Più spesso ho notato l'inverso, vale a dire che non sempre c'era la traduzione in inglese.
E per finire c'è il bookshop, dove non ci sono molti articoli. Da una mostra che sta girando il mondo mi aspettavo un pochino più di scelta. Ci sono t-shirt a 15 euro con due soli soggetti, la planimetria dei ponti oppure la fantomatica carta d'imbarco che qui in mostra non ci hanno dato. Ci sono cuscini allo stesso prezzo, e con riprodotta la solita carta d'imbarco. Ci sono alcuni (pochi) libri a tema Titanic, e uno smilzo catalogo della mostra, di cui non c'è nemmeno scritto il prezzo. Poi ci sono alcuni magneti e portachiavi vari che costano decisamente troppo (dai 7 euro in su). L'unica cosa simpatica che ho visto è la riproduzione di uno dei portacreme/portaciprie che erano esposti.
Il relitto del Titanic è rimasto celato per ben 73 anni, a circa 2 miglia dalla superficie (quasi 4000 mt di profondità), a 400 atmosfere di pressione. E' collocato a 740 km a sud est di Terranova, con la poppa a circa 600 metri dalla prua. Nel 1985 ci fu la prima spedizione di recupero, seguita da molte altre nel corso degli anni. Gli oggetti recuperati erano rimasti per decenni in condizioni di poco ossigeno, nessuna luce, 4000 atmosfere. Sono stati stabilizzati dopo il recupero per evitare la loro degradazione: sono stati desalinizzati, asciugati, e sottoposti a protezione e manutenzione, ovviamente in funzione del determinato tipo di materiale di cui sono fatti. I reperti recuperati ad oggi sono circa 5500. Tutti gli oggetti esposti in questa mostra erano conservati in apposite teche vetrate, con particolari condizioni di umidità (circa 32%) e temperatura (circa 65° F)
Però per la nave, lo scafo che rimane in fondo all'oceano, non si può fare niente, perché viene costantemente erosa da batteri che si nutrono di ferro. Il relitto è ricoperto da rustiches, ghiaccioli di ruggine che sono habitat di batteri e funghi. Gli scienziati calcolano che fra 40-90 anni lo scafo crollerà su se stesso.
P.S. Lungo tutto il percorso espositivo vi è costante divieto di fare fotografie e/o filmati. Ovviamente tutti i visitatori avevano il telefonino e ho visto che praticamente quasi tutti ogni tanto "rubavano" qualche immagine. L'ho fatto anch'io, con risultati qualitativamente non eccelsi. Con un biglietto così caro trovo assurdo il divieto di foto non ad uso professionale.
L'impressione nel complesso è stata positiva e toccante, ma non tutte le aspettative che nutrivo sono state soddisfatte, e adesso cercherò di spiegare il motivo, man mano che vi racconto la visita. Innanzitutto, avevo letto sul web recensioni di persone che avevano visitato l'esposizione altrove, a Las Vegas, Copenaghen, Bruxelles, etc, e avevano detto che il biglietto d'ingresso veniva accompagnato da un talloncino a mo' di carta d'imbarco, con un nominativo di uno dei veri passeggeri, e che a fine del percorso si sarebbe visto se questo nome era fra i sopravvissuti o fra i morti. Un semplice giochino a costo quasi zero, ma che aiutava il visitatore a immedesimarsi nei passeggeri del Titanic. A me qui a Torino non è stato dato nulla, e nemmeno alle altre persone entrate subito prima di me: prima delusione...
Subito dopo l'ingresso c'è poi la possibilità - se ho capito bene - di posare per la famosa foto in stile DiCaprio-Winslet sulla prua della nave, che si può scegliere di acquistare a fine percorso. Non ne sono certa perché non ho visto indicazioni scritte in corrispondenza di quel punto, e quando sono passata io i ragazzi dello staff stavano allegramente chiacchierando dei fatti loro e non ci hanno spiegato nulla, né tantomeno invitato a fare lo scatto.
Accanto ai ragazzi dello staff ho intravisto le audioguide, ma non ho capito se erano comprese o no nel biglietto, già salato di per sé (16 euro). Io in quel momento ero ancora perplessa per la mancanza della "carta d'imbarco", per cui ho proseguito senza audioguida, sperando che girando l'angolo mi avrebbero dato 'sto benedetto talloncino, cosa che però non è avvenuta.
Quindi, appena entrata, mi sono già imbattuta in un'imperdonabile mancanza di informazioni e di non corrispondenza a quanto mi aspettavo di trovare (la carta d'imbarco).
