Ho parlato della morte della mia cagnona, Sissi, successa il 19 ottobre.
Non ho ancora raccontato che l'ho fatta cremare, e mi sono riportata a casa le ceneri. Negli ultimi tempi ero venuta a conoscenza dell'esistenza di questi centri che effettuano questo servizio, per gli animali domestici. Avevo deciso che sarebbe stata la strada da seguire già mesi fa, quando Sissi stava ancora bene. Avevo già avuto un altro cane prima di lei, e purtroppo nel suo caso dopo che era mancato ne avevo lasciato le spoglie al veterinario perché se ne occupasse lui, ma questa cosa aveva continuato a rodermi dentro a lungo, mi sembrava di averlo abbandonato come se fosse stato un rifiuto. Chissà che fine aveva fatto, me lo ero chiesto più e più volte nel corso degli anni... Stavolta, avendone la possibilità, ho deciso di fare diversamente.
Da una parte, la cremazione degli animali domestici (cani, gatti, addirittura cavalli!) sicuramente è un business, ma è anche un modo per venire incontro a un'esigenza espressa da tanti proprietari di animali. Per quanto mi riguarda io mi sono trovata bene, ovviamente bene per quanto ci si possa trovare in un'esperienza del genere, che si vorrebbe pur sempre evitare.
Nel posto dove mi sono rivolta - vicinissimo a casa mia, fra l'altro - sono stati carini, delicati e comprensivi. Sono venuti a prendere il cane a casa e abbiamo fissato l'appuntamento per la cremazione già per il giorno dopo. Abbiamo potuto vedere Sissi ancora per 10-15 minuti, per le cosiddette "ultime coccole", e poi abbiamo aspettato in una saletta d'attesa, dove c'era un monitor, per l'ora e mezza che è stata necessaria. Ho seguito tutto, non mi sono risparmiata nulla. Anche questo penso mi sia servito per farmene una ragione, per capire che lei non c'era più. Al termine ho visto recuperare le ceneri, con una specie di bidone aspiratutto, e il loro deposito in una specie di tegame, che poi è stato raffreddato. In pochi minuti mi è stato consegnato un cofanetto contenente tutto ciò che restava di lei. Di oltre 30 chili di cane sono rimasti soltanto 1,2 kg di ceneri, fredde e spente. Oltre ovviamente al ricordo.
Ho messo nel cofanetto anche il suo collare con la sua medaglietta, e la sera l'ho poggiato sulla sua cuccia vuota ai piedi del mio letto: Sissi è tornata a casa e ha dormito nel suo solito posto.
Durante il weekend però, abbiamo tolto tutte le sue cucce e i suoi cuscini sparsi in giro per casa. Ho messo tutte le sue cose in uno scatolone e le ho portate in solaio; alcune, più vecchie, le ho buttate.
Il cofanetto l'ho lasciato nella mia stanza, che era poi anche la sua, in un posto ben visibile. Per adesso resta lì e vi rivolgo spesso lo sguardo e un saluto. Più avanti, quando magari il dolore sarà scemato un po', o comunque si sarà attutito, o quando magari girerà un altro peloso per casa, probabilmente lo sposterò in un posto più nascosto. Avevo anche pensato di seppellire una parte delle ceneri in giardino e di piantarvi sopra una pianta di rose, o qualcosa del genere. Vedrò.
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lunedì 6 novembre 2017
giovedì 26 ottobre 2017
la perdita di un cane/1
E' già trascorsa una settimana da quando la mia cagnolona è mancata, ma ne scrivo qua soltanto adesso.
E' morta lo scorso giovedì, nel pomeriggio: ho dovuto farla addormentare perché malata. Ho aspettato egoisticamente forse troppo, avrei potuto risparmiarle una notte e una mattina di sofferenze finali. Ma lo stesso veterinario l'aveva vista mercoledì sera, e avevamo cominciato a parlare della "puntura", ipotizzandola per il venerdì. Stava male ma sembrava che potesse ancora tirare avanti dignitosamente sino ad allora.
Veder star male il tuo animale e non poter fare nulla per ridurre il suo patimento è una delle cose al mondo che ti fanno sentire più impotente. Prendere quell'ultima decisione è devastante, ma finisce per sembrarti l'ultimo atto possibile di misericordia e di amore nei suoi confronti. Non puoi più fare nient'altro di utile per lui/lei, non puoi più proteggerlo/a come hai sempre cercato di fare.
Purtroppo il giorno dopo - giovedì - Sissi era peggiorata tantissimo, respirava in maniera sempre più sforzata, con la lingua fuori, e cominciava ad avere forti difficoltà a tenersi sulle zampe. Era una pena vederla così. Ho chiamato il veterinario, ed è venuto nel pomeriggio. E' venuto a casa, e devo ringraziarlo per la sua infinita disponibilità (quel giorno non era nemmeno di turno lui, in clinica, ma è venuto lo stesso perché la stava seguendo). In certe situazioni vuol dire molto.
Non è stata necessaria la seconda puntura... la prima di metadone è stata sufficiente, e mentre il veterinario cercava di trovarle la vena per fare la seconda iniezione, con molta difficoltà vista la pressione stra-bassa, Sissi ha piantato un guaito straziante e il veterinario mi ha detto che stava morendo da sola. Si è interrotto, e l'ha auscultata. Ho intravisto ancora un paio di spasmi, di contrazioni, e il suo cuoricino ha smesso di battere. La sua battaglia è terminata verso le 15.30 del pomeriggio di giovedi 19.
Era cominciata circa un anno e mezzo fa, quando aveva sostenuto due operazioni per un tumore mammario, uno per ciascuna fila. Erano stati asportati perfettamente, e lei da allora si era ripresa benissimo. Fino a circa 10-12 giorni prima di andarsene era sempre stato il solito cane esuberante e testone, pronto ad abbaiare alle bici, alle moto, a chiedere l'elemosina per un biscottino o per quello che avevo nel piatto. Un cane felice e che apparentemente stava bene.
Ma evidentemente - e il veterinario me l'aveva già paventato allora - era tornato qualcosa a livello dei polmoni. Qualcosa che non si poteva più risolvere.
Così di botto, una decina di giorni prima, Sissi ha cominciato a non avere più fame, a non voler mangiare praticamente nulla, nemmeno i suoi cibi preferiti. Siamo andati avanti con pastiglie per circa una settimana, antibiotici, antinfiammatori, cortisone e gastroprotettore; mattino e sera. E non è facile far ingoiare le pastiglie a un cane di 30 chili che non vuole mangiare nulla. Sembrava che il cortisone sortisse qualche effetto, ma l'illusione è durata soltanto un paio di giorni, nei quali la cagnona ha avuto voglia di mangiare i rimasugli (puliti) del pollo allo spiedo, pezzi di toast, fette di bresaola e prosciutto... i suoi ultimi pasti "decenti", poi da lunedì la situazione si è avviata verso l'epilogo...
