Oggi ci ricongiungiamo agli altri, naturalmente dopo un tragitto in cui: 1) prendiamo un traghetto, 2) da Hareid prendiamo un bus, 3) con questo bus saliamo su un traghetto per traversare un braccio di fiordo, 4) cambiamo il bus con un altro a Mauraid, 5) a Måløy prendiamo finalmente quello che dovrebbe essere l’ultimo bus... totale 3 traghetti + 2 bus... interessante, dato che guardando la timetable sembrava un percorso unico e diretto: maledette timetable norvegesi!
Comunque pare che in Norvegia ieri sia ricominciata la scuola, ed in effetti lo si vede dai passeggeri sul bus. In alcuni tratti sono saliti a bordo truppe di adolescenti assolutamente tutti biondi (ragazzi e ragazze, senza distinzione), in un altro breve tratto sono saliti diversi ragazzini (dalla fermata davanti a una ‘skole’ in mezzo alla campagna), anche loro con le medesime caratteristiche...
Ah già, a parte il discorso viaggio-spostamenti, bisogna dire che a Ǻlesund stamattina, prima di partire, il problema di Barbara con la carta di credito è stato rocambolescamente risolto: abbiamo avuto la fortuna di trovare un impiegato davvero gentile e disponibile. E dopo diverse telefonate fatte alla sua banca a Torino, Barbara ha riavuto la sua carta, gliel’hanno sbloccata e ha anche potuto prelevare: evviva!!!
Adesso mi godo il resto del viaggio fino ad Askvoll sulla nave dal poetico nome di Fjord Troll... a dopo... Volevo notare una cosa carina che avevo già visto all’andata: sulle navi veloci della Filkesbaatane c’è un sistema di segnalazione automatica ai passeggeri della rotta che si sta seguendo, in pratica un gps che viene mostrato ai passeggeri su dei simpatici monitor ultrapiatti (una roba che deve costare due soldi...). Nei punti in cui la nave attracca o si avvicina al molo, la visualizzazione viene zoomata, inoltre vengono mostrate altre utili informazionei come la velocità di crociera, il tempo e la distanza per il porto/fermata successiva, la stima dell’ora di arrivo, insomma una vera figata! Per la cronaca, si chiama Simrad Chart System.
Ma ora basta con le curiosità tecniche: siamo sbarcate ad Askvoll e i nostri amici ci sono venuti a prendere col furgoncino di Eivind, dove possiamo caricare gli zaini... Che bello rivedere i loro visi dopo tutti questi giorni, sono molto contenta che siamo di nuovo tutti insieme! Giulia mi spiega in un super concentrato quello che hanno fatto in questi giorni, dalle loro parole capisco che si sono divertiti molto tutti quanti e che l’esperienza è stata positiva...sigh sigh, un po’ mi dispiace di non averla potuta condividere con loro... però il non saper nuotare era davvero un handicap in questo caso. Wow che bello: al nostro arrivo sono anche accolta da Eivind e da un doppio bacio (uno di presentazione e uno perché gli dico che anche se non ho fatto kayak, adesso sono qui per vedere lui...), sono contenta di aver salutato gli altri, ma questo fuori programma mi è gradito! Se non fosse chiaro, Eivind ha il tipico aspetto norvegese, è alto, biondo, e con un fisico sportivo! Naturale che essere salutate con un bacio di benvenuto da questo bel vichingo rappresenti un avvenimento degno di essere segnato sul mini-diario della vacanza!
Sistemiamo i nostri bagagli nell’edificio/capanno, in una specie di solaio-deposito dove si trova già anche la roba degli altri, e veniamo informate sulla nostra collocazione per la notte (disponiamo di una tenda più piccola per 4 persone e di un tepee più grande dove ci stanno tutti gli altri).