Nella prima saletta espositiva si tratta dell'utilizzo dei rivetti nella costruzione dello scafo. Non tutti furono montati con mezzi automatici, ma nei punti più difficili da raggiungere si fece ricorso all'intervento manuale di uomini e ragazzi. Questa osservazione sembra quasi voler implicare che il lavoro potesse non essere stato fatto bene, ma in realtà il Titanic andrò incontro al suo destino per tutta una serie di sfortune e coincidenze accumulatesi le une sulle altre... non penso che i rivetti da soli siano stati così determinanti.
Successivamente si vedono parte dei progetti e delle mappe dei ponti della grande nave e due modellini in scala, che riproducono con precisione il grande transatlantico.
In una saletta sulla sinistra (altra mancanza che ho notato sono le frecce che indicano il percorso di visita da seguire - per visitare questa saletta son dovuta tornare indietro ) ci sono le storie degli italiani del Titanic. A bordo del bastimento c'erano infatti 37 italiani, di cui soltanto 3 si salvarono. La maggior parte erano camerieri - moltissimi i piemontesi, liguri e lombardi - che erano stati assunti da Luigi Gatti, italiano emigrato in UK; non erano stati registrati come lavoratori sulla nave perché non c'era stato tempo, così Gatti, che non sopravvisse, diede una lettera con tutti i loro nomi a una passeggera che stava salendo su una scialuppa, affinché i loro parenti potessero essere informati della loro fine. C'è la copia de "La Stampa" del 18 aprile 1912, con un paginone contenente le prime notizie che erano arrivate.
Sui pannelli al muro ci sono le storie di molti dei passeggeri italiani, come quella di Sebastiano e Argese, marito e moglie da un paio di mesi e che stavano andando in America: lui non sopravvisse, lei era incinta e nel novembre diede alla luce una piccola che chiamò Maria Salvata. Storie così, come quella dei ragazzini e dei camerieri. Una fotografia che ritrae tutto lo staff dei camerieri insieme al loro coordinatore e al figlioletto di quest'ultimo, scattata al porto di Southampton prima di partire, e portata con sé a terra dal bambino che naturalmente scese prima che la nave salpasse.
Si ritorna nella sala precedente e ci si imbarca in senso figurato transitando su una piccola passerella, poi si passa attraverso quella che è la ricostruzione in scala reale del corridoio con le cabine di prima classe. Storie di persone comuni, ma anche di persone ricche e famose, perché il Titanic non risparmiò nessuno: fra le vittime ci furono milionari come Benjamin Guggenheim, John Jacob Astor IV, Isidor Straus (fondatore del grande magazzino Macy's). La moglie di quest'ultimo decise di condividerne il destino e di non salire sulla scialuppa di salvataggio per stare vicino al marito.
Le scialuppe furono uno dei grandi punti deboli del Titanic. Durante i lavori per la costruzione ne erano state previste 32, ma poi si decise di utilizzare lo spazio disponibile sul ponte in maniera diversa, e ne rimasero soltanto 16, più 4 pieghevoli di tela. A quell'epoca non esisteva una normativa che imponesse una dotazione sufficiente di scialuppe. Le 20 scialuppe esistenti avrebbero avuto una capienza di soltanto 1178 posti, ma in ogni modo le prime vennero calate in acqua con pochissime persone rispetto a quelle che sarebbero potute starci. Ad esempio nelle prime 7 c'erano soltanto 160 persone, su una disponibilità di spazio per 430. Questo anche perché il Titanic era ritenuto così "inaffondabile" che al principio le persone non capirono la gravità della situazione, e preferirono restare a bordo in attesa, piuttosto che sfidare il mare su delle fragili e insicure scialuppe, decisione che si rivelò poi sbagliata, come sappiamo.
Sono esposte diverse banconote recuperate nelle casseforti della nave. Prima del 1912 negli Stati Uniti la moneta veniva emessa sia dal governo federale sia da banche private, e sono stati recuperati esemplari di entrambe le tipologie.
Si arriva poi alla ricostruzione di una cabina di prima classe: ampia, spaziosa, con un lettone molto comodo. Nelle teche si vedono rubinetti, lavandini, tappi dei lavelli, e piastrelle dei bagni di bordo.
Nella sala successiva si possono vedere piatti, caraffe, tazze e posate dei diversi servizi disponibili a bordo, differenziati per le varie classi. Ad esempio c'è una coppa di cristallo con il logo White Star Lines usata in prima classe, e poi una caraffa più semplice in vetro usata nella terza classe.
