
L'espediente narrativo scelto per trattare i vari aspetti della vita romana in età imperiale, all'epoca di Traiano, nel momento di massima espansione dell'impero stesso, è quello di seguire i vari passaggi di una moneta, per l'esattezza un sesterzio.
Questo sesterzio viene seguito dal momento in cui viene forgiato (con l'effigie stessa dell'imperatore su un verso, e con la commemorazione di una delle sue conquiste militari sull'altro), passando di mano in mano sino a quando termina il suo "primo" giro in una sepoltura, e ancora nuovamente quando, oltre 1800 anni dopo, viene ritrovato dagli archeologi e "rimesso in gioco" (se vogliamo usare questo termine).
In questo modo il nostro Alberto Angela spazia attraverso le varie province dell'Impero, da quelle più barbariche del centro-nord Europa, sino a quelle mediorientali, e giungendo addirittura in India, terra con cui si intrattenevano rapporti commerciali.
Lungo la strada scopriamo vari aspetti del costume, della tecnologia, della società e delle usanze romane, e ci rendiamo spesso conto - spinti anche dalle continue sottolineature al riguardo dell'autore - di quanto la civiltà imperiale romana fosse davvero molto simile alla nostra attuale. In realtà questo è anche un po' preoccupante come pensiero, perché se Roma nel 476 è caduta probabilmente non è stata solo colpa dei barbari... non nascondo che durante la lettura ho pensato spesso che magari anche la nostra società (dati tutti questi parallelismi) prima o poi conoscerà lo stesso destino...
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