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martedì 10 gennaio 2017

considerazioni sui saldi

Rieccoci al solito rito collettivo dei saldi. Quest'anno lo guardo in maniera abbastanza distaccata: non c'è niente di particolare che mi serva, e preferisco tenermi da parte i soldini vista l'imminente fine del mio contratto di lavoro.

In ogni caso, ho fatto comunque un veloce giro di ricognizione, giusto per vedere se m'imbattevo in qualcosa di interessante, o in qualche "offerta" imperdibile.

Una cosa che trovo ridicola è che, già dai primissimi giorni, le merci soggette a saldo siano una parte molto limitata dell'assortimento. Tu entri in un negozio di abbigliamento, e vedi soltanto qualche scaffale sormontato dai cartelli colorati "in saldo". Per la maggior parte del locale è invece tutto un fiorire di "nuova collezione" qui e "nuova collezione" là. Ovviamente quest'ultima non è soggetta a sconti, nonostante in genere si tratti sempre di roba invernale (in questo periodo).

Quest'anno, ad esempio, Mango mi ha particolarmente delusa. Nel corso degli ultimi saldi (quelli estivi) ricordo che tutto l'assortimento era proposto al 50% già dal principio delle promozioni. Stavolta invece qualcosina è al 50%, ma molto di più soltanto al 30% o al 20%. Ben di più non è nemmeno scontato.
Mi sono imbattuta nell'assurdità di un giaccone che avevo comprato scontato al 30% durante il Black Friday: sono passata a controllare se adesso veniva proposto a metà prezzo (per curiosità), ma invece ho visto che era scontato solo al 25%. In pratica ho pagato di meno questo capo a novembre,  quando era appena uscito, di quanto non lo pagherei oggi, in pieni saldi!

mercoledì 16 novembre 2016

tempo di addobbi

E' quasi tempo di Natale, e i negozi sono già tutti addobbati e decorati per le prossime festività, soprattutto quelli che vendono oggettistica a scopo di beneficenza, anche se spesso a prezzi da gioielleria...










lunedì 26 settembre 2016

i tacchi di kate

Ma ditemi come fa la duchessa di Cambridge a portare sempre dei vertiginosi tacchi a spillo durante le uscite pubbliche, e nel muoversi (apparentemente) in maniera agevole e senza difficoltà? Qui è durante la visita ufficiale in Canada di questi giorni, eppure ha dovuto scendere dalla scaletta metallica dell'idrovolante piena di buchini, e transitare su quella passerella che non mi dà l'idea di massima stabilità...

Qui scendendo di nuovo dalla scala - ben più lunga - dell'aereo di linea, ma addirittura con la principessina Charlotte in braccio e il principe George per mano dall'altra parte. Altro che le discese di Vanda Osiris...

E qui durante una visita di tutta la famigliola a un elicottero della Royal Air Force.

Chapeau. Io porto normalmente scarpe col tacco molto più basso, per una semplice questione di comodità e per non rovinarmi volontariamente i piedi.
Ma tanto di cappello a Kate, che riesce a muoversi su quei trampoli senza inciampare, e dando l'impressione di non star facendo alcuna fatica, in ogni condizione.



Non posso fare a meno di postare anche quest'ultima foto, vista l'eccezionalità delle scarpe che qui porta Kate. Si tratta di un bel paio di stivaloni col tacco basso. Per una volta :-)
Ma in questo caso si trattava di una visita ufficiale in India/Bhutan dell'aprile 2016, e i due principi stavano visitando dei posti in alta montagna. I tacchi sarebbero stati del tutto fuori contesto, nonché un biglietto sicuro per rompersi una gamba (o peggio).