E' sorprendente pensare che questi oggetti così fragili siano sopravvissuti al momento del naufragio rimanendo integri, e che poi abbiano trascorso decenni nelle profonde acque dell'oceano. A vedere alcuni di questi si direbbe che siano nuovi, invece su altri si nota bene la patina del tempo e degli avvenimenti. A parte il logo della White Star, la scritta Titanic non compariva mai su questi oggetti, e questo permetteva di poter riutilizzare le suppellettili su altre navi della compagnia, in caso di necessità. In altre teche ci sono piatti e ciotole a motivi floreali, non facenti parte dei servizi di bordo, ma probabilmente trasportati da qualche passeggero, dei pettini e delle ciotolette porta-cipria o porta-balsami.
Il menu per la cena dell'ultima sera, nelle sale da pranzo delle diverse classi |
Proseguiamo nella visita e arriviamo alle riproduzioni fotografiche della sala fumatori, destinata agli uomini della prima classe, e la sala di lettura, destinata alle donne sempre della prima classe. Si scende nella saletta in basso e, nonostante il dislivello sia naturalmente presente nello spazio espositivo della Palazzina della Promotrice, qui non è stata riprodotto il famoso scalone del Titanic. Ci sono soltanto una foto e due teche con un pezzo di un lampadario e una sputacchiera.
Se, come avevo letto, lo scalone era invece presente nelle mostre all'estero (su Google ne trovate anche diverse foto), non mi spiego perché qui a Torino non abbiano voluto riproporlo: penso che lo spazio ci fosse e comunque i progettisti del percorso potevano sicuramente inventarsi qualcosa. Invece niente, e questa è un'altra delusione.
Proseguiamo per un altro stretto spazio, ed ecco la riproduzione del corridoio di terza classe con una cabina. La sistemazione è spartana rispetto a quanto visto sino a qui, con due letti tipo a castello e una mensola, ma comunque sembrava confortevole. Nel corso della mia vita mi è capitato di dormire in ostelli che avevano un aspetto ben peggiore.
Riproduzione della cabina di terza classe |
Il costo del biglietto per una cabina di prima classe era di 2500 $ (pari a circa 57.000 $ di oggi). Le due suites esistenti costavano addirittura 4500 $ (circa 103.000 $ odierni). Prezzi davvero da capogiro.
I servizi presenti per i passeggeri di seconda classe del Titanic erano comunque analoghi a quelli della prima classe di altre compagnie. Le cabine avevano mobilio in mogano, legno bianco smaltato e piastrelle in linoleum; fra i servizi c'erano l'ascensore, la sala lettura, la biblioteca e la possibilità di fare passeggiate sul ponte. La sala da pranzo di seconda classe aveva 394 posti, per cui si dovevano fare i turni.
Anche le cabine di terza classe erano relativamente care, se rapportate ai costi odierni. Il biglietto costava 40 $ (circa 900 $ ai prezzi odierni) e ci si poteva trovare a viaggiare con altri passeggeri sconosciuti, poiché nella cabina il posto era per quattro persone. Sul soffitto potevano trovarsi tubi e travi, e di sicuro si sentivano rumori e vibrazioni provenienti dalle sale macchine. Però lo standard della White Star Lines era comunque alto rispetto ad altre compagnie, e ad esempio anche in terza classe c'erano materassi veri, e non quelli di paglia. Le vasche da bagno erano soltanto due, per circa 700 passeggeri di terza classe, ma ai tempi erano sufficienti perché in genere si faceva il bagno una volta alla settimana.
Abbandoniamo lo sfarzo dei ponti superiori e nella sala successiva vediamo qual era l'anima della nave, la sala macchine con le fornaci per il carbone. Il Titanic aveva 159 caldaie/fornaci e consumava la quantità folle di 850 tonnellate di carbone al giorno, pari a circa 1,5 kg. di carbone per metro percorso. Considerando quant'era lunga la traversata dell'Atlantico, non riesco nemmeno a fare il conto... Vediamo le fotografie e i nomi di alcuni dei ragazzini che portavano il carbone (trimmers) e di alcuni fuochisti. Il loro lavoro doveva essere davvero infernale.
Dadi e bulloni delle gru che sostenevano le scialuppe |
Passiamo poi in un corridoio dove veniamo allertati da vari messaggi di altri bastimenti che nel corso della giornata del 14 aprile 1912 segnalavano la presenza di banchi di ghiaccio nella zona. Pare che le vedette del Titanic non disponessero nemmeno dei binocoli, perché nella fretta non erano stati caricati a bordo. La temperatura, sia dell'acqua che dell'aria, verso sera era scesa di molto.