Sissi è morta all'età di 11 anni e poco più di 4 mesi (l'avevo presa quando aveva 3 mesi, quindi abbiamo passato insieme un pezzo di cammino, l'intera vita per lei, ma un periodo troppo breve per me...)
E' morta lo scorso giovedì, nel pomeriggio: ho dovuto farla addormentare perché malata. Ho aspettato egoisticamente forse troppo, avrei potuto risparmiarle una notte e una mattina di sofferenze finali. Ma lo stesso veterinario l'aveva vista mercoledì sera, e avevamo cominciato a parlare della "puntura", ipotizzandola per il venerdì. Stava male ma sembrava che potesse ancora tirare avanti dignitosamente sino ad allora.
Veder star male il tuo animale e non poter fare nulla per ridurre il suo patimento è una delle cose al mondo che ti fanno sentire più impotente. Prendere quell'ultima decisione è devastante, ma finisce per sembrarti l'ultimo atto possibile di misericordia e di amore nei suoi confronti. Non puoi più fare nient'altro di utile per lui/lei, non puoi più proteggerlo/a come hai sempre cercato di fare.
Purtroppo il giorno dopo - giovedì - Sissi era peggiorata tantissimo, respirava in maniera sempre più sforzata, con la lingua fuori, e cominciava ad avere forti difficoltà a tenersi sulle zampe. Era una pena vederla così. Ho chiamato il veterinario, ed è venuto nel pomeriggio. E' venuto a casa, e devo ringraziarlo per la sua infinita disponibilità (quel giorno non era nemmeno di turno lui, in clinica, ma è venuto lo stesso perché la stava seguendo). In certe situazioni vuol dire molto.
Non è stata necessaria la seconda puntura... la prima di metadone è stata sufficiente, e mentre il veterinario cercava di trovarle la vena per fare la seconda iniezione, con molta difficoltà vista la pressione stra-bassa, Sissi ha piantato un guaito straziante e il veterinario mi ha detto che stava morendo da sola. Si è interrotto, e l'ha auscultata. Ho intravisto ancora un paio di spasmi, di contrazioni, e il suo cuoricino ha smesso di battere. La sua battaglia è terminata verso le 15.30 del pomeriggio di giovedi 19.
Era cominciata circa un anno e mezzo fa, quando aveva sostenuto due operazioni per un tumore mammario, uno per ciascuna fila. Erano stati asportati perfettamente, e lei da allora si era ripresa benissimo. Fino a circa 10-12 giorni prima di andarsene era sempre stato il solito cane esuberante e testone, pronto ad abbaiare alle bici, alle moto, a chiedere l'elemosina per un biscottino o per quello che avevo nel piatto. Un cane felice e che apparentemente stava bene.
Ma evidentemente - e il veterinario me l'aveva già paventato allora - era tornato qualcosa a livello dei polmoni. Qualcosa che non si poteva più risolvere.
Così di botto, una decina di giorni prima, Sissi ha cominciato a non avere più fame, a non voler mangiare praticamente nulla, nemmeno i suoi cibi preferiti. Siamo andati avanti con pastiglie per circa una settimana, antibiotici, antinfiammatori, cortisone e gastroprotettore; mattino e sera. E non è facile far ingoiare le pastiglie a un cane di 30 chili che non vuole mangiare nulla. Sembrava che il cortisone sortisse qualche effetto, ma l'illusione è durata soltanto un paio di giorni, nei quali la cagnona ha avuto voglia di mangiare i rimasugli (puliti) del pollo allo spiedo, pezzi di toast, fette di bresaola e prosciutto... i suoi ultimi pasti "decenti", poi da lunedì la situazione si è avviata verso l'epilogo...
Sissi è morta all'età di 11 anni e poco più di 4 mesi (l'avevo presa quando aveva 3 mesi, quindi abbiamo passato insieme un pezzo di cammino, l'intera vita per lei, ma un periodo troppo breve per me...)
lunedì 26 giugno 2017
il borgo medievale di torino
Lungo le sponde del Po a Torino, all'interno del Parco del Valentino, si trova il Borgo Medievale. Nonostante il suo nome, il borgo è un falso storico, dato che non ha nemmeno 150 anni.
Il Borgo Medievale nacque nel 1884 come sezione di arte antica della 3a Esposizione Generale Italiana: rassegna del sapere, dell'industria e dello sviluppo economico nazionale. Il progetto si inseriva nel filone delle iniziative pedagogiche delle grandi esposizioni universali. In particolare, a Torino si era pensato di realizzare qualcosa di simile a quanto fatto a Parigi alcuni anni prima, dove erano stati costruiti edifici tipici di ciascuno dei paesi presenti all'evento.
L'idea iniziale prevedeva quindi la costruzione di diversi corpi di fabbrica che mostrassero lo svolgimento delle arti figurative in Italia dal X al XVII secolo, in modo che i visitatori avessero un colpo d'occhio su tutti gli stili dominanti dal Medioevo in poi.
Ma il progetto venne giudicato troppo costoso, e così si concentrò soltanto su un secolo e su una sola regione: in particolare si diede corpo all'idea del vilaggio piemontese quattrocentesco, sormontato da una rocca.
Dietro la direzione degli architetti Vittorio Avondo e Alfredo d'Andrade, in circa 16 mesi gli edifici furono costruiti.
Nel villaggio ritroviamo la maestosa porta d'entrata, la palizzata, il fosso, il ponte e la cinta. All'interno si hanno l'albergo/ospedale dei pellegrini, il forno, la fontana, le case più o meno ricche, la torre signorile, i portici, le botteghe, i balconi, i ballatoi, il cortile, la chiesa, l'osteria, e infine la Rocca.
Il borgo è una sintesi perfetta di una grande quantità di studi e di ricerche condotti su numerosi edifici di epoca medievale in Piemonte e Valle d'Aosta. Ogni particolare degli edifici, degli arredi e degli oggetti in vendita nelle botteghe fu ricostruito sulla base di originali esistenti e documentati. D'Andrade effettuò un vastissimo lavoro di studio e rilievo del patrimonio, disegnando e fotografando edifici, decorazioni e arredi.
Così la torre di Oglianico e gli affreschi della porta di Malgrà vennero "fusi" nella torre di ingresso al Borgo. La casa che riproduce un'abitazione medievale di Bussoleno mostra su un lato un affresco di una casa di Lagnasco che venne distrutto all'inizio del secolo scorso. Le facciate delle chiese di Verzuolo e Ciriè si ritrovano sintetizzate nella piccola chiesa del Borgo.
Si individuano poi alcune differenze rispetto ai disegni originali nella casa di Pinerolo, nella torre di Avigliana, nelle case di Mondovì, Malgrà e Ozegna che si affacciano sulla piazza antistante la Rocca.
