martedì 26 marzo 2013

la barca sublime

La Barca Sublime
Reggia di Venaria Reale, Torino

Credo che non molti sappiano che a Torino c'è l'ultima imbarcazione veneziana originale del Settecento esistente al mondo. Si tratta della Peota Reale, o Bucintoro dei Savoia.

La storia - Il Bucintoro torinese è una sontuosa imbarcazione da parata per la navigazione fluviale ed ebbe una funzione fondamentale come strumento di comunicazione del potere regio, figurando come "palcoscenico" sulle acque nei momenti più rappresentativi del cerimoniale di corte. Definibile per tipologia come "Peota" (dalla particolare conformazione a scafo piatto per la navigazione in acque basse e ad unico ponte), fu ordinato nel 1729 da Vittorio Amedeo II di Savoia quale Reggia sull’acqua, un prestigioso simbolo "di moda" nelle corti dell’epoca (oltre ai Savoia, ne possedettero Francesco I Re di Francia, gli Estensi e i Gonzaga).
La Peota venne realizzata a Venezia negli "squeri", o cantieri navali, dove si costruivano e riparavano le barche di piccole dimensioni come le gondole e altri natanti tipici della tradizione navale veneziana (il Bucintoro dei Dogi veniva invece costruito nei cantieri dell’Arsenale della Serenissima). La barca torinese rimane oggi l’unico grande esempio dell’eccellenza dell’arte veneziana di epoca moderna per le barche da parata e per la loro decorazione scultorea e pittorica, dato che l’ultimo Bucintoro dei Dogi venne distrutto dal fuoco nel 1798.

La Peota dei Savoia è lunga quasi 16 metri e larga circa 2,60 con albero di 12,20 metri; il ricco progetto decorativo si deve al veneziano Matteo Calderoni e reca a prua un gruppo scultoreo intagliato e dorato raffigurante Narciso affiancato da sagome di vecchi barbuti simboleggianti i fiumi Adige e Po. A poppa vi è un altro gruppo dorato con due cavalli marini con al centro il timone a barra in forma di drago, mentre un fregio dorato in altorilievo corre lungo tutto il corpo dello scafo, con raffigurazioni di neredi, tritoni e divinità marine.
Il tiemo, cioè il padiglione coperto per gli ospiti, è lungo circa 5 metri, con tetto in legno sostenuto da 12 pilastrini che formano 9 finestre chiuse da cristallo e da scuri lignei decorati. È munita di panche destinate alla corte, ma in origine conteneva anche due piccoli troni, non più esistenti, e una tavola dorata per i sovrani.  Alle estremità del padiglione è presente lo stemma sabaudo tra due leoni e sorretto da cariatidi, i rilievi sono decorati con aquile, conchiglie e cartigli. Le fiancate sono dotate di otto scalmi, forcole, ai quali si aggiungono altri due di cui non c’è la sede.

Il Bucintoro sabaudo venne pagato dall’amministrazione piemontese oltre 34.000 lire del Piemonte, ovvero circa 3 milioni di euro attuali, una cifra altissima. Altri confronti significativi sul valore attribuito all’imbarcazione: la somma totale pagata equivaleva a 15 anni di stipendio assegnato al medico del Re, o addirittura a 100 anni di quello riconosciuto al grande ebanista di corte Pietro Piffetti.

La Peota dei Savoia giunse a Torino dopo un viaggio a traino animale sul Po di 32 giorni: il 4 settembre 1731 fu consegnata al concierge del Castello del Valentino, accompagnata da una gondola e da una burchiella, imbarcazione da carico che trasportava le decorazioni e l’armatura della barca smontate.
La Peota fu 'protagonista' del primo viaggio in Italia via fiume effettuato dal re nel 1734; delle celebrazioni torinesi del matrimonio tra Carlo Emanuele IV e Maria Clotilde di Borbone nel 1776 e dei matrimoni di Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide nel 1842 e di Amedeo d’Aosta con Maria dal Pozzo della Cisterna nel 1867.