mercoledì 7 settembre 2016

istantanee berlinesi


- cantieri dappertutto, cantieri infiniti;
- l'uso dei caratteri gotici sulle indicazioni stradali e toponomastiche;
- le sagome dell'omino rosso (fermo frontalmente) e di quello verde (di profilo, al passo) ai semafori;
- i tantissimi palazzi scuri di fuliggine;
- i semafori che danno il tempo di attraversare, se hai già impegnato il passaggio, anche se nel frattempo per te sono diventati rossi;
- i bus sempre in orario e molto frequenti, anche negli orari serali;
- i cortili interni delle birrerie;
- un italiano che sbuca fuori a consigliarti in quasi ogni momento;
- tanta gente con cani;
- i negozi di scarpe tedeschi mi piacciono più di quelli italiani;
- i prezzi di cibo & co. sono molto più bassi e convenienti di quanto mi aspettassi. E' tutto più conveniente che in Italia (e non credo dipenda soltanto dall'Iva al 19% invece che al 22%);
- la metro U e S ad accesso praticamente libero, senza tornelli né all'entrata né all'uscita;
- le macchinette automatiche per i biglietti del treno/metro soltanto in tedesco;
- la consapevolezza che il mio primo corso di tedesco (25 lezioni) non è assolutamente sufficiente;
- persone che camminavano scalze per strada;
- la meraviglia del parco di Sanssouci, ad accesso libero;
- il Berliner Weisse rosso e verde (con l'aggiunta di succo di lampone oppure di erba odorosa);
- le cartoline coi pezzi del Muro;
- il marciapiede con le stelle del cinema tedesco in Postdamer Strasse;
- i numerosissimi parchi e zone verdi;
- la presenza di vaste zone boscose e lacustri subito intorno alla città.


martedì 6 settembre 2016

sam heughan per barbour

Quest'oggi faccio un post che risulterà pubblicità bella e buona, macchisenefrega. Io tanto non ci guadagno niente (poi se la Barbour decidesse di regalarmi un giaccone, anche di una vecchia collezione, io non mi scanserei, eh...)



Da un paio di mesi Sam Heughan è diventato Global Brand Ambassador del marchio Barbour, storica ditta produttrice di giacconi comodi e impermeabili, resi lucidi dalla cera, nati per essere usati dagli agricoltori nella gelida brughiera inglese, oltre che da cacciatori e pescatori. In realtà negli ultimi decenni questi giacconi hanno avuto un successone soprattutto all'estero. Ne possiedo uno pure io, anche se, ehm... tarocco...



Il ruolo preciso di un Global Brand Ambassador non saprei definirlo, ma suppongo non sia troppo dissimile dall'essere un testimonial, riconosciuto a livello transnazionale.



Per chi stesse leggendo qua e non sapesse chi è Sam Heughan, provvedo subito ad illuminarlo. Sam è un attore scozzese, ed è anche il protagonista maschile della serie televisiva "Outlander", nella quale interpreta un laird scozzese del XVIII secolo.

Le sue fotografie per il Barbour fanno tanto "signore del castello", ma anche se Sam non indossa il kilt - come nel telefilm - l'atmosfera gli si confà benissimo. Aggiungiamoci anche la presenza di quel bellissimo labrador color cioccolata, e credo non sia necessario dilungarmi sul perché abbia pensato di dedicargli questo post :-D


C'è anche un filmato disponibile qua: https://youtu.be/F7e4V-170gU


martedì 30 agosto 2016

la festa della segale in valle gesso

Ogni anno, la prima domenica successiva al Ferragosto, a Sant'Anna di Valdieri (CN) si tiene la festa della segale. Il paesino si trova in Valle Gesso, una vallata incuneata all'estremo sud-ovest del Piemonte, fra il Cuneese e la Costa Azzurra. Il territorio è compreso nel Parco naturale delle Alpi Marittime, che oltre frontiera diventa il parco francese del Mercantour.

Nel corso dell'Ottocento queste zone affascinarono moltissimo il re Vittorio Emanuele I di Savoia, che le fece riserva reale di caccia, e vi costruì residenze per soggiorni più o meno prolungati. Anche i suoi successori frequentarono volentieri questi luoghi, e la loro presenza lasciò un'impronta profonda sul territorio e nella memoria popolare degli abitanti. Grazie alla presenza della riserva reale, fu garantita la sopravvivenza di camosci e di stambecchi, al pari di quanto successe nel parco del Gran Paradiso.

In passato in Valle Gesso si coltivava la segale, un cereale rustico e resistente al clima severo delle montagne, che era alla base di una vera e propria "civiltà della segale". Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, per la valle la segale significò non soltanto poter avere pane oppure paglia per gli animali, ma anche disporre di un ottimo materiale, isolante e resistente, per costruire i tetti. Quindi un elemento importantissimo e indispensabile sia per l'alimentazione, sia per l'uso comune nella vita quotidiana.
In mancanza d'altro, si cercava di sfruttare al meglio ciò che si aveva, e la segale era una delle cose più facilmente recuperabili.
Esiste un proverbio bretone che recita così: "faute de froment les alouettes font leur nid dans le seigle", vale a dire che in mancanza di grano le allodole fanno il loro nido nella segale, cioè si adattano come meglio possono.

