martedì 30 agosto 2016

la festa della segale in valle gesso

Ogni anno, la prima domenica successiva al Ferragosto, a Sant'Anna di Valdieri (CN) si tiene la festa della segale. Il paesino si trova in Valle Gesso, una vallata incuneata all'estremo sud-ovest del Piemonte, fra il Cuneese e la Costa Azzurra. Il territorio è compreso nel Parco naturale delle Alpi Marittime, che oltre frontiera diventa il parco francese del Mercantour.

Nel corso dell'Ottocento queste zone affascinarono moltissimo il re Vittorio Emanuele I di Savoia, che le fece riserva reale di caccia, e vi costruì residenze per soggiorni più o meno prolungati. Anche i suoi successori frequentarono volentieri questi luoghi, e la loro presenza lasciò un'impronta profonda sul territorio e nella memoria popolare degli abitanti. Grazie alla presenza della riserva reale, fu garantita la sopravvivenza di camosci e di stambecchi, al pari di quanto successe nel parco del Gran Paradiso.

In passato in Valle Gesso si coltivava la segale, un cereale rustico e resistente al clima severo delle montagne, che era alla base di una vera e propria "civiltà della segale". Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, per la valle la segale significò non soltanto poter avere pane oppure paglia per gli animali, ma anche disporre di un ottimo materiale, isolante e resistente, per costruire i tetti. Quindi un elemento importantissimo e indispensabile sia per l'alimentazione, sia per l'uso comune nella vita quotidiana.
In mancanza d'altro, si cercava di sfruttare al meglio ciò che si aveva, e la segale era una delle cose più facilmente recuperabili.
Esiste un proverbio bretone che recita così: "faute de froment les alouettes font leur nid dans le seigle", vale a dire che in mancanza di grano le allodole fanno il loro nido nella segale, cioè si adattano come meglio possono.

In montagna la segale arrivava a maturazione solo a fine luglio, principio di agosto, e la battitura avveniva nei cortili, con la partecipazione dell'intera popolazione, accompagnata da una festa occitana con musiche e danze. Si trattava di un momento fondamentale, di forte aggregazione sociale, retaggio di antichi riti agresti di fertilità.

La festa della Segale vuole rievocare proprio quel momento di festa del passato. Gli eventi vanno avanti nell'intero fine settimana, anche se noi abbiamo assistito soltanto alle manifestazioni della domenica. Lungo una delle due vie principali del paese c'è un mercatino di prodotti enogastronomici e artigianali tipici del luogo, dove i prodotti da forno la fanno da padrone (e non soltanto quelli fatti con la farina di segale...), accanto a miele, aglio, lavande e peperoni. All'ingresso del paese i volontari in costume d'epoca mettono in scena la rievocazione della battitura della segale con un particolare attrezzo chiamato "cavalia", e mostrano ai visitatori come viene fatto il pane (che si può anche acquistare). Immancabile come in ogni sagra di paese è poi il pranzo organizzato dalla Pro Loco a base di polenta, salsiccia e un bicchiere di vino rosso.



Nel pomeriggio c'è una breve sfilata in costume d'epoca, con un carretto e tanti bambini che imbracciano fiori e fascine di segale. Nel corteo sfila anche uno strano personaggio con la faccia colorata di nero e un costume di corda di paglia, una coda e un cappellone di treccia di segale: si tratta della maschera dell’Orso di Segale, che lungo il percorso tenta di spaventare i bambini e importunare (bonariamente) le persone. Le origini di questa maschera carnevalesca si perdono nella notte dei tempi; probabilmente l'Orso era metafora della natura che si risvegliava in primavera, oppure era simbolo dell'uomo selvatico.



A fine pomeriggio, per chiudere la festa, si tiene un concerto di musiche occitane, accompagnato da balli. Quest'anno si è esibito il gruppo dei Lou Tapage, un gruppo folk rock che canta anche in occitano e francese. Me ne aveva già lungamente parlato un'amica che li conosce e li segue da tempo, e ho trovato la loro musica davvero travolgente.

domenica 14 agosto 2016

lady oscar, il film


Una serata estiva ha favorito il recupero (e la visione) di un altro vecchio film. Si tratta di Lady Oscar, il film (1978) nella versione con attori in carne e ossa, per la regia di Jacques Demy.
Specifichiamo subito che il film è antecedente rispetto all'anime - il cartone animato venne trasmesso per la prima volta in Giappone fra 1979 e 1980 - e quindi, nel bene e nel male, non può esservisi volutamente ispirato, nè viceversa, allontanatosi.