Nell'esposizione il momento dell'impatto laterale con l'iceberg è riprodotto solo da un filmato simulato, che mostra come, dei 15 compartimenti stagni trasversali, 6 siano stati aperti dallo squarcio di 91 metri derivante dall'impatto, e poco alla volta la nave si sia spezzata in due tronconi e sia affondata. Passando oltre, si può toccare con mano una parete di vero ghiaccio, che ci fa rendere conto del gelo di quei momenti. Buona parte delle persone non morirono infatti per annegamento, quanto per assideramento.
In sostanza la mostra non si focalizza particolarmente sul momento drammatico dell'affondamento, ma sugli oggetti ritrovati e recuperati, nonché sulle storie di molti passeggeri.
Nella penultima sala sono esposti oggetti recuperati nei bauli dei passeggeri, come ad esempio banconote, spartiti musicali, un flauto, colletti di camicie da uomo, bretelle, pantaloni, addirittura delle boccette di un fabbricante di profumi di Manchester che fu tra i superstiti: chissà quale fragranza contengono mai oggi!
Foto tratta dalla pagina Facebook della mostra, raffigurante una parte delle panchine del ponte |
Prima classe: 200 salvi e 125 vittime
Seconda classe: 120 salvi e 160 vittime
Terza classe: 180 salvi e 530 vittime
equipaggo: 210 salvi e 690 vittime
I totali però non combaciano con quanto indicava un altro pannello nel corso dell'esposizione, che indicava 705 superstiti e 1523 vittime totali. Addirittura su Google ho trovato una foto di questo pannello (Memorial Wall) in una tappa estera della mostra e questi stessi numeri sono diversi, e non di poco. Com'è possibile? Questo è un altro motivo di lamentela sulla mostra, perché almeno le informazioni fornite sarebbero dovute essere precise, o perlomeno ri-controllate. Sui pannelli qualche errore c'è, non soltanto di grammatica, evidentemente. Nella sala dedicata al carbone un pannello è scritto soltanto in inglese e non in italiano. Più spesso ho notato l'inverso, vale a dire che non sempre c'era la traduzione in inglese.
Piatti disposti in fila, così come sono stati ritrovati in fondo al mare (erano probabilmente impilati in qualche credenza e sono rimasti così per decenni) |
E per finire c'è il bookshop, dove non ci sono molti articoli. Da una mostra che sta girando il mondo mi aspettavo un pochino più di scelta. Ci sono t-shirt a 15 euro con due soli soggetti, la planimetria dei ponti oppure la fantomatica carta d'imbarco che qui in mostra non ci hanno dato. Ci sono cuscini allo stesso prezzo, e con riprodotta la solita carta d'imbarco. Ci sono alcuni (pochi) libri a tema Titanic, e uno smilzo catalogo della mostra, di cui non c'è nemmeno scritto il prezzo. Poi ci sono alcuni magneti e portachiavi vari che costano decisamente troppo (dai 7 euro in su). L'unica cosa simpatica che ho visto è la riproduzione di uno dei portacreme/portaciprie che erano esposti.
Il relitto del Titanic è rimasto celato per ben 73 anni, a circa 2 miglia dalla superficie (quasi 4000 mt di profondità), a 400 atmosfere di pressione. E' collocato a 740 km a sud est di Terranova, con la poppa a circa 600 metri dalla prua. Nel 1985 ci fu la prima spedizione di recupero, seguita da molte altre nel corso degli anni. Gli oggetti recuperati erano rimasti per decenni in condizioni di poco ossigeno, nessuna luce, 4000 atmosfere. Sono stati stabilizzati dopo il recupero per evitare la loro degradazione: sono stati desalinizzati, asciugati, e sottoposti a protezione e manutenzione, ovviamente in funzione del determinato tipo di materiale di cui sono fatti. I reperti recuperati ad oggi sono circa 5500. Tutti gli oggetti esposti in questa mostra erano conservati in apposite teche vetrate, con particolari condizioni di umidità (circa 32%) e temperatura (circa 65° F)
Però per la nave, lo scafo che rimane in fondo all'oceano, non si può fare niente, perché viene costantemente erosa da batteri che si nutrono di ferro. Il relitto è ricoperto da rustiches, ghiaccioli di ruggine che sono habitat di batteri e funghi. Gli scienziati calcolano che fra 40-90 anni lo scafo crollerà su se stesso.
P.S. Lungo tutto il percorso espositivo vi è costante divieto di fare fotografie e/o filmati. Ovviamente tutti i visitatori avevano il telefonino e ho visto che praticamente quasi tutti ogni tanto "rubavano" qualche immagine. L'ho fatto anch'io, con risultati qualitativamente non eccelsi. Con un biglietto così caro trovo assurdo il divieto di foto non ad uso professionale.
mostra Titanic a Torino
Titanic. The artifact exhibition
Torino, Palazzina Promotrice delle Belle Arti
18 marzo 2017 -
In mostra pezzi autentici della nave, oggetti originali di proprietà dei passeggeri, la ricostruzione in scala reale di una cabina di prima classe e una di terza classe, il celebre ponte principale, reperti e filmati dell'epoca.