La fontana con l'albero di melograno antistante la Rocca riproduce fedelmente quella del castello valdostano di Issogne, mentre il cortile e lo scalone della Rocca stessa sono copie di quelli del castello di Fenis.
Ogni cosa in quest'insieme è un particolare vero, e uniti formano una raccolta di esempi tratti dai momenti più noti e meno noti del Piemonte, una colorata scenografia fatta di scorci prospettivi vari, ma sempre armonici fra loro.
Percorrendo il borgo, ora completato dai giardini e dall'orto, si vede ciò che avrebbe potuto vedere un uomo del Quattrocento.
Il Borgo e la Rocca sono espressioni della cultura ottocentesca delle grandi esposizioni universali, però non sono semplici copie, bensì adattamenti basati sia su uno studio dettagliato, ma anche su una profonda conoscenza di tecniche, forme, leggi strutturali e decorazioni del 15°esimo secolo piemontese.
Il successo del Borgo fu tale che, al termine dell'esposizione, la struttura non venne abbattuta (com'era invece nelle intenzioni originali). La Città di Torino acquistò l'opera e la affidò alla direzione dei musei civici, per trasformarla in museo e renderla ancora utilizzabile.
Un po' come è successo per la Tour Eiffel a Parigi, che ha finito per diventare il simbolo della città, qui a Torino il Borgo è stato risparmiato dalla distruzione, ed è diventato un patrimonio vivo, che i torinesi frequentano e a cui sono molto affezionati.
(Purtroppo sembra che l'attuale giunta civica voglia venderlo a privati, per recuperare soldi, ma questo è un altro discorso...)
Al Borgo si svolgono spesso eventi e attività, sia per bambini sia per adulti.
L'anno scorso addirittura, in un fine settimana, Sky ha usato il Borgo come location per lanciare la nuova stagione della serie televisiva del Trono di Spade. In quel weekend le viuzze si sono riempite di cosplay vestiti a tema, di cavalieri in armatura, di falconieri e di guerrieri con cani lupo al seguito: è stato un po' bizzarro, ma divertente.
sabato 1 aprile 2017
visita alla mostra Titanic
Ho visitato Titanic. The artifact exhibition, la mostra sul Titanic attualmente in svolgimento a Torino, unica tappa italiana.
L'impressione nel complesso è stata positiva e toccante, ma non tutte le aspettative che nutrivo sono state soddisfatte, e adesso cercherò di spiegare il motivo, man mano che vi racconto la visita. Innanzitutto, avevo letto sul web recensioni di persone che avevano visitato l'esposizione altrove, a Las Vegas, Copenaghen, Bruxelles, etc, e avevano detto che il biglietto d'ingresso veniva accompagnato da un talloncino a mo' di carta d'imbarco, con un nominativo di uno dei veri passeggeri, e che a fine del percorso si sarebbe visto se questo nome era fra i sopravvissuti o fra i morti. Un semplice giochino a costo quasi zero, ma che aiutava il visitatore a immedesimarsi nei passeggeri del Titanic. A me qui a Torino non è stato dato nulla, e nemmeno alle altre persone entrate subito prima di me: prima delusione...
Subito dopo l'ingresso c'è poi la possibilità - se ho capito bene - di posare per la famosa foto in stile DiCaprio-Winslet sulla prua della nave, che si può scegliere di acquistare a fine percorso. Non ne sono certa perché non ho visto indicazioni scritte in corrispondenza di quel punto, e quando sono passata io i ragazzi dello staff stavano allegramente chiacchierando dei fatti loro e non ci hanno spiegato nulla, né tantomeno invitato a fare lo scatto.
Accanto ai ragazzi dello staff ho intravisto le audioguide, ma non ho capito se erano comprese o no nel biglietto, già salato di per sé (16 euro). Io in quel momento ero ancora perplessa per la mancanza della "carta d'imbarco", per cui ho proseguito senza audioguida, sperando che girando l'angolo mi avrebbero dato 'sto benedetto talloncino, cosa che però non è avvenuta.
Quindi, appena entrata, mi sono già imbattuta in un'imperdonabile mancanza di informazioni e di non corrispondenza a quanto mi aspettavo di trovare (la carta d'imbarco).
Nella prima saletta espositiva si tratta dell'utilizzo dei rivetti nella costruzione dello scafo. Non tutti furono montati con mezzi automatici, ma nei punti più difficili da raggiungere si fece ricorso all'intervento manuale di uomini e ragazzi. Questa osservazione sembra quasi voler implicare che il lavoro potesse non essere stato fatto bene, ma in realtà il Titanic andrò incontro al suo destino per tutta una serie di sfortune e coincidenze accumulatesi le une sulle altre... non penso che i rivetti da soli siano stati così determinanti.
Successivamente si vedono parte dei progetti e delle mappe dei ponti della grande nave e due modellini in scala, che riproducono con precisione il grande transatlantico.
In una saletta sulla sinistra (altra mancanza che ho notato sono le frecce che indicano il percorso di visita da seguire - per visitare questa saletta son dovuta tornare indietro ) ci sono le storie degli italiani del Titanic. A bordo del bastimento c'erano infatti 37 italiani, di cui soltanto 3 si salvarono. La maggior parte erano camerieri - moltissimi i piemontesi, liguri e lombardi - che erano stati assunti da Luigi Gatti, italiano emigrato in UK; non erano stati registrati come lavoratori sulla nave perché non c'era stato tempo, così Gatti, che non sopravvisse, diede una lettera con tutti i loro nomi a una passeggera che stava salendo su una scialuppa, affinché i loro parenti potessero essere informati della loro fine. C'è la copia de "La Stampa" del 18 aprile 1912, con un paginone contenente le prime notizie che erano arrivate.
Sui pannelli al muro ci sono le storie di molti dei passeggeri italiani, come quella di Sebastiano e Argese, marito e moglie da un paio di mesi e che stavano andando in America: lui non sopravvisse, lei era incinta e nel novembre diede alla luce una piccola che chiamò Maria Salvata. Storie così, come quella dei ragazzini e dei camerieri. Una fotografia che ritrae tutto lo staff dei camerieri insieme al loro coordinatore e al figlioletto di quest'ultimo, scattata al porto di Southampton prima di partire, e portata con sé a terra dal bambino che naturalmente scese prima che la nave salpasse.
Si ritorna nella sala precedente e ci si imbarca in senso figurato transitando su una piccola passerella, poi si passa attraverso quella che è la ricostruzione in scala reale del corridoio con le cabine di prima classe. Storie di persone comuni, ma anche di persone ricche e famose, perché il Titanic non risparmiò nessuno: fra le vittime ci furono milionari come Benjamin Guggenheim, John Jacob Astor IV, Isidor Straus (fondatore del grande magazzino Macy's). La moglie di quest'ultimo decise di condividerne il destino e di non salire sulla scialuppa di salvataggio per stare vicino al marito.
