martedì 29 novembre 2016

il giardino dei segreti

Kate Morton, Il giardino dei segreti
Nel 1913 Hugh, responsabile del porto australiano di Maryborough, trova sulla banchina una bambina di quattro anni abbandonata, scesa da una nave appena giunta dall'Inghilterra.
La bimba non ricorda il suo nome e non ha alcun segno identificativo, soltanto una piccola valigina bianca contenente qualche vestito e un libro di fiabe scritto da una certa Eliza Makepeace, l'Autrice.

Hugh e sua moglie non hanno figli (ci sono stati diversi aborti nel corso degli anni del loro matrimonio), per cui decidono di tenere con sé la bimba, che chiamano Nell, e di crescerla come propria.

A 21 anni Nell è fidanzata ed è totalmente inconsapevole delle proprie origini. Quando Hugh le confessa la verità, l'equilibrio e le certezze di Nell vanno in pezzi, ma i tempi difficili e la seconda guerra mondiale non le permettono di esplorare le sue vere radici sino al 1975, finché si reca a Londra.
Qui viene a conoscenza della storia di Rose, la malaticcia cugina di Eliza, figlia di Lord Linus Mountrachet e di sua moglie, Lady Adeline, di bassa estrazione sociale. L'amata sorella di Mountrachet, Georgiana, aveva gettato scandalo sulla propria famiglia fuggendo a Londra per vivere nella miseria insieme a un marinaio, che poi era improvvisamente scomparso.
Eliza Makepeace era la loro figlia, ospitata dallo zio Linus dopo la morte di Georgiana e riportata a Blackhurst, la malinconica tenuta dei Mountrachet in Cornovaglia.

Nel 1975 Blackhurst è divenuta un hotel, e Nell, parlando con vari abitanti del posto, riesce a risalire al fatto che i propri genitori fossero proprio Rose e suo marito, il pittore Nathaniel Walker - anche se ufficialmente la loro unica figlia risultava essere morta proprio a quattro anni.

La ricerca di Nell si interrompe a questo punto, ma dopo la sua morte, nel 2005, tocca a sua nipote Cassandra riprendere in mano le fila della storia, e recarsi in Cornovaglia per scoprire davvero la verità relativa alle origini di Nell - legate intimamente a un piccolo cottage comprato da sua nonna proprio nel 1975 - e mettere insieme tutte le tessere ancora mancanti del puzzle.

La struttura del romanzo è piuttosto intricata. Ci sono infiniti salti temporali avanti e indietro, uno per ciascun capitolo, e all'inizio ho trovato questa cosa molto pesante. Non che non avessi mai letto libri che adottavano questo espediente, ma qui la Morton lo ha davvero portato agli eccessi, secondo me. Ci sono stati diversi punti in cui avevo difficoltà a ricordarmi se una certa cosa era stata scoperta da Nell oppure da Cassandra, e in quale contesto era stata presentata per la prima volta.
Però capisco il motivo per cui l'autrice ha adottato questa modalità di narrazione, intersecando diversi piani e diverse voci.

L'utilizzo del simbolismo delle fiabe, e una finta pista che suggerisce la possibilità di un incesto creano una boscaglia di indizi fitta e impenetrabile proprio come il giardino cresciuto ed incolto di Eliza, e il labirinto di Blackhurst.
Un puzzle un po' torbido, ma la rivelazione finale coglie abbastanza di sorpresa, anche se verso i capitoli finali restava effettivamente l'unica strada che poteva essere stata percorsa dagli eventi. Posso dire che alla fine ci ero arrivata. Come avrebbe detto Sherlock Holmes, una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità.

lunedì 28 novembre 2016

un po' di follia in primavera

Questo libro ha continuato a guardarmi dalla mensola per due mesi di fila, supplicandomi di leggerlo. E lo scorso weekend l'ho finalmente esaudito, finendolo in due giorni, vista la sua scarsa lunghezza.
Infatti, nonostante le 290 pagine dichiarate, l'interlinea e la dimensione del carattere sono molto larghe, rendendo di fatto quest'ultimo capitolo delle avventure di Alice Allevi molto più breve dei precedenti.

Aver visto la serie televisiva ovviamente ha interferito con la mia raffigurazione mentale dei personaggi. Soprattutto nelle prime pagine.
Poi però, visto che a parte Claudio il casting dei personaggi principal aveva del tutto cozzato contro le mie aspettative, me ne sono fortunatamente liberata (senza neanche troppa difficoltà) e sono tornata alle mie precedenti immagini mentali.