Vittorio Emanuele II donò il Bucintoro alla città di Torino, che nel 1873 lo destinò al suo Museo Civico. La Peota lasciò quindi la sede della rimessa del Valentino sulla riva destra del Po, e giunse in seguito a Palazzo Madama dove rimase fino al 2000, quando venne trasferita al Laboratorio Nicola Restauri ad Aramengo d’Asti; nel settembre del 2011 arriva al Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale per essere sottoposta a complessi interventi di recupero, preliminari alla sua esposizione.

La mostra - Alla Reggia di Venaria la Peota viene esposta in una delle scuderie juvarriane, con un allestimento teatral-multimediale. L’idea portante è l’immersione della barca nell’architettura monumentale della scuderia, e la creazione di un autentico Teatro della Memoria barocco, spazio fisico, ma anche luogo dei sogni dove mettere in scena l’imbarcazione. Arie musicali settecentesche di Antonio Vivaldi, contemporanee alla Barca Sublime, e immagini avvolgenti e oniriche costituiscono lo spettacolo.

La visita (guidata) avviene a gruppi, e dura circa 40 minuti. All'inizio del giro ci sono due schermi che illustrano sinteticamente le operazioni di restauro (questa è una parte che invece mi sarebbe piaciuto fosse più ampia ed approfondita). Il percorso prosegue poi davanti a uno schermo che, tramite un sapiente morphing che gioca con gli effetti dell’acqua, porta dalla Venezia del Canaletto alla Torino dipinta da Bellotto, fino ad arrivare ai Murazzi contemporanei. Si passa poi nell'ambiente successivo, dove si guarda verso l'alto e si vede planare nell'acqua l'ombra della gondola come se si stesse camminando nella profondità del canale, e si arriva nel "teatro della memoria", un ambiente a metà fra un teatro settecentesco e la stiva di una nave. Qui ci sono proiezioni e voci di personaggi storici e di fantasia, collegati alla Peota, che narrano aneddoti sulla sua realizzazione. E infine si arriva sul "palcoscenico", nell'ambiente in fondo alla galleria dove è stata sistemata la Peota, su un "fiume" di specchi. Si può girare intorno al barcone e rimirarlo da ogni lato. Nel frattempo, sul soffitto vengono proiettati filmati con personaggi in costume del Settecento, come se fossero gli atti di una rappresentazione teatrale.
L'allestimento scenografico è alquanto suggestivo, ma per quanto mi riguarda ho trovato la "barca sublime" talmente affascinante che me ne sarei rimasta a contemplarla per ore anche senza le musiche e gli orpelli di sottofondo. Ad ogni buon conto le musiche (Vivaldi) sono pienamente adeguate e contribuiscono ad accrescere l'atmosfera. Invece le proiezioni sul soffitto non mi hanno fatta impazzire, le ho trovate un po' fuori contesto e credo che tendano a distogliere l'attenzione dall'oggetto magnifico che invece si staglia davanti agli occhi del visitatore, e che è il vero protagonista della sala.

La peota prima dei restauri

La peota trasportata su un tirLa peota spostata con la gru

lunedì 25 marzo 2013

gli abiti di capucci

Ho approfittato del sabato piovoso per andare alla Reggia di Venaria a visitare alcune mostre in corso, fra cui quella della Peota Reale (che ero curiosissima di vedere) e quella sulle creazioni di Capucci, appena cominciata.

Roberto Capucci. La ricerca della regalità
Reggia di Venaria Reale, Torino
(23 marzo 2013 - 8 settembre 2013 prorogata al 2 febbraio 2014)

Ho qualche difficoltà a definire Capucci uno stilista, perché i suoi non sono abiti normali, ma creazioni del tutto particolari. Un vestito serve a proteggere dal freddo, in origine, e successivamente ad indicare uno status, o a valorizzare la figura e la persona chi lo porta, uomo o donna che sia. In questo quindi un abito ha una funzione, primordiale oppure ornamentale, che comunque valorizza chi lo porta.