La cena di questa sera è un’esperienza indimenticabile: durante la giornata di corso gli altri hanno conosciuto un certo Roy, che abita vicino Askvoll, di mestiere cuoco su una piattaforma petrolifera. Com’è e come non è... c’è stato un invito a cena a casa di questo norvegese e quindi eccoci qua. Conosciamo 3 delle sue figlie (Gry, Ida e Mona di 14, 12 e 6 anni) che vivono con lui (una quarta è con la ex-moglie)... non è per farci i fatti suoi, ma queste info vengono fuori perché all’ingresso c’è una targa in legno con tutti i loro nomi, e Roy ce ne dà un breve accenno. La sua casa è spettacolare, completamente integrata con il giardino e la natura circostante; gli interni sono molto ampi e tutto è in legno, c’è parquet dappertutto... sarebbe un sogno poter avere una casa così! Rimaniamo estasiati anche davanti al cibo che Roy ci ha preparato (Lorenzo naturalmente – in qualità di “cuoco” del gruppo – si documenta a dovere, e c’è uno scambio di know-how Norvegia –Italia): i gamberetti sono uno spettacolo per gli occhi, e anche per il palato; poi c’è salmone, aringhe con le bacche, una specie di polpetta bianca di pesce, impasto di uova e patate, un salume simile allo speck (che però mi sembra di aver capito da Eivind che sia fatto di carne di pecora... dubbio...). E’ stato molto simpatico avere la possibilità di mangiare a casa di una famiglia norvegese insieme a loro: peccato che in genere loro facciano cena verso le 5 (!) e stavolta abbiano dovuto attendere sin oltre le 8, che le due macchine (autisti Mac e Eivind) arrivassero... le ragazzine hanno dovuto aspettare a lungo. Dopo cena, mentre una prima auto è partita, abbiamo conversato piacevolmente con Gry e Ida: nonostante la giovane età Gry parla un buonissimo inglese, e ha sicuramente una fluency migliore della mia. In Norvegia i ragazzini imparano l’inglese sin dall’inizio della scuola (le nostre elementari) e sono esposti a film, canzoni etc... in inglese molto più di quanto lo siamo (o forse “eravamo”) noi in Italia (sicuramente rispetto a quando noi eravamo piccoli). Eivind ci ha poi spiegato che in Norvegia, grazie alla ricchezza di cui dispongono, è possibile mantenere linee di collegamento (bus, traghetti) per tutto l’anno, anche sulle tratte che d’inverno non sarebbero economicamente convenienti (perché non ci sono turisti). Questo consente ai norvegesi di poter vivere lontano dalle città, disseminati per le campagne e lungo i fiordi, nelle loro regioni di origine. In Svezia, ci ha detto, lo stato dà incentivi per acquistare le fattorie, i terreni per potervi piantare alberi, spingendo così la gente a stabilirsi nelle città. Stando così le cose, per la Norvegia non sarebbe assolutamente conveniente entrare nell’UE, poiché non potrebbe più mantenere l’attuale sistema di sovvenzioni statali alle infrastrutture. Adesso che ho visto la Norvegia e ci sto vivendo 2 settimane, mi trovo del tutto d’accordo con il loro non voler entrare a far parte dell’UE: fanno benone!
Rientrata al campo con Giulia e Eivind mi trovo ad avere un sottofondo sonoro tipo motosega in tenda: maledetto Lorenzo che sta ronfando senza un attimo di tregua! In tutta la notte riesco a prendere sonno forse per soli cinque minuti... aiuto! E poi fuori piove!
19 agosto
Stamattina dobbiamo lasciare Askvoll per recarci a Bergen. Il primo impatto con la giornata è la coda di circa mezzora per andare in bagno a lavarsi la faccia, nel campo. Poi bisogna re-impacchettare tutto, e questo è valido soprattutto per gli altri (io e Barbara – essendo arrivate ieri sera – non abbiamo smontato troppo i nostri zaini). Eivind arriva per accompagnare all’imbarco i nostri bagagli col furgoncino e poi c’è il momento dei saluti e dell’immancabile ultima foto di gruppo, naturalmente insieme a lui. Spiace anche a me andare via, perché mi rendo conto che ci stiamo avvicinando alla fine di questa meravigliosa vacanza... quindi figuriamoci per gli altri, che hanno potuto godere di una permanenza qui in Askvoll e dintorni per alcuni giorni. Ma bando alla tristezza...