Le scialuppe furono uno dei grandi punti deboli del Titanic. Durante i lavori per la costruzione ne erano state previste 32, ma poi si decise di utilizzare lo spazio disponibile sul ponte in maniera diversa, e ne rimasero soltanto 16, più 4 pieghevoli di tela. A quell'epoca non esisteva una normativa che imponesse una dotazione sufficiente di scialuppe. Le 20 scialuppe esistenti avrebbero avuto una capienza di soltanto 1178 posti, ma in ogni modo le prime vennero calate in acqua con pochissime persone rispetto a quelle che sarebbero potute starci. Ad esempio nelle prime 7 c'erano soltanto 160 persone, su una disponibilità di spazio per 430. Questo anche perché il Titanic era ritenuto così "inaffondabile" che al principio le persone non capirono la gravità della situazione, e preferirono restare a bordo in attesa, piuttosto che sfidare il mare su delle fragili e insicure scialuppe, decisione che si rivelò poi sbagliata, come sappiamo.
Sono esposte diverse banconote recuperate nelle casseforti della nave. Prima del 1912 negli Stati Uniti la moneta veniva emessa sia dal governo federale sia da banche private, e sono stati recuperati esemplari di entrambe le tipologie.
Si arriva poi alla ricostruzione di una cabina di prima classe: ampia, spaziosa, con un lettone molto comodo. Nelle teche si vedono rubinetti, lavandini, tappi dei lavelli, e piastrelle dei bagni di bordo.
Nella sala successiva si possono vedere piatti, caraffe, tazze e posate dei diversi servizi disponibili a bordo, differenziati per le varie classi. Ad esempio c'è una coppa di cristallo con il logo White Star Lines usata in prima classe, e poi una caraffa più semplice in vetro usata nella terza classe.
E' sorprendente pensare che questi oggetti così fragili siano sopravvissuti al momento del naufragio rimanendo integri, e che poi abbiano trascorso decenni nelle profonde acque dell'oceano. A vedere alcuni di questi si direbbe che siano nuovi, invece su altri si nota bene la patina del tempo e degli avvenimenti. A parte il logo della White Star, la scritta Titanic non compariva mai su questi oggetti, e questo permetteva di poter riutilizzare le suppellettili su altre navi della compagnia, in caso di necessità. In altre teche ci sono piatti e ciotole a motivi floreali, non facenti parte dei servizi di bordo, ma probabilmente trasportati da qualche passeggero, dei pettini e delle ciotolette porta-cipria o porta-balsami.
Proseguiamo nella visita e arriviamo alle riproduzioni fotografiche della sala fumatori, destinata agli uomini della prima classe, e la sala di lettura, destinata alle donne sempre della prima classe. Si scende nella saletta in basso e, nonostante il dislivello sia naturalmente presente nello spazio espositivo della Palazzina della Promotrice, qui non è stata riprodotto il famoso scalone del Titanic. Ci sono soltanto una foto e due teche con un pezzo di un lampadario e una sputacchiera.
Se, come avevo letto, lo scalone era invece presente nelle mostre all'estero (su Google ne trovate anche diverse foto), non mi spiego perché qui a Torino non abbiano voluto riproporlo: penso che lo spazio ci fosse e comunque i progettisti del percorso potevano sicuramente inventarsi qualcosa. Invece niente, e questa è un'altra delusione.
Proseguiamo per un altro stretto spazio, ed ecco la riproduzione del corridoio di terza classe con una cabina. La sistemazione è spartana rispetto a quanto visto sino a qui, con due letti tipo a castello e una mensola, ma comunque sembrava confortevole. Nel corso della mia vita mi è capitato di dormire in ostelli che avevano un aspetto ben peggiore.
Il costo del biglietto per una cabina di prima classe era di 2500 $ (pari a circa 57.000 $ di oggi). Le due suites esistenti costavano addirittura 4500 $ (circa 103.000 $ odierni). Prezzi davvero da capogiro.
I servizi presenti per i passeggeri di seconda classe del Titanic erano comunque analoghi a quelli della prima classe di altre compagnie. Le cabine avevano mobilio in mogano, legno bianco smaltato e piastrelle in linoleum; fra i servizi c'erano l'ascensore, la sala lettura, la biblioteca e la possibilità di fare passeggiate sul ponte. La sala da pranzo di seconda classe aveva 394 posti, per cui si dovevano fare i turni.
Anche le cabine di terza classe erano relativamente care, se rapportate ai costi odierni. Il biglietto costava 40 $ (circa 900 $ ai prezzi odierni) e ci si poteva trovare a viaggiare con altri passeggeri sconosciuti, poiché nella cabina il posto era per quattro persone. Sul soffitto potevano trovarsi tubi e travi, e di sicuro si sentivano rumori e vibrazioni provenienti dalle sale macchine. Però lo standard della White Star Lines era comunque alto rispetto ad altre compagnie, e ad esempio anche in terza classe c'erano materassi veri, e non quelli di paglia. Le vasche da bagno erano soltanto due, per circa 700 passeggeri di terza classe, ma ai tempi erano sufficienti perché in genere si faceva il bagno una volta alla settimana.
Abbandoniamo lo sfarzo dei ponti superiori e nella sala successiva vediamo qual era l'anima della nave, la sala macchine con le fornaci per il carbone. Il Titanic aveva 159 caldaie/fornaci e consumava la quantità folle di 850 tonnellate di carbone al giorno, pari a circa 1,5 kg. di carbone per metro percorso. Considerando quant'era lunga la traversata dell'Atlantico, non riesco nemmeno a fare il conto... Vediamo le fotografie e i nomi di alcuni dei ragazzini che portavano il carbone (trimmers) e di alcuni fuochisti. Il loro lavoro doveva essere davvero infernale.
Passiamo poi in un corridoio dove veniamo allertati da vari messaggi di altri bastimenti che nel corso della giornata del 14 aprile 1912 segnalavano la presenza di banchi di ghiaccio nella zona. Pare che le vedette del Titanic non disponessero nemmeno dei binocoli, perché nella fretta non erano stati caricati a bordo. La temperatura, sia dell'acqua che dell'aria, verso sera era scesa di molto.
Nell'esposizione il momento dell'impatto laterale con l'iceberg è riprodotto solo da un filmato simulato, che mostra come, dei 15 compartimenti stagni trasversali, 6 siano stati aperti dallo squarcio di 91 metri derivante dall'impatto, e poco alla volta la nave si sia spezzata in due tronconi e sia affondata. Passando oltre, si può toccare con mano una parete di vero ghiaccio, che ci fa rendere conto del gelo di quei momenti. Buona parte delle persone non morirono infatti per annegamento, quanto per assideramento.
In sostanza la mostra non si focalizza particolarmente sul momento drammatico dell'affondamento, ma sugli oggetti ritrovati e recuperati, nonché sulle storie di molti passeggeri.