Ora, premetto che io sono cresciuta col cartone animato, già dai tempi della prima sigla cantata dai Cavalieri del Re, e non so nemmeno più io quante volte l'ho visto. Per me quel cartone è un mito. Detto ciò, per me come per chiunque altro della mia generazione, il film di Demy è francamente imbarazzante: manca del tutto di approfondimento dei personaggi, il casting è talvolta ridicolo, la storia è caotica.
Ho cercato però di giudicarlo tenendo presente che il film è uscito prima del cartone, e che si basa soltanto sul manga, non sul cartone. Anche in quel caso è però molto difficile averne una buona impressione. Più che una trasposizione, direi che il film è solo "ispirato" al manga.

Innanzitutto la protagonista, Caitriona MacColl, non è molto adatta al ruolo di Oscar. E' bassa, una specie di piccola bambolina anni luce distante dall'alto profilo androgino di Oscar. Nelle scene di combattimento e quando sale a cavallo è talvolta ridicola, sembra una ragazzina goffa. E la sua recitazione non è davvero migliore. Già questi aspetti tolgono molta credibilità all'intero film.

Con un'attrice così, ad esempio, il fatto che Fersen non si accorga da subito che si tratti di una donna, e che poi la scambi per una presunta cugina durante il ballo dove lei è vestita in abiti femminili, va davvero oltre la finzione scenica e sfiora proprio il ridicolo.



Nel film lo svolgimento temporale è scandito dagli anni mostrati in sovraimpressione. Ho trovato abbastanza forzato, cronologicamente, il fatto di aver collocato già al principio del film, nel 1775, una Maria Antonietta tutta presa dalla sua amicizia con Madame de Polignac e dalla sua relazione col conte di Fersen. In realtà era passata dal ruolo di Delfina a quello di Regina da pochissimo, ed è probabile che gli errori che avrebbe poi commesso non si fossero ancora presentati.

Rispetto al cartone e al manga, in questo film Maria Antonietta è ritratta davvero come un'oca senza preoccupazioni serie, il cui unico pensiero è divertirsi sempre e comunque, e passare tempo nel suo Trianon e a progettare il Petit Hameau. Anche la sua relazione con Fersen è presentata in maniera troppo aperta ed ostentata.

Il povero Girodelle, che chiede Oscar in moglie, viene dipinto come una specie di pervertito, ammiratore del marchese De Sade, quando invece sia nel manga che nell'anime sembra una persona per bene e sensibile.



E poi il finale è tirato via con l'accetta. Non soltanto è molto affrettato, ma modifica anche la storia originale.
Oltre al fatto che i cittadini che vanno all'assalto della Bastiglia sembrano tante comparse di un musical, più che dei rivoluzionari, non è accettabile che dopo che Andrè viene colpito dalla fucilata di un soldato, Oscar, ignara, vaghi a vuoto per le strade cercandolo e urlando il suo nome.
E il film si chiude così, con la Bastiglia che si arrende in neanche tre minuti (e non si capisce come mai) e Oscar che sopravvive!


Uno dei pochi aspetti positivi di questo film è che le riprese vennero davvero effettuate nei luoghi reali, vale a dire il castello e il parco di Versailles. Questa è davvero l'unica cosa che riesco a salvare.
Ah, un'altra chicca: Oscar bambina, nei primi minuti del film, è interpretata da una Patsy Kensit ragazzina.

Il film esiste in italiano in DVD, ma se, comprensibilmente, non volete investirci dei soldini, potete fare come me e guardarvelo su YouTube (io ne ho trovata una versione in inglese con sottotitoli in francese).

mercoledì 10 agosto 2016

attenti a quei due


Ho riempito queste ultime serate estive con un binge watching discretamente vintage. Mi è passata per le mani l'unica stagione di "Attenti a quei due" (The Persuaders) e non me la sono fatta sfuggire. Ero sicura di averne visto delle puntate sparse qua e là, nel corso della mia vita, ma ero sicurissima di non averla mai guardata per intero.

Il telefilm, una delle serie cult di tutti i tempi, di cui venne per l'appunto prodotta un'unica stagione di 24 puntate, fra 1970 e 1971 (in Italia venne trasmesso solo dal 1974) vede come protagonisti Roger Moore e Tony Curtis, nei rispettivi panni di Brett Sinclair, lord inglese, e di Danny Wilde, uomo d'affari americano nato nel Bronx.

Nel primo episodio i due, dopo essersi casualmente sfidati in una corsa automobilistica sulla Costa Azzurra, vengono ingaggiati (con una specie di ricatto) dall'ex giudice Fulton per un'indagine.
Per la cronaca, le automobili dei due sono una Aston Martin arancione-gialla DBS V8 per Brett Sinclair e una Ferrari Dino 246 GT, naturalmente rossa, per Danny Wilde.


A parte la prima, tutte le puntate successive non seguono alcun filo conduttore, e possono essere viste in qualsiasi ordine. E meno male, poiché l'ordine in cui sono disposti i miei episodi è differente rispetto a quello riportato da Wikipedia & co...