Alice, in particolare, ha di nuovo assunto il volto della stessa autrice. So bene che il personaggio non è biografico, né tantomeno l'alter ego della Gazzola, però io me la sono sempre immaginata come lei, sin dal principio, quando vidi la sua foto sul risvolto della terza di copertina. E da lettrice sono libera di farlo.

Ma torniamo al libro. Alice è agli sgoccioli del suo percorso di specializzazione e riceve anche una proposta di matrimonio da parte di Arthur, che nel frattempo aveva accettato un lavoro in parte stanziale a Roma. Peccato che nessuna data si concretizzi mai, e anzi ritorni la costante del distacco durante le sue trasferte mediorientali.
E una volta scoperto che il suo fidanzato si è sentito fortemente attratto verso una collega giordana, la rottura fra loro si fa inevitabile.

In tutta questa situazione Claudio è sempre lui, sempre lo stesso, lancia frecciatine ad Alice ricordandole quella famosa notte a Taormina, quanto lui ci pensi e quanto ci tenga a lei. Però quando la nonna di Alice ha un ictus, Arthur sta già andando via, ed è Claudio ad esserle vicino in ospedale.
Alice termina finalmente la specializzazione, discutendo la tesi. Apparentemente la sua esperienza in Istituto è finita. Però si prospettano due posti disponibili per un master l'anno successivo, ed è la stessa professoressa Wally a dire ad Alice che la vedrebbe adatta per la posizione. Anche Claudio la spinge in quella direzione.

Cosa succederà ora? La Gazzola ha annunciato sulla propria pagina Facebook di aver cominciato il libro nuovo, il titolo successivo a questo, quindi sappiamo che ce ne sarà ancora almeno uno. Credo - e non penso di sbagliare - che una delle borse di studio finirà ad Alice, e che quindi la ritroveremo ancora in Istituto, non più specializzanda e auspicabilmente un po' meno imbranata. Spero tanto che il capitolo Arthur sia definitivamente chiuso, e che magari quello di Claudio diventi possibile.

lunedì 21 novembre 2016

le novelle di diana gabaldon

Diana Gabaldon, Seven stones to stand or fall

Diana Gabaldon ha confermato che il nuovo libro della serie Outlander, intitolato "Go tell the bees that I am gone" NON uscirà nel corso del 2017.
La scrittrice trova strano che la gente chieda insistentemente ai propri autori quando faranno uscire i loro prossimi libri. Eh, forse perché in certi casi (ad esempio i suoi, e quelli di un suo amico, tale George R.R. Martin) passano letteralmente anni fra un volume e l'altro?
Mi sembra un'affermazione dettata almeno in parte da falsa modestia...

Ad ogni modo, la Gabaldon ha però annunciato che il prossimo 27 giugno uscirà una raccolta di novelle legate al mondo di Outlander, dal titolo "Seven stones to stand or fall".
Ovviamente l'uscita è relativa al mercato statunitense (non si parla di quello italiano).

La raccolta comprende 7 novelle, di cui 5 già pubblicate nel passato in varie antologie, e 2 inedite.
A proposito del nostro mercato, al momento mi sembra che soltanto "Virgins" sia stata pubblicata in  italiano (nella raccolta G. R. R. Martin - G. R. Dozois, "La ragazza nello specchio e nuove storie di donne pericolose", Mondadori, 2015)

Nell'ordine, le storie contenute nel nuovo volume sono le seguenti:

THE CUSTOM OF THE ARMY
"All things considered, it was probably the fault of the electric eel."
Nel quale l'incontro di Lord John Grey con la suddetta anguilla (per tacere di un belligerante poeta e del dottor John Hunter - un vero chirurgo, conosciuto per i suoi grandi contributi alla medicina, ma ai suoi tempi conosciuto in maniera più informale come il "ladro di corpi") lo porta ad essere mandato nel selvaggio Canada (piuttosto selvaggio all'epoca), dove raggiunge il generale James Wolfe, fa sesso su una spiaggia (anche se non col generale Wolfe), respinge attacchi degli Indiani (anche se non necessariamente di tutti gli Indiani...) e (fra le altre cose) scala una ripida scogliera durante la notte insieme a diversi Scottish Highlanders, per attaccare la cittadella di Quebec.