Nella penultima sala sono esposti oggetti recuperati nei bauli dei passeggeri, come ad esempio banconote, spartiti musicali, un flauto, colletti di camicie da uomo, bretelle, pantaloni, addirittura delle boccette di un fabbricante di profumi di Manchester che fu tra i superstiti: chissà quale fragranza contengono mai oggi!
Nell'ultima sala ci sono i pannelli con tutti quanti i nomi dei superstiti e delle vittime, divisi secondo le tre classi. Mi sono presa appunti, e questo è quanto riportano:
Prima classe: 200 salvi e 125 vittime
Seconda classe: 120 salvi e 160 vittime
Terza classe: 180 salvi e 530 vittime
equipaggo: 210 salvi e 690 vittime
I totali però non combaciano con quanto indicava un altro pannello nel corso dell'esposizione, che indicava 705 superstiti e 1523 vittime totali. Addirittura su Google ho trovato una foto di questo pannello (Memorial Wall) in una tappa estera della mostra e questi stessi numeri sono diversi, e non di poco. Com'è possibile? Questo è un altro motivo di lamentela sulla mostra, perché almeno le informazioni fornite sarebbero dovute essere precise, o perlomeno ri-controllate. Sui pannelli qualche errore c'è, non soltanto di grammatica, evidentemente. Nella sala dedicata al carbone un pannello è scritto soltanto in inglese e non in italiano. Più spesso ho notato l'inverso, vale a dire che non sempre c'era la traduzione in inglese.
E per finire c'è il bookshop, dove non ci sono molti articoli. Da una mostra che sta girando il mondo mi aspettavo un pochino più di scelta. Ci sono t-shirt a 15 euro con due soli soggetti, la planimetria dei ponti oppure la fantomatica carta d'imbarco che qui in mostra non ci hanno dato. Ci sono cuscini allo stesso prezzo, e con riprodotta la solita carta d'imbarco. Ci sono alcuni (pochi) libri a tema Titanic, e uno smilzo catalogo della mostra, di cui non c'è nemmeno scritto il prezzo. Poi ci sono alcuni magneti e portachiavi vari che costano decisamente troppo (dai 7 euro in su). L'unica cosa simpatica che ho visto è la riproduzione di uno dei portacreme/portaciprie che erano esposti.
Il relitto del Titanic è rimasto celato per ben 73 anni, a circa 2 miglia dalla superficie (quasi 4000 mt di profondità), a 400 atmosfere di pressione. E' collocato a 740 km a sud est di Terranova, con la poppa a circa 600 metri dalla prua. Nel 1985 ci fu la prima spedizione di recupero, seguita da molte altre nel corso degli anni. Gli oggetti recuperati erano rimasti per decenni in condizioni di poco ossigeno, nessuna luce, 4000 atmosfere. Sono stati stabilizzati dopo il recupero per evitare la loro degradazione: sono stati desalinizzati, asciugati, e sottoposti a protezione e manutenzione, ovviamente in funzione del determinato tipo di materiale di cui sono fatti. I reperti recuperati ad oggi sono circa 5500. Tutti gli oggetti esposti in questa mostra erano conservati in apposite teche vetrate, con particolari condizioni di umidità (circa 32%) e temperatura (circa 65° F)
Però per la nave, lo scafo che rimane in fondo all'oceano, non si può fare niente, perché viene costantemente erosa da batteri che si nutrono di ferro. Il relitto è ricoperto da rustiches, ghiaccioli di ruggine che sono habitat di batteri e funghi. Gli scienziati calcolano che fra 40-90 anni lo scafo crollerà su se stesso.
P.S. Lungo tutto il percorso espositivo vi è costante divieto di fare fotografie e/o filmati. Ovviamente tutti i visitatori avevano il telefonino e ho visto che praticamente quasi tutti ogni tanto "rubavano" qualche immagine. L'ho fatto anch'io, con risultati qualitativamente non eccelsi. Con un biglietto così caro trovo assurdo il divieto di foto non ad uso professionale.
L'impressione nel complesso è stata positiva e toccante, ma non tutte le aspettative che nutrivo sono state soddisfatte, e adesso cercherò di spiegare il motivo, man mano che vi racconto la visita. Innanzitutto, avevo letto sul web recensioni di persone che avevano visitato l'esposizione altrove, a Las Vegas, Copenaghen, Bruxelles, etc, e avevano detto che il biglietto d'ingresso veniva accompagnato da un talloncino a mo' di carta d'imbarco, con un nominativo di uno dei veri passeggeri, e che a fine del percorso si sarebbe visto se questo nome era fra i sopravvissuti o fra i morti. Un semplice giochino a costo quasi zero, ma che aiutava il visitatore a immedesimarsi nei passeggeri del Titanic. A me qui a Torino non è stato dato nulla, e nemmeno alle altre persone entrate subito prima di me: prima delusione...
Subito dopo l'ingresso c'è poi la possibilità - se ho capito bene - di posare per la famosa foto in stile DiCaprio-Winslet sulla prua della nave, che si può scegliere di acquistare a fine percorso. Non ne sono certa perché non ho visto indicazioni scritte in corrispondenza di quel punto, e quando sono passata io i ragazzi dello staff stavano allegramente chiacchierando dei fatti loro e non ci hanno spiegato nulla, né tantomeno invitato a fare lo scatto.
Accanto ai ragazzi dello staff ho intravisto le audioguide, ma non ho capito se erano comprese o no nel biglietto, già salato di per sé (16 euro). Io in quel momento ero ancora perplessa per la mancanza della "carta d'imbarco", per cui ho proseguito senza audioguida, sperando che girando l'angolo mi avrebbero dato 'sto benedetto talloncino, cosa che però non è avvenuta.
Quindi, appena entrata, mi sono già imbattuta in un'imperdonabile mancanza di informazioni e di non corrispondenza a quanto mi aspettavo di trovare (la carta d'imbarco).
Nella prima saletta espositiva si tratta dell'utilizzo dei rivetti nella costruzione dello scafo. Non tutti furono montati con mezzi automatici, ma nei punti più difficili da raggiungere si fece ricorso all'intervento manuale di uomini e ragazzi. Questa osservazione sembra quasi voler implicare che il lavoro potesse non essere stato fatto bene, ma in realtà il Titanic andrò incontro al suo destino per tutta una serie di sfortune e coincidenze accumulatesi le une sulle altre... non penso che i rivetti da soli siano stati così determinanti.
Successivamente si vedono parte dei progetti e delle mappe dei ponti della grande nave e due modellini in scala, che riproducono con precisione il grande transatlantico.