Arriviamo a Bergen con l’ennesimo traghetto e ci accoglie la pioggia: Giulia aveva detto che Bergen è una fra le città più piovose in assoluto, e duole constatare che aveva ragione. In effetti qui hanno anche le cartoline raffiguranti persone con l’ombrello, sembra che 285 giorni all’anno di pioggia siano normale amministrazione. Ci dirigiamo prima alla Marken Gjestehus, dove io e Barbara abbiamo prenotato per due notti (il posto è carino, anche se come prima impressione sembra un po’ un labirinto) e poi passiamo allo YMCA dove gli altri hanno il posto per stanotte (mentre domani verranno anche tutti loro al Marken). Purtroppo per i nostri amici sembra che la sistemazione allo YMCA sia in un dormitorio enorme stile lager, non hanno l’espressione molto soddisfatta (tutt’altro!).
Lo stomaco chiama (è più o meno ora di pranzo) e andiamo a fare un giro al mercato del pesce (il famoso Torget), di cui abbiamo tanto sentito parlare... un po’ pericoloso girarci ora, in mezzo a tanti ombrelli e ai tizi delle bancarelle che smuovono l’acqua dai tendoni con un palo: il rischio maggiore è trovarsi sotto una cascata! Comunque il luogo ha un fascino tutto suo: sulle bancarelle prevale una tonalità rossa, data in parte dai tendoni soprastanti, e in parte dai pesci esposti (gamberetti e salmoni in primis, ma anche carne di balena, granchi, aringhe e tantissime altre specie di pesce). Dietro ai banconi si muovono ragazzi e ragazze con delle maxi-salopette di gomma e stivali anch’essi in gomma: le loro voci coprono diverse lingue, italiano, spagnolo, catalano, giapponese, etc.. sono studenti che lavorano qui nel mercato durante l’estate. I panini con gamberetti e salmone diventano il mio pranzo di oggi, insieme ai maxi-lamponi che acquisto in partnership con Giulia (un certo numero di banchetti vende infatti frutta, fiori, oppure maglioni tipici). Elisabet e Monica (le due spagnole conosciute a Ǻlesund) ci avevano consigliato di assaggiare la carne di balena, ma alla fine – dopo essere stata convinta da Mac- mi faccio prendere dagli scrupoli e non l’assaggio. La Norvegia, insieme al Giappone, resta l’unico paese al mondo ad esercitare la caccia alla balena. Negli altri paesi vendere questa carne è illegale... la mia piccola rinuncia ad appagare la curiosità sul gusto di questa carne è poca cosa, lo so, ma se tutti i turisti facessero così sarebbe almeno un primo passo. Comunque qualcuno degli altri l’assaggio lo fa.
Immancabilmente finiamo per perderci qualcuno (e meno male che ci diamo sempre dei meeting point!) Io mi trovo col gruppo che si reca a visitare il Museo Anseatico, che riproduce gli ambienti del 1600-1700 di una delle sedi dei mercanti della lega anseatica. La cosa che colpisce di più, entrando, è il forte odore di pesce, che nel corso di tanti anni ha finito per impregnare il legno. Inoltre ci sono mucchi di stoccafissi qua e là (nel locale a pianterreno), e molti altri appesi per aria tipo lampadario (anche nei locali al 1° e 2° piano): pittoresco! Interessante in questo museo è la possibilità che il visitatore ha di poter toccare i vari oggetti esposti (ci sono solo un paio di cose “sottovetro” più l’indicazione di non toccare i libri antichi)... strane filosofie di controllo e monitoraggio della fruizione museale, in Italia ci sarebbero sicuramente state guardie ciondolanti a ogni angolo... Ma per fortuna qui siamo in Norvegia!
Ci facciamo poi un giro nel Bryggen, che scopro con sorpresa non essere solo quattro case affacciate sul porto, ma un vero e proprio quartiere con stretti vicoli e passaggi in legno. Intanto ritroviamo gli altri e cominciamo a pensare a dove andare per cena... i locali consigliati dalla Lonely Planet no perché ci vanno tutti i turisti che la leggono, dice qualcuno... ma alla fine tutti i locali in cui entriamo sono citati dalla mia cara guida, niente da fare: la Lonely è troppo avanti! Finiamo a cena nel Louisiana Café (assolutamente NON tipico norvegese), dove – al momento di pagare il conto, qualcuno in contanti, qualcuno con carta di credito – facciamo allegramente sclerare un simpatico cameriere (che ci racconta che questo è il suo ultimo giorno di lavoro estivo, e poi riprenderà i corsi di giornalismo all’Università di Wolverhampton, Uk).