Una serie di enigmi gialli e intrighi internazionali scandisce le giornate di Brett e Danny, tra feste, belle donne, manieri di campagna e macchine fuoriserie. Il tutto sullo sfondo dei colori, dei tratti e del design della Swinging London, di inizio anni Settanta.

Le puntate si svolgono soprattutto in Inghilterra e sulla Riviera francese, con alcune incursioni in Spagna, Italia e Svezia.In numerosi episodi Danny viene scambiato per un'altra persona, e per questo motivo rapito o fatto oggetto di minacce. In altre puntate i guai maggiori li vive lord Sinclair, alle prese con una presunta moglie oppure con una serie di incidenti mortali nella propria famiglia.


Danny e Brett vengono coinvolti in situazioni pericolose ma sempre pervase di un sottile umorismo. Fra loro e il giudice Fulton si viene poi a creare un legame di amicizia. Proprio il rapporto fra Danny e Brett diventa uno degli aspetti più divertenti del telefilm. In pratica, i due rappresentano i due diversi stereotipi: quello raffinato inglese della vecchia Europa e quello rozzo e arricchito statunitense.

A tutti e due piace il lusso, ma lo intendono in maniera diversa, e la cosa è evidente, per esempio, paragonando l'abbigliamento sportivo ma chiassoso di Wilde, contrapposto alla ricercata eleganza di Lord Sinclair, i cui abiti di scena (foulard compresi) furono disegnati dallo stesso Roger Moore.



La serie non ha un episodio conclusivo vero e proprio. Nonostante il successo dell'epoca, non venne proseguita, forse anche perché Roger Moore avrebbe cominciato a vestire i panni di James Bond di lì a brevissimo.

Una curiosità: i capelli di Tony Curtis sono neri negli episodi che vennero girati per primi, mentre si ingrigiscono un sacco, fino a diventare quasi bianchi, nelle puntate finali. Considerando che le riprese debbono essere state fatte nell'arco di non più di un anno è davvero una trasformazione notevole...

Il motivo musicale della sigla d'apertura venne scritto da John Barry, autore delle musiche del film di 007, e all'epoca dell'uscita del telefilm ebbe molto successo.


sabato 6 agosto 2016

non è la fine del mondo

Alessia Gazzola, Non è la fine del mondo ovvero La tenace stagista ovvero Una favola d'oggi

Emma De Tessent. Eterna stagista, trentenne, carina, di buona famiglia, brillante negli studi, salda nei valori (quasi sempre).
Residenza: Roma. Per il momento – ma solo per il momento – insieme alla madre.
Sogni proibiti: il villino con il glicine dove si rifugia sempre quando si sente giù. Un uomo che probabilmente esiste solo nei romanzi regency di cui va matta.  Un contratto a tempo indeterminato. A salvarla dallo stereotipo della zitella, solo l’allergia ai gatti.
Il giorno in cui la società di produzione cinematografica per cui lavora non le rinnova il contratto, Emma si sente davvero come una delle eroine romantiche dei suoi romanzi: sola, a lottare contro la sorte avversa e la fine del mondo.
Avvilita e depressa, dopo molti colloqui fallimentari trova rifugio in un negozio di vestiti per bambini, dove finisce per essere presa come assistente. E così tutto cambia.
Ma proprio quando si convince che la tempesta si sia allontanata, il passato torna a bussare alla sua porta: il mondo del cinema rivuole lei, la tenace stagista.
Deve tornare a inseguire il suo sogno oppure restare dov’è, in quel piccolo paradiso di tulle e colori pastello? E perché il famoso scrittore che aveva a lungo cercato di convincere a cederle i diritti di trasposizione cinematografica per il suo romanzo si è infine deciso a farlo? E cosa vuole da lei quell’affascinante produttore che per qualche ragione continua a ronzare intorno al negozio dove lavora?

La trama del libro è tutta qua, e parte da una situazione comunissima al giorno d'oggi: un lavoro e un'esistenza precaria. Ma lungi dall'avere toni drammatici, i romanzi della Gazzola sono intelligenti, deliziosi e sbarazzini.
Dopo la serie dedicata ad Alice Allevi, questo è il primo "esperimento" con cui la Gazzola si cimenta con tematiche e un personaggio diversi, più vicine all'ironia e alla commedia - d'altronde aveva già espresso questo suo desiderio in un'intervista dell'anno scorso.

Emma mi è piaciuta, così come tutte le figure di contorno, delineate intorno a lei: sia il suo nucleo familiare, sia la signora del negozio di vestiti per bambini, Osvaldo incluso. Ben tratteggiati, con soave delicatezza.
Forse avrei preferito un finale più preciso e "concluso", ma facciamo finta che, anche se l'autrice non ce l'ha detto esplicitamente, ci sia una vera relazione a distanza tra Pietro ed Emma, che magari si potrà trasformare a breve in qualcosa di più "vicino". Sulla falsariga di un romanzo regency, ci immaginiamo che ci sia per forza un lieto fine classico.