In una saletta sulla sinistra (altra mancanza che ho notato sono le frecce che indicano il percorso di visita da seguire - per visitare questa saletta son dovuta tornare indietro ) ci sono le storie degli italiani del Titanic. A bordo del bastimento c'erano infatti 37 italiani, di cui soltanto 3 si salvarono. La maggior parte erano camerieri - moltissimi i piemontesi, liguri e lombardi - che erano stati assunti da Luigi Gatti, italiano emigrato in UK; non erano stati registrati come lavoratori sulla nave perché non c'era stato tempo, così Gatti, che non sopravvisse, diede una lettera con tutti i loro nomi a una passeggera che stava salendo su una scialuppa, affinché i loro parenti potessero essere informati della loro fine. C'è la copia de "La Stampa" del 18 aprile 1912, con un paginone contenente le prime notizie che erano arrivate.
Sui pannelli al muro ci sono le storie di molti dei passeggeri italiani, come quella di Sebastiano e Argese, marito e moglie da un paio di mesi e che stavano andando in America: lui non sopravvisse, lei era incinta e nel novembre diede alla luce una piccola che chiamò Maria Salvata. Storie così, come quella dei ragazzini e dei camerieri. Una fotografia che ritrae tutto lo staff dei camerieri insieme al loro coordinatore e al figlioletto di quest'ultimo, scattata al porto di Southampton prima di partire, e portata con sé a terra dal bambino che naturalmente scese prima che la nave salpasse.
Si ritorna nella sala precedente e ci si imbarca in senso figurato transitando su una piccola passerella, poi si passa attraverso quella che è la ricostruzione in scala reale del corridoio con le cabine di prima classe. Storie di persone comuni, ma anche di persone ricche e famose, perché il Titanic non risparmiò nessuno: fra le vittime ci furono milionari come Benjamin Guggenheim, John Jacob Astor IV, Isidor Straus (fondatore del grande magazzino Macy's). La moglie di quest'ultimo decise di condividerne il destino e di non salire sulla scialuppa di salvataggio per stare vicino al marito.
Le scialuppe furono uno dei grandi punti deboli del Titanic. Durante i lavori per la costruzione ne erano state previste 32, ma poi si decise di utilizzare lo spazio disponibile sul ponte in maniera diversa, e ne rimasero soltanto 16, più 4 pieghevoli di tela. A quell'epoca non esisteva una normativa che imponesse una dotazione sufficiente di scialuppe. Le 20 scialuppe esistenti avrebbero avuto una capienza di soltanto 1178 posti, ma in ogni modo le prime vennero calate in acqua con pochissime persone rispetto a quelle che sarebbero potute starci. Ad esempio nelle prime 7 c'erano soltanto 160 persone, su una disponibilità di spazio per 430. Questo anche perché il Titanic era ritenuto così "inaffondabile" che al principio le persone non capirono la gravità della situazione, e preferirono restare a bordo in attesa, piuttosto che sfidare il mare su delle fragili e insicure scialuppe, decisione che si rivelò poi sbagliata, come sappiamo.
Sono esposte diverse banconote recuperate nelle casseforti della nave. Prima del 1912 negli Stati Uniti la moneta veniva emessa sia dal governo federale sia da banche private, e sono stati recuperati esemplari di entrambe le tipologie.
Si arriva poi alla ricostruzione di una cabina di prima classe: ampia, spaziosa, con un lettone molto comodo. Nelle teche si vedono rubinetti, lavandini, tappi dei lavelli, e piastrelle dei bagni di bordo.
Nella sala successiva si possono vedere piatti, caraffe, tazze e posate dei diversi servizi disponibili a bordo, differenziati per le varie classi. Ad esempio c'è una coppa di cristallo con il logo White Star Lines usata in prima classe, e poi una caraffa più semplice in vetro usata nella terza classe.
E' sorprendente pensare che questi oggetti così fragili siano sopravvissuti al momento del naufragio rimanendo integri, e che poi abbiano trascorso decenni nelle profonde acque dell'oceano. A vedere alcuni di questi si direbbe che siano nuovi, invece su altri si nota bene la patina del tempo e degli avvenimenti. A parte il logo della White Star, la scritta Titanic non compariva mai su questi oggetti, e questo permetteva di poter riutilizzare le suppellettili su altre navi della compagnia, in caso di necessità. In altre teche ci sono piatti e ciotole a motivi floreali, non facenti parte dei servizi di bordo, ma probabilmente trasportati da qualche passeggero, dei pettini e delle ciotolette porta-cipria o porta-balsami.
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Il menu per la cena dell'ultima sera, nelle sale da pranzo delle diverse classi |
Proseguiamo nella visita e arriviamo alle riproduzioni fotografiche della sala fumatori, destinata agli uomini della prima classe, e la sala di lettura, destinata alle donne sempre della prima classe. Si scende nella saletta in basso e, nonostante il dislivello sia naturalmente presente nello spazio espositivo della Palazzina della Promotrice, qui non è stata riprodotto il famoso scalone del Titanic. Ci sono soltanto una foto e due teche con un pezzo di un lampadario e una sputacchiera.
Se, come avevo letto, lo scalone era invece presente nelle mostre all'estero (su Google ne trovate anche diverse foto), non mi spiego perché qui a Torino non abbiano voluto riproporlo: penso che lo spazio ci fosse e comunque i progettisti del percorso potevano sicuramente inventarsi qualcosa. Invece niente, e questa è un'altra delusione.
Proseguiamo per un altro stretto spazio, ed ecco la riproduzione del corridoio di terza classe con una cabina. La sistemazione è spartana rispetto a quanto visto sino a qui, con due letti tipo a castello e una mensola, ma comunque sembrava confortevole. Nel corso della mia vita mi è capitato di dormire in ostelli che avevano un aspetto ben peggiore.
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Riproduzione della cabina di terza classe |
Il costo del biglietto per una cabina di prima classe era di 2500 $ (pari a circa 57.000 $ di oggi). Le due suites esistenti costavano addirittura 4500 $ (circa 103.000 $ odierni). Prezzi davvero da capogiro.
I servizi presenti per i passeggeri di seconda classe del Titanic erano comunque analoghi a quelli della prima classe di altre compagnie. Le cabine avevano mobilio in mogano, legno bianco smaltato e piastrelle in linoleum; fra i servizi c'erano l'ascensore, la sala lettura, la biblioteca e la possibilità di fare passeggiate sul ponte. La sala da pranzo di seconda classe aveva 394 posti, per cui si dovevano fare i turni.
Anche le cabine di terza classe erano relativamente care, se rapportate ai costi odierni. Il biglietto costava 40 $ (circa 900 $ ai prezzi odierni) e ci si poteva trovare a viaggiare con altri passeggeri sconosciuti, poiché nella cabina il posto era per quattro persone. Sul soffitto potevano trovarsi tubi e travi, e di sicuro si sentivano rumori e vibrazioni provenienti dalle sale macchine. Però lo standard della White Star Lines era comunque alto rispetto ad altre compagnie, e ad esempio anche in terza classe c'erano materassi veri, e non quelli di paglia. Le vasche da bagno erano soltanto due, per circa 700 passeggeri di terza classe, ma ai tempi erano sufficienti perché in genere si faceva il bagno una volta alla settimana.