20 agosto
Secondo giorno a Bergen: naturalmente piove! Non so davvero in quale occasione abbiano scattato le fotografie delle cartoline e delle guide turistiche con il paesaggio soleggiato... mi rendo conto che sono qui da soli 2 giorni ma sto davvero vivendo in simbiosi con ombrello e giacca a vento... e poi la gente si lamenta delle isole britanniche, ma figuriamoci! Il posto dove piove sempre invece è proprio Bergen.
Stamattina un gruppo opta per la visita al museo della lebbra (unico al mondo), io vado con gli altri: ciondoliamo un po’ per le strade, il duomo, negozi vari (mi compro finalmente una felpa con la bandiera norvegese) e poi ci riuniamo alla stazione della funicolare di Fløibanen: sembra un po’ la dentiera di Superga... Il tragitto è abbastanza breve e raggiungiamo ben presto una sommità dalla quale si gode di un bellissimo panorama di tutta Bergen e dintorni (sarebbe bellissimo avere un grandangolare in quest’occasione).
Mac lancia l’idea di fare un giro nei boschi, ma visto il clima umido io non ne ho molta voglia, ci diamo quindi un’ora per incontrarci e faccio che proseguire il giretto da sola. Torno giù in città e vado a vedermi lo Schotsuene (sala delle riunioni e refettorio della Lega Anseatica) che è compreso nel biglietto del museo di ieri, poi proseguo sino alla Håkon Hall, ricosteggio di Bryggen e il mercato del pesce (dove mangio qualcosa), faccio un giro in un centro commerciale a 5 piani che si affaccia sulla via principale. Su questa via c’è molto movimento, ci sono soprattutto tantissimi giovani e diversi musicisti di strada: non sembra davvero Norvegia, quanto piuttosto un’animata città dell’Europa Continentale. Arrivo sino ad una chiesa in punta ad una breve scalinata e al museo di storia naturale dell’Università, dopo di che ritorno in ostello insieme agli altri.
Il dilemma ora è: andiamo al mercato a prendere del pesce da cucinare in ostello, oppure stasera mangiamo fuori? Anche Lorenzo adesso non ha più molta voglia di cucinare, e nessuno di noi avrebbe poi voglia di riordinare la cucina e lavare i piatti, per cui optiamo per un pub o un ristorante. Finiamo così al Dickens, nell’affollata via commerciale del giorno, che di sera accoglie i frequentatori di diversi locali. Dato che è l’ultima sera, decido di prendere qualcosa che sul menu è segnato come “Norwegian”, e mi arriva un piattone con 7-8 ciotolette di cozze, aringhe, salmone, cipolle, lonza, salamino, eccetera... invitante, anche se – come al solito – non riuscirò a finire tutto e mi farò aiutare... Facciamo un giretto post-cena e abbiamo nuovamente occasione di usare il cappuccio della giacca a vento. Prima di andare a dormire salutiamo Mac, che partirà domattina presto con un volo Lufthansa qui da Bergen.
21 agosto
Noi 12 invece voleremo RyanAir e partiremo da Haugesund, quindi stamattina lasciamo Bergen e ci imbarchiamo sulla nave veloce che in tre ore ci porterà ad Haugesund. Dopo aver percorso un tratto al riparo di isole, copriamo un pezzo di mare più esposto, e ci “godiamo” un mare forza 7, con la nave che sale e scende sulle onde, e l’acqua che bagna anche i nostri finestrini (nonostante ci troviamo sul deck a livello 2). Nonostante un briciolo di timore, è stata un’esperienza emozionante!
Comunque arriviamo sani e salvi e scopriamo che la cittadina di Haugesund è decisamente bellina; in più oggi c’è una festa per cui c’è un lungo tavolone in strada da cui ci si può servire liberamente di aringhe, patate e pane. Il tutto accompagnato da dixie music. Dato che le aringhe sono gratis ne approfittiamo (anche se sono alquanto salate) e risolviamo così la questione pranzo. Lungo il molo inoltre c’è una esibizione di mestieri artigianali (un po’ come nei nostri paesi) e diverse barche e velieri (tipo “vele d’epoca”) visitabili. Io e Giulia saliamo su un bellissimo veliero a due alberi (lungh. 38 metri fuori tutto, con l’albero di 24 metri) davvero affascinate. In tutte le cuccette c’è un lavandino; la dinette è enorme e con travature di legno massiccio a vista (sembra una taverna); la cucina è divisa in due sezioni e ci sono due lunghe mensole colme di libri.