THE SPACE BETWEEN
“He still didn’t know why the frog hadn’t killed him.”
Nel quale il conte di St. Germain esplora i misteri dell'universo. Nel frattempo, un addolorato Michael Murray (figlio di mezzo di Jenny e Ian Murray) ritorna ai suoi affari parigini legati al vino, dopo la morte di suo padre (e la morte, avvenuta ancor prima, della sua giovane moglie). Durante il viaggio gli viene assegnata la custodia di Joan MacKimmie (sorella più giovane di Marsali, e figlia di Laoghaire), una giovane donna che sta recandosi in un convento francese, nella speranza di zittire le voci nella propria testa. E poi c'è Mastro Raymond...

A PLAGUE OF ZOMBIES
“There was a snake on the drawing-room table. A small snake, but still. Lord John Grey wondered whether to say anything about it.”
Nel quale Lord John viene mandato in Giamaica, con l'incarico di sedare una ribellione di schiavi. Serpenti e schiavi sono la parte minore, e quando il governatore dell'isola viene tornato morto nel proprio letto, parzialmente rosicchiato, Lord John si ritrova egli stesso il governatore militare provvisorio della Giamaica. Si ritrova anche in mezzo a qualcosa di molto più spaventoso che una rivolta di schiavi, qualcosa che deve affrontare da solo, a piedi nudi e senza armi, in una buia caverna dove lo sgocciolio dell'acqua nasconde pericolosi sussurri.

A LEAF ON THE WIND OF ALL HALLOWS
“It was two weeks yet to Hallowe’en, but the gremlins were already at work.”
Nel quale i folletti nel motore del suo Spitfire atterranno temporaneamente il capitano Jerry MacKenzie, ma le difficoltà meccaniche e le mitragliatrici tedesche sono nulla al confronto di ciò che lo aspetta in un cerchio di pietre del Northumbria. Questa è la storia dei genitori di Roger MacKenzie, Jerry e Dolly: una storia che Roger non ha mai saputo.

VIRGINS
“Ian Murray knew from the moment he saw his best friend’s face that something terrible had happened. The fact that he was seeing Jamie Fraser’s face at all was evidence enough of that, never mind the look of the man.”
Nel quale seguiamo le avventure del diciannovenne Jamie Fraser e del suo migliore amico Ian Murray, di vent'anni, come giovani mercenari nella Francia del 1740. Nessuno dei due giovanotti ha mai ucciso un uomo o portato a letto una donna, ed entrambi sono piuttosto preoccupati di finire all'inferno. Le possibilità di fare tutte e tre queste cose aumentano di molto quando vengono ingaggiati per scortare una giovane sposa ebrea e la preziosissima Torah che ne rappresenta la dote da Bordeaux a Parigi, e lungo la strada trovano molto di più di quello che avevano concordato.

E queste ultime due sono quelle inedite.

A FUGITIVE GREEN
“Minnie Rennie had secrets. Some were for sale and some were strictly her own. She touched the bosom of her dress and glanced toward the lattice-work door at the rear of the shop. Still closed, the blue curtains behind it drawn firmly shut.”
Nel quale una diciassettenne apprendista mercante di libri rari viene mandata da Parigi in Inghilterra da suo padre, per ottenere incunaboli e libri medievali di devozione - nonché qualsiasi tipo di segreto legato a intrighi politici o finanziari possa incontrare nel frattempo. Durante questi affari, però, Minnie incontra Harold Grey (il fratello più grande di Lord John), recentemente vedovo (e squilibrato in modo preoccupante) e Duca di Pardloe, e le cose finiscono fuori controllo.

BESIEGED
“ Lord John Gray dipped a finger gingerly into the little stone pot, withdrew it, glistening, and sniffed cautiously.
“Jesus!”
“Yes, me lord. That’s what I said.” His valet, Tom Byrd, face carefully averted, put the lid back on the pot. “Was you to rub yourself with _that_ stuff, you’d be drawing flies in their hundreds, same as if you were summat that was dead. _Long_ dead,” he added, and muffled the pot in a napkin for additional protection.
“Well, in justice,” Grey said dubiously, “I suppose the whale _is_ long dead.” He looked at the far wall of his office. There were a number of flies resting along the wainscoting, as usual, fat and black as currants against the white plaster. Sure enough, a couple of them had already risen into the air, circling lazily toward the pot of whale oil. “Where did you get that stuff?”