Abbandoniamo lo sfarzo dei ponti superiori e nella sala successiva vediamo qual era l'anima della nave, la sala macchine con le fornaci per il carbone. Il Titanic aveva 159 caldaie/fornaci e consumava la quantità folle di 850 tonnellate di carbone al giorno, pari a circa 1,5 kg. di carbone per metro percorso. Considerando quant'era lunga la traversata dell'Atlantico, non riesco nemmeno a fare il conto... Vediamo le fotografie e i nomi di alcuni dei ragazzini che portavano il carbone (trimmers) e di alcuni fuochisti. Il loro lavoro doveva essere davvero infernale.
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Dadi e bulloni delle gru che sostenevano le scialuppe |
Passiamo poi in un corridoio dove veniamo allertati da vari messaggi di altri bastimenti che nel corso della giornata del 14 aprile 1912 segnalavano la presenza di banchi di ghiaccio nella zona. Pare che le vedette del Titanic non disponessero nemmeno dei binocoli, perché nella fretta non erano stati caricati a bordo. La temperatura, sia dell'acqua che dell'aria, verso sera era scesa di molto.
Nell'esposizione il momento dell'impatto laterale con l'iceberg è riprodotto solo da un filmato simulato, che mostra come, dei 15 compartimenti stagni trasversali, 6 siano stati aperti dallo squarcio di 91 metri derivante dall'impatto, e poco alla volta la nave si sia spezzata in due tronconi e sia affondata. Passando oltre, si può toccare con mano una parete di vero ghiaccio, che ci fa rendere conto del gelo di quei momenti. Buona parte delle persone non morirono infatti per annegamento, quanto per assideramento.
In sostanza la mostra non si focalizza particolarmente sul momento drammatico dell'affondamento, ma sugli oggetti ritrovati e recuperati, nonché sulle storie di molti passeggeri.
Nella penultima sala sono esposti oggetti recuperati nei bauli dei passeggeri, come ad esempio banconote, spartiti musicali, un flauto, colletti di camicie da uomo, bretelle, pantaloni, addirittura delle boccette di un fabbricante di profumi di Manchester che fu tra i superstiti: chissà quale fragranza contengono mai oggi!
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Foto tratta dalla pagina Facebook della mostra, raffigurante una parte delle panchine del ponte |
Prima classe: 200 salvi e 125 vittime
Seconda classe: 120 salvi e 160 vittime
Terza classe: 180 salvi e 530 vittime
equipaggo: 210 salvi e 690 vittime
I totali però non combaciano con quanto indicava un altro pannello nel corso dell'esposizione, che indicava 705 superstiti e 1523 vittime totali. Addirittura su Google ho trovato una foto di questo pannello (Memorial Wall) in una tappa estera della mostra e questi stessi numeri sono diversi, e non di poco. Com'è possibile? Questo è un altro motivo di lamentela sulla mostra, perché almeno le informazioni fornite sarebbero dovute essere precise, o perlomeno ri-controllate. Sui pannelli qualche errore c'è, non soltanto di grammatica, evidentemente. Nella sala dedicata al carbone un pannello è scritto soltanto in inglese e non in italiano. Più spesso ho notato l'inverso, vale a dire che non sempre c'era la traduzione in inglese.
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Piatti disposti in fila, così come sono stati ritrovati in fondo al mare (erano probabilmente impilati in qualche credenza e sono rimasti così per decenni) |
E per finire c'è il bookshop, dove non ci sono molti articoli. Da una mostra che sta girando il mondo mi aspettavo un pochino più di scelta. Ci sono t-shirt a 15 euro con due soli soggetti, la planimetria dei ponti oppure la fantomatica carta d'imbarco che qui in mostra non ci hanno dato. Ci sono cuscini allo stesso prezzo, e con riprodotta la solita carta d'imbarco. Ci sono alcuni (pochi) libri a tema Titanic, e uno smilzo catalogo della mostra, di cui non c'è nemmeno scritto il prezzo. Poi ci sono alcuni magneti e portachiavi vari che costano decisamente troppo (dai 7 euro in su). L'unica cosa simpatica che ho visto è la riproduzione di uno dei portacreme/portaciprie che erano esposti.
Il relitto del Titanic è rimasto celato per ben 73 anni, a circa 2 miglia dalla superficie (quasi 4000 mt di profondità), a 400 atmosfere di pressione. E' collocato a 740 km a sud est di Terranova, con la poppa a circa 600 metri dalla prua. Nel 1985 ci fu la prima spedizione di recupero, seguita da molte altre nel corso degli anni. Gli oggetti recuperati erano rimasti per decenni in condizioni di poco ossigeno, nessuna luce, 4000 atmosfere. Sono stati stabilizzati dopo il recupero per evitare la loro degradazione: sono stati desalinizzati, asciugati, e sottoposti a protezione e manutenzione, ovviamente in funzione del determinato tipo di materiale di cui sono fatti. I reperti recuperati ad oggi sono circa 5500. Tutti gli oggetti esposti in questa mostra erano conservati in apposite teche vetrate, con particolari condizioni di umidità (circa 32%) e temperatura (circa 65° F)
Però per la nave, lo scafo che rimane in fondo all'oceano, non si può fare niente, perché viene costantemente erosa da batteri che si nutrono di ferro. Il relitto è ricoperto da rustiches, ghiaccioli di ruggine che sono habitat di batteri e funghi. Gli scienziati calcolano che fra 40-90 anni lo scafo crollerà su se stesso.
P.S. Lungo tutto il percorso espositivo vi è costante divieto di fare fotografie e/o filmati. Ovviamente tutti i visitatori avevano il telefonino e ho visto che praticamente quasi tutti ogni tanto "rubavano" qualche immagine. L'ho fatto anch'io, con risultati qualitativamente non eccelsi. Con un biglietto così caro trovo assurdo il divieto di foto non ad uso professionale.
mostra Titanic a Torino
Titanic. The artifact exhibition
Torino, Palazzina Promotrice delle Belle Arti
18 marzo 2017 -
In mostra pezzi autentici della nave, oggetti originali di proprietà dei passeggeri, la ricostruzione in scala reale di una cabina di prima classe e una di terza classe, il celebre ponte principale, reperti e filmati dell'epoca.
Oggi quegli oggetti compongono l'essenza di una mostra itinerante che ha commosso e continua a commuovere tutto il mondo. Uno straordinario successo che ha già affascinato oltre 25 milioni di visitatori e che per la primissima volta in assoluto arriva in Italia, con la produzione di Dimensione Eventi, su licenza Premier Exhibitions.