In montagna la segale arrivava a maturazione solo a fine luglio, principio di agosto, e la battitura avveniva nei cortili, con la partecipazione dell'intera popolazione, accompagnata da una festa occitana con musiche e danze. Si trattava di un momento fondamentale, di forte aggregazione sociale, retaggio di antichi riti agresti di fertilità.

La festa della Segale vuole rievocare proprio quel momento di festa del passato. Gli eventi vanno avanti nell'intero fine settimana, anche se noi abbiamo assistito soltanto alle manifestazioni della domenica. Lungo una delle due vie principali del paese c'è un mercatino di prodotti enogastronomici e artigianali tipici del luogo, dove i prodotti da forno la fanno da padrone (e non soltanto quelli fatti con la farina di segale...), accanto a miele, aglio, lavande e peperoni. All'ingresso del paese i volontari in costume d'epoca mettono in scena la rievocazione della battitura della segale con un particolare attrezzo chiamato "cavalia", e mostrano ai visitatori come viene fatto il pane (che si può anche acquistare). Immancabile come in ogni sagra di paese è poi il pranzo organizzato dalla Pro Loco a base di polenta, salsiccia e un bicchiere di vino rosso.



Nel pomeriggio c'è una breve sfilata in costume d'epoca, con un carretto e tanti bambini che imbracciano fiori e fascine di segale. Nel corteo sfila anche uno strano personaggio con la faccia colorata di nero e un costume di corda di paglia, una coda e un cappellone di treccia di segale: si tratta della maschera dell’Orso di Segale, che lungo il percorso tenta di spaventare i bambini e importunare (bonariamente) le persone. Le origini di questa maschera carnevalesca si perdono nella notte dei tempi; probabilmente l'Orso era metafora della natura che si risvegliava in primavera, oppure era simbolo dell'uomo selvatico.



A fine pomeriggio, per chiudere la festa, si tiene un concerto di musiche occitane, accompagnato da balli. Quest'anno si è esibito il gruppo dei Lou Tapage, un gruppo folk rock che canta anche in occitano e francese. Me ne aveva già lungamente parlato un'amica che li conosce e li segue da tempo, e ho trovato la loro musica davvero travolgente.

mercoledì 10 agosto 2016

attenti a quei due


Ho riempito queste ultime serate estive con un binge watching discretamente vintage. Mi è passata per le mani l'unica stagione di "Attenti a quei due" (The Persuaders) e non me la sono fatta sfuggire. Ero sicura di averne visto delle puntate sparse qua e là, nel corso della mia vita, ma ero sicurissima di non averla mai guardata per intero.

Il telefilm, una delle serie cult di tutti i tempi, di cui venne per l'appunto prodotta un'unica stagione di 24 puntate, fra 1970 e 1971 (in Italia venne trasmesso solo dal 1974) vede come protagonisti Roger Moore e Tony Curtis, nei rispettivi panni di Brett Sinclair, lord inglese, e di Danny Wilde, uomo d'affari americano nato nel Bronx.

Nel primo episodio i due, dopo essersi casualmente sfidati in una corsa automobilistica sulla Costa Azzurra, vengono ingaggiati (con una specie di ricatto) dall'ex giudice Fulton per un'indagine.
Per la cronaca, le automobili dei due sono una Aston Martin arancione-gialla DBS V8 per Brett Sinclair e una Ferrari Dino 246 GT, naturalmente rossa, per Danny Wilde.


A parte la prima, tutte le puntate successive non seguono alcun filo conduttore, e possono essere viste in qualsiasi ordine. E meno male, poiché l'ordine in cui sono disposti i miei episodi è differente rispetto a quello riportato da Wikipedia & co...

Una serie di enigmi gialli e intrighi internazionali scandisce le giornate di Brett e Danny, tra feste, belle donne, manieri di campagna e macchine fuoriserie. Il tutto sullo sfondo dei colori, dei tratti e del design della Swinging London, di inizio anni Settanta.

Le puntate si svolgono soprattutto in Inghilterra e sulla Riviera francese, con alcune incursioni in Spagna, Italia e Svezia.In numerosi episodi Danny viene scambiato per un'altra persona, e per questo motivo rapito o fatto oggetto di minacce. In altre puntate i guai maggiori li vive lord Sinclair, alle prese con una presunta moglie oppure con una serie di incidenti mortali nella propria famiglia.