Nel quale Lord John, pregustando un rientro a casa in Inghilterra dopo il suo breve compito di governatore militare della Giamaica, si ritrova invece sulla strada per Cuba, dove la marina inglese sta predisponendo l'assedio all'Avana, e dove la duchessa madre di Parloe (e madre di John) è ospite (e potenziale ostaggio) del governatore Juan de Prado.

mercoledì 16 novembre 2016

tempo di addobbi

E' quasi tempo di Natale, e i negozi sono già tutti addobbati e decorati per le prossime festività, soprattutto quelli che vendono oggettistica a scopo di beneficenza, anche se spesso a prezzi da gioielleria...










lunedì 7 novembre 2016

tutta la luce che non vediamo

Anthony Doerr, Tutta la luce che non vediamo

È il 1934, a Parigi, quando a Marie-Laure, una bambina di sei anni con i capelli rossi e il viso pieno di lentiggini, viene diagnosticata una malattia degenerativa: sarà cieca per il resto della vita. Ne ha dodici quando i nazisti occupano la città, costringendo lei e il padre a trovare rifugio tra le mura di Saint-Malo, nella casa vicino al mare del prozio. Attraverso le imposte azzurre sempre chiuse, perché così impone la guerra, le arriva fragorosa l'eco delle onde che sbattono contro i bastioni. Qui, Marie-Laure dovrà imparare a sopravvivere a un nuovo tipo di buio.

In quello stesso anno, in un orfanotrofio della Germania nazista vive Werner, un ragazzino con i capelli candidi come la neve e una curiosità esuberante per il mondo. Quando per caso mette le mani su una vecchia radio, scopre di avere un talento naturale per costruire e riparare questi strumenti di fondamentale importanza per le tattiche di guerra, un dono che si trasformerà nel suo lasciapassare per accedere all'accademia della Gioventù hitleriana, e poi partire in missione per localizzare i partigiani. Sempre più conscio del costo in vite umane del suo operato, Werner si addentra nel cuore del conflitto.

Due mesi dopo il D-Day che ha liberato la Francia, ma non ancora la cittadina fortificata di Saint-Malo, i destini opposti di Werner e Marie-Laure convergono e si sfiorano in una limpida bolla di luce.

Il libro è impostato a mo' di puzzle, con capitoli brevi e molto numerosi: sembra quasi di "leggere" i fotogrammi di una storia. A me questa particolarità è piaciuta molto, e ha contribuito fortemente a stimolare la lettura. Di solito scelgo di mettere in pausa la lettura alla fine di un capitolo, e visto che qui i capitoletti erano molto brevi, continuavo a dirmi massì, ne leggo ancora uno prima di chiudere, e andavo avanti così per delle mezzore...

C'è un'alternanza di piani temporali e un andare avanti e indietro cronologicamente per blocchi di capitoli. Onestamente io non ho avuto problemi e non ho trovato difficoltà ad orientarmi - è stato tutto chiaro - però ho visto da commenti sparsi che alcuni lettori si sono trovati un po' spiazzati (e allora vorrei vedere queste persone alle prese col libro che sto leggendo adesso: quello sì che salta avanti-indietro di decenni ad ogni capitolo).

La storia del diamante maledetto, che aveva reso immortale un principe ma aveva provocato la morte delle persone vicine a lui, si interseca con la storia di Marie-Laure e di suo padre, ed è altrettanto intrigante, ma alla fine si stempera un po' e perde di interesse.

Comunque un libro che mi è piaciuto veramente molto (e poi apprezzo particolarmente le ambientazioni in luoghi dove sono stata), anche se ho avuto un po' di delusione nella parte finale. Non che mi aspettassi un lieto fine, men che meno un destino comune per Marie-Laure e Werner, però ho avvertito un leggero senso di desolazione e rimpianto.
La morte di Werner mi è sembrata particolarmente inutile, dato che non è dipesa né da un atto eroico, né da un suo sacrificio per salvare altre persone. Una pura scelta narrativa, mentre invece avrebbe potuto salvarsi anche lui come il suo compagno della Wermacht.

venerdì 4 novembre 2016

il sacrificio di laika

Da piccola avevo un grande librone, con il dorso giallo, che si intitolava "Il grande libro del Sapere". Chi è stato bambino negli anni Settanta-Ottanta si ricorderà sicuramente di questa collana della Mondadori. Ho sfogliato e letto infinite volte le sue pagine, talmente tante da aver interiorizzato e memorizzato per sempre buona parte dei concetti e delle storie raccontate.

