Judith McNaught, Every breath you take, Ballantine Books, 2006
Gli
ingredienti dei libri della McNaught sono sempre gli stessi: lui ricco e
potente, lei giovane e tendenzialmente innocente, spesso c'è un cane
fra i comprimari, e poi - immancabile - c'è il grande fraintendimento,
un misunderstanding che tiene lontani i due protagonisti prima
di arrivare al lieto fine.
E anche stavolta è così, ma per amore dei
vecchi tempi (la McNaught è una fra le prime autrici romance che ho
letto da ragazzina) avrei anche potuto passarci sopra e dare un voto più
alto al libro, invece di attribuirgli tre stelline su cinque. Però non lo faccio, perché dopo una prima metà del libro
che ho trovato molto buona, la seconda metà mi ha delusa.
A partire dai
tempi della narrazione: la prima metà racconta lo svolgimento di due
soli giorni nella vicenda, la seconda invece mette l'acceleratore e
arriva quasi a tre anni dopo, in maniera poco armonica e sbilanciata.
Senza contare che il grande fraintendimento è davvero idiota e futile
(sarebbe bastata una telefonata per evitarlo: è impossibile pensare che
al giorno d'oggi, e anche nell'anno 2005 in cui è stato pubblicato il
libro, due che stanno insieme per due giorni non si scambino i
rispettivi numeri di cellulare) e trascinato troppo a lungo.
Sembra
quasi che le due metà della storia siano state scritte da due mani
diverse, o che la seconda metà sia stata scritta in maniera più sciolta
giusto perché c'era bisogno di finire il libro. E nemmeno la parte
thriller è ben amalgata col resto.
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