Oggi quegli oggetti compongono l'essenza di una mostra itinerante che ha commosso e continua a commuovere tutto il mondo. Uno straordinario successo che ha già affascinato oltre 25 milioni di visitatori e che per la primissima volta in assoluto arriva in Italia, con la produzione di Dimensione Eventi, su licenza Premier Exhibitions.
Si sentirà il rombo delle caldaie della nave e una parete reale di ghiaccio farà comprendere le condizioni di freddo delle prime ore del mattino del 15 aprile 1912. Le audioguide racconteranno la collisione con l'iceberg e l'affondamento della nave dei sogni. Il percorso museale terminerà con il Memorial Wall e l'elenco di tutti i passeggeri, tra dispersi e salvati, nel viaggio del Titanic.
In un post successivo vi racconto la mia visita. Sappiate che se cercate informazioni su Google relativamente alle precedenti tappe di questa mostra (ad esempio a Las Vegas, Copenaghen o Bruxelles) potrete vedere foto o sentir raccontare di parti della mostra che qui a Torino non sono state allestite. La versione torinese è molto più ridotta (nonostante il biglietto non lo sia).
martedì 28 marzo 2017
chenonceau: il castello delle dame
Le cittadine francesi disseminate lungo la Loira custodiscono alcuni castelli meravigliosi, che rappresentano la meta di numerosi itinerari turistici.
Le rive della Valle della Loira conobbero il loro periodo d'oro dal Quattrocento al Seicento, da Carlo VII che vi stabilì la capitale, a Luigi XIV che la riportò ai fasti di Parigi. In mezzo ci fu un periodo in cui i sovrani francesi, grandi signori e ministri costruirono e acquistarono molteplici castelli nell'area.
Fu un intendente delle Finanze del re Francesco I, Thomas Bohier, a far sorgere quell'autentico gioiello che è il castello di Chenonceau, affacciato sullo Cher come un diamante su uno specchio che lo riflette.
Lo chiamano "castello delle dame", un po' per la grazia femminile dell'insieme, ma soprattutto perché nella sua storia la presenza femminile rappresenta un filo rosso continuo.
Fu una giovane donna, la moglie di Bohier, a seguire con cura i lavori di costruzione - il cui gusto riflette l'ispirazione rinascimentale italiana del periodo - mentre il marito era impegnato nelle campagne in Italia.
Il castello venne poi regalato nel 1547 dal re Enrico II alla sua favorita, Diana di Poitiers, che lo arricchì di vigne, giardini e campi coltivati, e lo prolungò con un ponte a cavallo dello Cher per romperne l'isolamento.
Ma quando il re rimase ucciso durante un torneo nel 1559, la vedova Caterina de' Medici sottrasse il castello all'eterna rivale e lo riportò fra le proprietà della Corona, trasformandolo in sua residenza e organizzandovi sontuose feste. Caterina vi trascorse diverso tempo in qualità di reggente, e fece sormontare il ponte da una galleria che oggi costituisce uno degli ambienti più visitati del castello.
Nei decenni successivi Chenonceau passò a svariati figli reali legittimati.
Durante il Settecento, Louise Dupin tenne nel castello un salotto filosofico, a cui partecipavano personaggi come Montesquieu, Voltaire e Rousseau.
Oggi la tenuta è di proprietà della famiglia Menier, industriali francesi del cioccolato.
Alcune fotografie del castello e del parco di Chenonceau.
Oltre al delizioso castello, a Chenonceau c'è anche un vasto e curato parco di circa 70 ettari, nel quale si può passeggiare e trascorrere un po' di tempo in tranquillità.
Nella parte più vicina al fiume e alla costruzione principale, si ritrovano i due giardini alla francese voluti dalle due "rivali". A sinistra il giardino di Diana di Poitiers, su terrazze sopraelevate, con otto grandi triangoli di prato, aiuole e una fontana centrale. Sulla destra il giardino voluto da Caterina de' Medici, più piccolo e intimo, con cinque pannelli verdi raggruppati intorno a un bacino circolare, il tutto circondato da cespugli, rose e lavanda.
Oltre a questi, nel parco è presente una fattoria del XVI secolo con le scuderie, un orto accessibile al pubblico (dove vengono coltivati fiori, rose, verdure e frutta), delle serre, un ampio boschetto e un labirinto di piante di tasso.
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