Danny e Brett vengono coinvolti in situazioni pericolose ma sempre pervase di un sottile umorismo. Fra loro e il giudice Fulton si viene poi a creare un legame di amicizia. Proprio il rapporto fra Danny e Brett diventa uno degli aspetti più divertenti del telefilm. In pratica, i due rappresentano i due diversi stereotipi: quello raffinato inglese della vecchia Europa e quello rozzo e arricchito statunitense.

A tutti e due piace il lusso, ma lo intendono in maniera diversa, e la cosa è evidente, per esempio, paragonando l'abbigliamento sportivo ma chiassoso di Wilde, contrapposto alla ricercata eleganza di Lord Sinclair, i cui abiti di scena (foulard compresi) furono disegnati dallo stesso Roger Moore.



La serie non ha un episodio conclusivo vero e proprio. Nonostante il successo dell'epoca, non venne proseguita, forse anche perché Roger Moore avrebbe cominciato a vestire i panni di James Bond di lì a brevissimo.

Una curiosità: i capelli di Tony Curtis sono neri negli episodi che vennero girati per primi, mentre si ingrigiscono un sacco, fino a diventare quasi bianchi, nelle puntate finali. Considerando che le riprese debbono essere state fatte nell'arco di non più di un anno è davvero una trasformazione notevole...

Il motivo musicale della sigla d'apertura venne scritto da John Barry, autore delle musiche del film di 007, e all'epoca dell'uscita del telefilm ebbe molto successo.


giovedì 10 marzo 2016

la santa degli zingari


C'è una cittadina della Camargue nella quale si respira un'atmosfera decisamente particolare, molto poco francese e invece tanto andalusa.
Si tratta di Saintes-Maries-de-la-Mer, dove ci si imbatte, invece che in lavanda e saponette, in trofei di teste di toro appese nei bar e pittoreschi stivaloni in cuoio esposti sulle bancarelle del mercato.
Il paese prende il nome dalla tradizione secondo cui Maria Jacoba, cugina della Madonna, e Maria Salomé giunsero su un'imbarcazione senza vela né timone (insieme ad altri personaggi illustri in fuga dalla Palestina, fra cui san Lazzaro, la Maria Maddalena, Santa Marta e San Giacomo) su una spiaggia nelle vicinanze.


Le due Marie in questione erano accompagnate dalla loro serva Sara, di pelle scura, e restarono a vivere nei pressi del luogo del loro sbarco. Da qui partì l'evangelizzazione della Gallia. Come potete notare, "Il codice da Vinci" riprende una leggenda ben nota: Dan Brown non ha inventato nulla di originale.

Il villaggio è conosciuto soprattutto per il pellegrinaggio degli zingari (les Gitans), che accorrono ogni anno da tutta Europa in occasione della festa di Santa Sara, la Santa degli zingari, che per l'appunto è la loro patrona.
I festeggiamenti si svolgono il 24 e il 25 maggio: durante il primo giorno la statua di Sara, coperta di gioielli e vestiti colorati, viene trasportata sin sulla spiaggia nel corso di una processione, per benedire le onde che la portarono sin lì. Gli zingari portano a spalle la loro santa e sono accompagnati dai Gardians camarguesi a cavallo. Il giorno successivo una seconda processione è invece dedicata alle due sante Marie, e termina sempre sulla spiaggia.


Le reliquie delle due Marie e di Sara sono conservate nell'Eglise des Saintes Maries, che si individua senza difficoltà perché la sua torre svetta massicciamente sui tetti rossi della cittadina. Anzi, la si vede già da distante, avvicinandosi al paese.
L'edificio è in pietra, in uno stile romanico senza fronzoli, tanto che più che una chiesa sembra quasi una fortezza (e in effetti è probabile che rivestì anche questo ruolo, perché quando venne costruita - intorno al IX secolo - i pirati saraceni imperversavano in queste zone, ed è quindi altamente probabile che la popolazione cercasse riparo nella chiesa durante le incursioni).