Ma gli abiti disegnati da Capucci vanno oltre, sono esagerati e, molto spesso, direi che sono quasi fini a se stessi, delle vere e proprie opere d'arte, delle sculture di stoffa che talvolta sfidano le leggi della fisica. Sono coloratissimi, sorprendenti e geniali, ti lasciano a bocca aperta e sono bellissimi. Ma sono molto difficili da portare, e secondo me alcuni modelli fagocitano addirittura chi li indossa.  Per questo non riesco a definire Capucci come uno stilista, ma oso indicarlo come un artista. Uno stilista si muove con un'ispirazione diversa, ma Capucci no, tant'è vero che - se ho capito bene - ormai da diversi anni non realizza più i propri lavori affinché questi siano indossati, ma proprio perché siano esposti nella sua Fondazione e nelle varie mostre che vengono organizzate in giro per il mondo.


La mostra alla Venaria espone una cinquantina di abiti, creati dagli anni Cinquanta ad oggi, insieme a diversi bozzetti, fotografie e filmati sulle celebrità che hanno indossato queste creazioni. La prima sala propone sette vestiti da sposa, realmente indossati da signore dell'alta società, tutti con strascichi lunghissimi ed esagerati (provate a guardare gli abiti da dietro, dal fondo dello strascico... Ce n'è uno in georgette per cui sono stati usati 120 metri di stoffa per la sua lavorazione! In fondo allo strascico di un abito addirittura si vedono ancora le macchie d'acqua nel quale probabilmente è passato... è difficile portare in tintoria questi capi).
In una sala successiva è esposto il vestito in velluto con cui Rita Levi Montalcini presenziò alla cerimonia con cui ricevette il premio Nobel nel 1986; a differenza di tutti gli altri, le linee di quest'abito risultano decisamente semplici e severe.
Più avanti ci sono altri "esperimenti" in stoffa: alcuni che ricalcano le linee architettoniche, tanto da ricordare delle vere e proprie colonne, doriche e corinzie; altri che si ispirano agli elementi della natura, come il vestito rosso che vuole raffigurare la fiamma, oppure quelli ispirati ai fiori e alle orchidee. Per ultimo, è esposto un vestito di scena usato da Maria Callas.

Ho trovato questa mostra molto interessante: un percorso di grande fascino che attraversa la seconda metà del Novecento sul tema della moda, ricostruendo l’itinerario creativo di uno dei maestri della moda mondiale.


giovedì 14 marzo 2013

habemus nuovo sfondo

Volevo apportare qualche leggero cambiamento, soprattutto al background... e per adesso ho scelto questo, un po' più floreale e primaverile. Però non sono convinta dell'effetto complessivo e degli abbinamenti di colore: quando avrò un attimo di tempo cercherò di migliorarlo.

lunedì 11 marzo 2013

calculated in death

Nell'Upper East Side di Manhattan una donna viene trovata morta in fondo alle scale, spogliata di tutti i suoi oggetti di valore. Eve Dallas capisce subito che non si tratta di una semplice rapina andata male.
La vittima, Marta Dickenson, è una contabile, un'amata moglie e madre, e non sembra il tipo da essere sulla lista nera di nessuno. Eve e Peabody trovano delle tracce di sangue anche dentro l'edificio, e Eve capisce che l'omicidio è stato il lavoro di un killer allenato, anche se non un vero e proprio professionista, nemmeno troppo intelligente da rimuovere tutte le prove.
Inoltre dalll'ufficio di Marta vengono rubati dei files, così Eve si trova a chiedere aiuto a Roarke per muoversi nel mondo del business, delle frodi e delle certificazioni aziendali. Ma ben presto Marta non è più l'unica vittima, perché anche altre pedine che erano coinvolte nelle frodi cominciano a cadere. Per acchiappare i colpevoli, Eve non esita a proporsi come esca, proprio durante la premiere del film realizzato sul caso Icove.