Ebbene, nella sezione dedicata all'astronomia e all'esplorazione dello spazio c'era una piccola immagine, a bordo pagina, che riproduceva una cagnetta in un modulo metallico. Era una raffigurazione disegnata della fotografia all'inizio di questo post: una cagnetta con la zampina appoggiata sul bordo. La didascalia diceva soltanto che Laika "divenne il primo essere vivente a viaggiare nello spazio". Da bambina non conoscevo qual era stata la vera storia di questa povera bestiola. Ne avrei letto soltanto più tardi. Allora pensavo che fossero riusciti a farla tornare a terra.

Però quella piccola immagine del muso della cagnetta è rimasta fissa nella mia memoria. E ogni volta che ripenso alla vicenda di Laika non posso fare a meno di rammaricarmi e dedicarle un pensiero di scusa per conto del mio genere, degli umani.

Sempre col ricordo di quell'immagine ho chiamato Laika la prima cagnetta che ho avuto, perché trovavo che un po' le assomigliasse, nell'espressione, e soprattutto in onore di quella prima, sfortunata bestiola.




Nel 2008 i russi hanno inaugurato un piccolo monumento a Laika, vicino all'istituto militare di Mosca dove venne preparato il viaggio di Laika nello spazio. Rappresenta un cane in piedi su un razzo.
Laika appare anche sul monumento ai conquistatori dello spazio, sempre a Mosca.


Laika non visse nello spazio, la cagnetta morì dopo il lancio
L’animale fu spedito in orbita sullo Sputnik nel ’57 - I russi dissero che aveva resistito 7 giorni: non era vero
di Vittorio Zucconi (fonte: La Repubblica del 29 ottobre 2012)
Il cane che rincorse le stelle avrebbe di molto preferito continuare a rincorrere gatti e ciclisti per le strade di Mosca, se avesse potuto decidere lei, ma Laika non era un cane qualsiasi. Era un soldato, una bandiera, un latrato di battaglia, un monumento che l’Urss voleva costruire a se stessa con il materiale della Guerra fredda, con i motori, i missili, le ambizioni e, soprattutto, con le bugie della propaganda. Laika, la bastardina arruolata dagli accalappiacani di Kruscev nei vicoli di Mosca per essere la prima creatura vivente spedita in orbita, non morì la morte indolore nello spazio dopo una settimana di orbite, che la propaganda ci aveva raccontato allora, ma una morte orrenda e struggente, inscatolata nel minuscolo Sputnik, poche ore dopo il lancio. Il suo cuore di cane fu schiantato dal panico e dalla solitudine incomprensibile.

Un’altra delle perenni menzogne del potere in Russia, sovietico e non soltanto sovietico, viene a galla dopo 45 anni, dalla confessione di uno degli scienziati di quel programma spaziale che, tra il primo bip dello Sputnik e il viaggio di Gagarin attorno alla Terra, doveva essere la dimostrazione dei trionfi Socialisti sul nemico Capitalista. La prova della profezia di Nikita Kruscev all’Occidente, “in dieci anni vi seppelliremo”.

Laika, insieme con Mushka e Albina, due altri cagnetti presi a caso tra i bastardini nelle vie della capitale, era stata scelta per la sua docilità, per la sua resistenza alle prove d’accelerazione nella centrifuga della “Città delle Stelle”, la Houston alle porte di Mosca e, dannazione dei piccoli, per le sue dimensioni contenute. Non c’era molto spazio per ospitare un cane dentro lo Sputnik 2 dal peso totale di 108 chili, che i vettori sovietici erano in grado di sparare in orbita in quel novembre del 1957. Ma per piccina e mansueta che fosse, Laika era pur sempre un cane e ci volle tempo per adattarla a quel viaggio.

Con le sue compagne fu messa nel frullatore della centrifuga che le spingeva il cuore fino a tre volte il ritmo normale delle pulsazioni cardiache, nella paura e nella fatica di pompare il sangue nel corpo schiacciato dall’accelerazione gravitazionale. Aveva, dice ora lo scienziato russo, una tendenza a soffrire di panico, perché il cuore impiegava poi il triplo di tempo rispetto alle sue compagne, prima di tornare a velocità normale.