Il suo interno è sorprendente: totalmente in pietra, nudo e quasi grezzo, senza decorazioni, quasi una specie di cantina dalla volta altissima, dove forse in diversi punti le pietre avrebbero bisogno di qualche restauro. Quando ci ho messo piede ho immediatamente pensato che sarebbe stato un set perfetto per qualche scena di Pirati dei Caraibi...
Sotto l'altare è ben visibile una piccola scalinata, che porta alla piccola cripta sottostante. La cripta toglie davvero il respiro, in senso letterale: tanto è ampio e freddo l'interno di pietra della chiesa, tanto è ristretto, caldissimo e dalla volta bassa l'ambiente della cripta, pieno zeppo di candele accese e di persone che si recano a rendere omaggio alla santa.
Arrivando da fuori, per un attimo si fa davvero fatica ad abituarsi al caldo, poi tutto sommato si riesce a resistere il tempo di curiosare e fare qualche fotografia. Ciò che sorprende è la statua di Sara, letteralmente imbacuccata sotto strati e strati di vestiti coloratissimi, uno sull'altro, talmente spessi da nascondere la figura della statua stessa.

Noi abbiamo visitato la chiesa al principio di giugno, pochissimi giorni dopo lo svolgersi del pellegrinaggio degli zingari, e quindi nella cripta erano ancora freschi e ben presenti i ricordi della festa. Può darsi che in altri periodi dell'anno la statua sia meno ricca di decorazioni. In giro ci sono moltissimi ex-voto, fotografie e oggetti di chiara impronta gitana, lampade accese e violini appesi.
Risalendo gli scalini che portano alla navata superiore, si ritorna all'aria fresca e respirabile, e per un attimo si viene colpiti da una sensazione di quasi freddo, tanto dev'essere notevole l'escursione termica fra i due ambienti.

giovedì 25 febbraio 2016

il manneken pis


Di solito i simboli delle grandi capitali sono grandi monumenti, come la Tour Eiffel per Parigi e il Colosseo per Roma, ma nel caso di Bruxelles l'icona della città è rappresentata da una piccola statua.
Il Manneken Pis è una statuina in bronzo raffigurante un bambino che fa la pipì, collocata all'angolo fra due vie nel centro della città.


Non è ben chiaro come mai questa statua sia diventata il simbolo di Bruxelles, ma pare che i suoi abitanti la amino tantissimo.
Addirittura dal XVIII secolo (eh sì, perché la statuina attuale risale almeno al principio del 1600) hanno creato per il bimbetto desnudo i più svariati costumi (sono oltre 800), che ogni tanto gli vengono fatti indossare, in occasione di determinate ricorrenze, e che vengono esposti nel museo di storia cittadina.


Per i turisti è un must andare a vederlo, e fotografarlo, ma ci si accorge presto che questo bimbetto è davvero un prezzemolino.
A Bruxelles lo si trova in ogni dove, declinato in ogni forma possibile ed immaginabile di souvenir kitsch, cartoline, magliette, portachiavi, fantoccio all'entrata dei negozi e dei locali, sui manifesti pubblicitari e così via.


Fra i souvenir mi ricordo gli infiniti cavatappi a soggetto, e dato che sono una signora non mi dilungherò nello spiegarvi dove era collocata la vite per cavare il tappo...

Insomma, io non so voi, ma per quanto mi riguarda, superate le 24 ore di esposizione a questo tipo di souvenir io avevo finito per sviluppare quasi una sorta di insofferenza, perché questo bimbetto pisciarolo ti perseguita veramente dappertutto!


Eppure gli abitanti di Bruxelles devono pensarla diversamente perché esistono, sempre in zona centro, altre due statuine - molto più recenti - raffiguranti una bambina acciucciata per fare pipì, e un cagnolino che fa la pipì per strada.
Le predilezioni dei belgi danno da pensare :-)


mercoledì 24 febbraio 2016

una giornata petalosa

Quest'oggi i social italiani sono stati letteralmente invasi dalla petalosità di una nuova parola. Quando ho acceso il computer verso le 8:30 ho casualmente notato che un'amica aveva messo il "mi piace" su Facebook a un post fotografico, che commentava un quadro e faceva uso di questa parola. L'ho notato, ma non ci ho fatto caso più di tanto. Ma quando dopo mezzora sono incappata in un altro post, di tutt'altra tipologia, e stavolta corredato da fotografie della lettera, ho capito che non ce ne saremmo più liberati, almeno per un po'. E sono stata al gioco.

La storia è presto raccontata, così come ce l'hanno proposta. Qualche settimana fa, un alunno di una scuola elementare in provincia di Ferrara, durante un compito ha scritto di un fiore che era "petaloso". La maestra gliel'ha giustamente indicato come errore, perché la parola non esiste, ma gli ha detto che comunque si trattava di un "errore bello", e ha suggerito al bambino di inviare la segnalazione all'Accademia della Crusca.