Con qualche dubbio riusciamo comunque a prendere il bus che collega la città con il piccolo aeroporto. Aeroporto ancora più sgualfo di Caselle: solo 4 banchi totali per il check-in e una caffetteria neanche tanto ben fornita... comunque il decollo avviene su una pista abbastanza corta, e siamo subito sul mare e sulle isolette.
A Londra Stansted decidiamo di prendere uno dei pulmann per recarci in centro e fare un giro in un pub. Solo Giulia sceglie di restare da sola in aeroporto. Becchiamo subito il tizio che vende i biglietti per il bus ed è italiano, ci fa ‘vi faccio prendere questo delle 19:30, lo faccio partire qualche minuto in ritardo’, per dare modo a Massimo di andare a prelevare le sterline al bancomat dato che non accettano carta di credito. Peccato che questo tizio non sia l’autista, e anzi si metta a litigare con l’autista (inglese) che vuole partire in orario e gli sbraita dietro: “Don’t tell me to relax!”... tutto questo mentre noi dietro ci siamo seduti in attesa di Max, e quando vediamo che l’autista vuole partire facciamo per scendere... salvo vedere Max che arriva di corsa... insomma alla fine partiamo con quello delle 19:30 (diventate 19:40). Tempo un’oretta e un quarto siamo a Londra Victoria Station, noi con tutti i nostri zaini al seguito. Troviamo un pub in cui prendiamo una birra, ma la cucina è già chiusa (ah, le care vecchie usanze nordiche di chiudere la cucina a orari in cui nel Mediterraneo si comincia appena ad allestire la tavola...), per cui dobbiamo ripiegare su un Pizza Hut dall’incredibile odore di muffa (a causa di un qualche allagamento di cui dev’essere stato vittima il locale, boh?).
Il nostro primo bus per tornare in aeroporto è alle 3, per cui abbiamo diverse ore da passare qui in London Town (ben tre). Arriviamo sin davanti a Buckingham Palace, dove sostiamo per un po’ con armi e bagagli (e veniamo mandati via da due poliziotti). Passiamo nel St. James Park e arriviamo davanti al Big Ben e alla Westminster Abbey, dove ci piazziamo su alcune panchine. Tempo 10 minuti e arrivano anche qui due poliziotti i quali, molto cordialmente, ci domandano se siamo studenti o viaggiatori, se abbiamo un posto per la notte, etc.. insomma ci lasciano intendere che non dovremmo stare lì accampati, però lo fanno con una compostezza tutta britannica. Ci dirigiamo quindi verso la stazione dei coach (visto che l’altra – la Victoria Station principale - è già chiusa) dove – in perfetto stile barboni – ci spaparanziamo per terra con la testa sullo zaino e dormiamo sino alle 3, quando parte il bus. Ho ricordi vaghi ma sono cosciente di aver dormito anche sul bus e di essermi accorta quando il pulmann si è riavvicinato a Stansted. Ci siamo rispostati nel terminal e abbiamo trovato Giulia quasi subito. Lì abbiamo passato ancora un paio d’ore di sonno (io un po’ per terra e poi Giulia mi ha lasciato il suo posto sui divanetti) sino al check-in. Approfittato anche del volo per dormire... l’aereo è atterrato a Torino con 20 minuti di anticipo, ma questo margine ce lo siamo perso tutto nell’attesa dei bagagli, che sembravano non arrivare più...
Ah, per la cronaca, successivamente a questo viaggio mi è successo ancora una volta di dover passare la notte a dormire in aeroporto (guarda caso sempre a Stansted), ma la seconda esperienza è stata decisamente un incubo! Non ho letteralmente chiuso occhio neanche per mezzo minuto, e ho tuttora un terribile ricordo di quando la gente ha cominciato a mettersi in fila al mattino, quando hanno aperto i banchi per il check-in, e abbiamo dovuto alzarci per non essere calpestati. Mi sono ripromessa di non fare mai più una cosa del genere, non ho più l’età! :-)
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