Laika e le sue compagne furono costrette a vivere in gabbiette e contenitori sempre più piccoli e strette da catenelle sempre più strette, per periodi successivi di 3 settimane e a nutrirsi solo di gelatine, la pappa che sarebbe stato messo a bordo, perché lo potessero, poco alla volta, con parsimonia, leccare fino all’esaurimento e dunque alla morte.

Alla fine dell’addestramento, se così possiamo chiamare quella tortura, la vediamo nelle foto d’epoca, che spunta con il muso scuro e gli occhi giustamente preoccupati, da una sorta di tubo di dentrificio nero, l’ogiva nella quale sarebbe stata sparata dalla base di Baikonur, strettamente incatenata, per impedirle di rivoltarsi e di muoversi dentro il tubo.

Mushka, oltre che piccola, era, per sua ulteriore sfortuna, anche la più intelligente. Era servita per collaudare i rudimentali strumenti di bordo, un ventilatore automatico che avrebbe dovuto raffreddare l’abitacolo quando, nei momenti di esposizione al sole durante le orbite la temperatura fosse salita oltre i 20 gradi.
Albina era stata sparata due volte con razzi, ma recuperata con paracadute dell’ogiva, per collaudare la resistenza al lancio. Ma Laika pescò la paglia corta. Fu scelta per il glorioso evento. E fu lanciata. Senza sapere che per lei non era stato previsto nessun rientro trionfale. Che sarebbe comunque morta girando attorno alla Terra.
Il dottor Dimitri Malashenkov, lo specialista che la seguì, ha raccontato ieri a un congresso di medicina spaziale a Houston, le ultime ore di Laika. L’elettrocardiografia seguita via radio segnò un aumento parossistico delle pulsazioni quando i motori s’accesero e il missile cominciò a vibrare sollevandosi dalla piazzola, qualcosa che la cagnetta non aveva mai provato prima. Raggiunta la velocità orbitale, il ventilatore, secondo i leggendari standard del controllo di qualità sovietica, naturalmente non funzionò e la temperatura nella trappola spaziale cominciò a oscillare tra il caldo e il freddo estremi.
Il suo cuore di cane prese a battere irregolarmente, fibrillando quando l’assenza di peso rallentò di colpo le pulsazioni e alla quarta orbita, dopo 5 ore di tormento, il tracciato divenne misericordiosamente piatto. Forse fu la temperatura a ucciderla, o l’umidità che si era accumulata nel suo ansimare dentro quello spazio, o l’anidride carbonica che i filtri nella capsula avrebbero dovuto ripulire, ma che, probabilmente, non funzionarono a dovere. Il dottore non è sicuro.

Ma chiunque conosca un cane e abbia visto gli occhi di Laika mentre la insaccano dentro la sua gabbia, sa di che cosa è morta quella cagnetta, è morta di paura e di solitudine. Di stress, se si preferisce un’espressione più asettica. Sognando i vicoli di Mosca, il branco dei randagi e i gatti che non avrebbe più rincorso, la mano di quegli uomini ai quali si era sicuramente affezionata, senza sapere quello che loro stavano preparando per lei. Il funerale di Laika fu lungo. Andò avanti per 6 mesi e 2.570 orbite, mentre il Cremlino mentiva sulla sopravvivenza di Laika nello spazio indicata in “oltre quattro giorni” e l’America si rodeva nella sua goffa rincorsa con missili che esplodevano dopo il lancio e scimpanzé africani che stava addestrando per inseguire i cani russi.
Fu cremata l’8 aprile del 1958, quando lo Sputnik-2 perse velocità e rientrò nell’atmosfera, consumandosi in un ultimo, piccolo falò delle vanità ideologiche e della crudeltà umana.

Tre anni dopo, il 12 aprile del ’61, un essere umano dal coraggio ultraterreno, Yuri Gagarin la seguì, sapendo che avrebbe potuto fare la fine della cagnetta che l’aveva preceduto e che era stata sacrificata per lui, da un regime che trattava gli uomini come cani e dunque i cani come gli uomini. Troppo tardi per fare compagnia a Laika e portarla a passeggio tra le stelle.