Pare che il bambino l'abbia fatto, e che l'Accademia gli abbia risposto, evidenziando come la parola sia in potenziale ben formata, ma che, affinché possa essere inserita in un dizionario, debba entrare in circolo ed essere usata dalle persone.

La storia è arrivata a un pubblico più ampio e oggi - apriti cielo! - credo che "petaloso" sia stata la parola più utilizzata sui social, postatissima su Facebook nonché su Twitter, dove già in mattinata l'hashtag corrispondente era già fra i più ricorrenti in Italia. Istituzioni ed enti fra i più insospettabili l'hanno usata.

E anche l'Accademia della Crusca ha monitorato l'hashtag, perlomeno su Twitter. Mi sono scompisciata dal ridere nel vedere il reply che hanno fatto al tweet della Ladurée chiedendo una cassa di macarons.
L'ironia oggi non gli è mancata.


Non sono mancate le voci di dissenso, o di chi era infastidito da tutto 'sto baillamme social.
Io l'ho trovata una cosa simpatica. La storia, per quanto sia vera oppure inventata, mi è parsa dolce e carina. Senza dubbio trovo più pregnante una parola nata in questa maniera, rispetto a tante inventate da giornalisti che decidono di usarle nei loro articoli (e che soltanto per il fatto di essere messe nero su bianco in quelle sedi vengono considerate degne di entrare in un vocabolario).

lunedì 14 settembre 2015

un giro nel père lachaise

Già in due occasioni ho visitato il cimitero del Père Lachaise, a Parigi.
La primissima volta, diversi anni fa, si era più giovincelli, e la maggior parte del gruppetto di amici con cui mi trovavo era interessato soprattutto a vedere la tomba di Jim Morrison. Quella volta abbiamo fatto una visita relativamente veloce, in un'area abbastanza circoscritta.



La seconda volta è stata diversi anni dopo, insieme a una cugina con interessi altrettanto "crepuscolari", e in quell'occasione ci abbiamo trascorso almeno 3-4 ore, girandolo praticamente tutto, soffermandoci sui monumenti e andando alla ricerca delle tombe dei personaggi famosi.
Eh sì, perché il Père Lachaise è davvero ricco di monumenti e di storie. Storie di personaggi celebri, ma anche di persone comuni.

Il cimitero venne creato al principio del 1800, e a quell'epoca non si trovava ancora all'interno della città (ricordate l'editto di Saint-Cloud, di foscoliana memoria, che imponeva che i cimiteri si trovassero fuori dai confini dei paesi?). Peccato che all'inizio nessuno ci teneva particolarmente a farsi seppellire nel nuovo cimitero, per cui la municipalità decise di traslarvi le spoglie (o almeno quelle che si ritenevano essere tali) di Molière, di La Fontaine, e di Abelardo ed Eloisa (chissà di loro cosa era rimasto, dopo secoli)...
Questa "campagna di testimonial" funzionò, e nel giro di poco tempo il Père Lachaise ottenne numerose sepolture.

Una fra le tombe più visitate e belle, ricca di mazzi di fiori portati giornalmente, è quella di Chopin.
Quella che cercano tutti coloro che ti fermano chiedendo informazioni è quella di Jim Morrison (che però io ho trovato deludente e sacrificata in un angolino stretto e scomodo).


Sulla scia della narrazione di Augias ne I segreti di Parigi io mi sono messa alla ricerca del monumento funebre di Victor Noir, che in effetti ha un suo fascino.


Mi sono poi imbattuta per caso in una tomba che ha reso concreto un brutto fatto di cronaca successo non molto tempo prima della mia visita: quella di Marie Trintignant, uccisa dal suo compagno, il cantante dei Noir Desir.
Mi ha anche stupito la presenza di tante lapidi cinesi, recenti, segno che la comunità cinese è piuttosto numerosa.
E poi non mi aspettavo che la tomba di Oscar Wilde fosse così grande, pacchiana, sporca e piena di chewing-gum appicicati.

Una passeggiata nel Père Lachaise procura emozioni.
Sia che si creda nella vita dopo la morte, oppure soltanto nell'immortalità dell'arte e della storia, questo è il posto giusto in cui trascorrere qualche ora, nella quiete di una vera e propria città nella città.