Dunque, al 37esimo libro di una serie non è che ci si aspettino grandissime novità, siamo sinceri, ma almeno qualcosa che tenga desta l'attenzione, un contentino per i fan fedeli che seguono da tempo la storia, bè questo sarebbe lecito aspettarselo...
Sono andata incredibilmente piano nella lettura, soprattutto nella prima metà, perché il libro non ingranava, almeno non con le mie marce. Più di una volta mi son trovata a pensare che forse non l'aveva neanche scritto la Robb - ho avuto 'sto pensiero - anche perché come farebbe 'sta donna a mantenere il ritmo dei libri che scrive facendoli uscire tutti col buco, boh? Comunque ero abbastanza delusa, avanzavo a fatica fra le pagine: i soliti giri, i litigi (infantili) di Eve con la macchinetta delle brioche e della Pepsi, gli ennesimi insulti con Summerset, e Roarke che entra in scena tardi, dopo pagina 80 o giù di lì...
La seconda parte del libro per fortuna è un po' più movimentata, recupera un po' e sono andata a passo più spedito. Il giudizio complessivo sul libro è risalito, però mi rendo conto che non c'è più la passione che ammantava la lettura dei primi libri. Sarà colpa mia? Magari mi sono un po' stufata e mi piacerebbe che nella serie avvenisse qualche scossone o, in mancanza, si andasse verso un epilogo degno delle aspettative di tutti i fan. Certo, leggerò ancora il prossimo libro che uscirà, e anche quello successivo, però se anche loro saranno (in parte) deludenti come questo, mi rendo conto che anche il mio affetto per questa serie ne risentirà...
Poi, non so se è soltanto una mia sensazione, ma trovo che ci siano meno accenni ad aggeggi o trovate futuristiche rispetto ai libri precedenti. Sarà che anche noi ci stiamo avvicinando al 2060 (!), ma ci sono meno aspetti che mi sorprendono e mi fanno pensare 'apperò!'

il re e l'architetto

Il Re e l'Architetto. Viaggio in una città perduta e ritrovata
Archivio di Stato, Torino
(8 marzo - 30 aprile 2013) prorogato al 2 giugno


La mostra si propone di offrire al visitatore di oggi un viaggio virtuale nella Torino di fine Settecento, alla ricerca di architetture pubbliche e private che evidenzino problemi di sviluppo urbanistico tipici delle capitali di Stati di età moderna (ad es. la magnificenza architettonica come immagine del potere), ma non dissimili da quelli di città minori.

Al di là delle grandi decisioni di organizzazione del territorio, si tratta di come progettare l’inserimento di nuovi edifici nel tessuto preesistente, di confrontare costi e benefici di diverse opzioni progettuali e di scegliere per la rinuncia al progetto o la sua realizzazione.

Il viaggio inizierà dalla Porta Susina, come quello dei visitatori del Grand Tour provenienti dalla Francia.
Toccherà poi varie tappe prima all’interno della città, a partire dalla casa-studio che si fece costruire in Torino il grande architetto Filippo Juvarra (demolita in periodo fascista), passando per i palazzi del potere comunale, statale e religioso, il ponte sul Po immortalato dal quadro di Bellotto (e conservato alla Galleria Sabauda), fino alle residenze extraurbane di Stupinigi, Venaria e Rivoli.

La mostra esporrà documenti progettuali antichi, iconografia d’epoca, disegni attuali di ricostruzione e di rilievo, modelli virtuali digitali e modelli tridimensionali in grande scala appositamente realizzati.

lunedì 4 marzo 2013

giorni grigi

Sono giorni un po' così.
Perché sono quattro mesi che non riceviamo lo stipendio pur lavorando.
Perché forse in settimana capiamo finalmente se arrivano i pagamenti delle vecchie fatture e se continueremo ad averlo, un lavoro.
Perché dai risultati delle elezioni politiche è venuto fuori un gran casino e il nostro paese non è che si trovi in una posizione tanto rosea, da permettersi di far cazzate.
Perché il grillo parlante non mi piaceva prima e mi piace ancor meno adesso, e finisce (quasi) per farmi rimpiangere l'altro pagliaccio - pensa te cosa mi trovo a scrivere!
Perché credevo di esser uscita indenne dall'inverno senza essermi buscata influenza e raffreddore, e invece ora son qui rauchissima e consumatrice di fazzoletti.
E perché stamattina la metropolitana si è nuovo guastata e ho dovuto farmi un'ora e mezza di bus pienissimo per arrivare in ufficio. E ritorniamo al primo punto...