Si sentirà il rombo delle caldaie della nave e una parete reale di ghiaccio farà comprendere le condizioni di freddo delle prime ore del mattino del 15 aprile 1912. Le audioguide racconteranno la collisione con l'iceberg e l'affondamento della nave dei sogni. Il percorso museale terminerà con il Memorial Wall e l'elenco di tutti i passeggeri, tra dispersi e salvati, nel viaggio del Titanic.
In un post successivo vi racconto la mia visita. Sappiate che se cercate informazioni su Google relativamente alle precedenti tappe di questa mostra (ad esempio a Las Vegas, Copenaghen o Bruxelles) potrete vedere foto o sentir raccontare di parti della mostra che qui a Torino non sono state allestite. La versione torinese è molto più ridotta (nonostante il biglietto non lo sia).
venerdì 2 dicembre 2016
alberto angela a giovedìscienza
La Gioconda non è solo un quadro da ammirare. In realtà è un viaggio nella mente e nelle emozioni di Leonardo. È una porta che si spalanca su un luogo e su un’epoca indimenticabili: Firenze (ma anche Milano, Roma, Mantova, Urbino...) e il Rinascimento.
Sarà Monna Lisa stessa a “raccontarci” Leonardo, il genio che l’ha potuta pensare e realizzare, e che ci svelerà i segreti delle incredibili macchine e invenzioni (un palombaro, un paracadute, un robot!).
Ma che cosa sappiamo di lei? Chi è davvero questa donna misteriosa? Partendo da ogni dettaglio del quadro e ricostruendo le circostanze in cui Leonardo lo dipinse, Alberto Angela ci accompagna a scoprire che il volto della Gioconda non ha ciglia né sopracciglia, o che il segreto del paesaggio va ricercato nel nuovo tipo di prospettiva “aerea” ideato da Leonardo.
Sarà Monna Lisa stessa a “raccontarci” Leonardo, il genio che l’ha potuta pensare e realizzare, e che ci svelerà i segreti delle incredibili macchine e invenzioni (un palombaro, un paracadute, un robot!).
Ma che cosa sappiamo di lei? Chi è davvero questa donna misteriosa? Partendo da ogni dettaglio del quadro e ricostruendo le circostanze in cui Leonardo lo dipinse, Alberto Angela ci accompagna a scoprire che il volto della Gioconda non ha ciglia né sopracciglia, o che il segreto del paesaggio va ricercato nel nuovo tipo di prospettiva “aerea” ideato da Leonardo.
Ieri sera - lunedì 1 dicembre - Alberto Angela ha incontrato il pubblico torinese, nell'ambito di GiovedìScienza.
Il Teatro Colosseo è completamente pieno (1500 posti fra platea e galleria) già mezz'ora prima dell'orario previsto per l'inizio dell'incontro. Per fortuna io e la mia collega riusciamo a trovare due poltrone, anche se siamo in alto, a circa metà galleria.
Il Teatro Colosseo è completamente pieno (1500 posti fra platea e galleria) già mezz'ora prima dell'orario previsto per l'inizio dell'incontro. Per fortuna io e la mia collega riusciamo a trovare due poltrone, anche se siamo in alto, a circa metà galleria.

La conferenza comincia verso le 17.55,
con una breve introduzione di Piero Bianucci.
Nel preambolo Alberto Angela
ricorda subito come il palco del Colosseo sia stato quello dove tenne
la sua prima conferenza pubblica, sempre con Bianucci, molti anni fa.
All'epoca avere la luce dei riflettori direttamente puntata in faccia
equivaleva ad avere un senso di tranquillità, perché non si rendeva
ben conto di avere davanti a sé tutto quel pubblico. Alberto chiede
se per chi sta riprendendo via streaming l'evento è un problema se
lui si alzasse dalla poltroncina e si mettesse a camminare sul palco.
Così fa.
La Gioconda è stata una delle icone
del Novecento. Nel suo ultimo libro “Gli occhi della Gioconda” Angela
propone una delle ipotesi dello studioso Carlo Pedretti, ovvero che
la Gioconda che noi conosciamo non sia Monna Lisa bensì un'altra
donna. E grazie a questo dibattito sulla Gioconda, il libro ci permette di fare un viaggio nella mente e nell'epoca di Leonardo da Vinci.
A metà '500 il Vasari ne “Le Vite”
intendeva riassumere il Rinascimento, un'epoca già conclusa ed
irripetibile. In questo testo Vasari parla del ritratto di tale Lisa
Gherardini, commissionato a Leonardo dal marito, il mercante Mastro
Giocondo. Già potrebbe risultare strano che Leonardo facesse un
quadro per un mercante, e non per un principe o un più alto
personaggio. Ancor più strano pensare che la dama in questione
doveva avere circa 15 anni, mentre il ritratto che noi oggi
conosciamo non sembra affatto quello di una quindicenne.
Angela racconta poi che la Firenze
del '500 è una città in decadenza. Leonardo realizza la Gioconda in
questo contesto, volendo continuare la tradizione delle grandi opere.
Racconta anche dei cartoni preparatori da lui realizzati per la Battaglia di Anghiari, per i quali utilizzò la tecnica dell'encausto (si mescolavano pigmenti e cera, poi avvicinando dei bracieri caldi, la cera sgusciava fuori dai tratti, e usando un apposito panno il tutto diventava simile a marmo). Purtroppo il procedimento non funzionò bene, e il caldo dei bracieri rovinò tutta l'opera. Successivamente fu proprio Vasari a ricoprire la parete con dei nuovi affreschi. Che ne fu del lavoro di Leonardo? Venne coperto e distrutto, oppure il Vasari lo nascose con una sorta di intercapedine? Non si sa.
Racconta anche dei cartoni preparatori da lui realizzati per la Battaglia di Anghiari, per i quali utilizzò la tecnica dell'encausto (si mescolavano pigmenti e cera, poi avvicinando dei bracieri caldi, la cera sgusciava fuori dai tratti, e usando un apposito panno il tutto diventava simile a marmo). Purtroppo il procedimento non funzionò bene, e il caldo dei bracieri rovinò tutta l'opera. Successivamente fu proprio Vasari a ricoprire la parete con dei nuovi affreschi. Che ne fu del lavoro di Leonardo? Venne coperto e distrutto, oppure il Vasari lo nascose con una sorta di intercapedine? Non si sa.
Gli occhi della Gioconda colpiscono in
modo particolare, privi di ciglia e di sopracciglia, così come la
bocca, risultato di una serie di passaggi semitrasparenti che rendono
indefiniti i lineamenti. Leonardo usava una sua tecnica di sfumato,
con strati successivi sul tratto originale. Inoltre pare che avesse
una serie di taccuini su cui riportava tipologie di parti del volto,
ad esempio aveva individuato 21 tipologie di nasi diversi, ed era in
grado di disegnare i volti usando questi vari elementi anche a
distanza di tempo. Ricordiamoci di questa cosa perché tornerà utile
nelle conclusioni finali.
Leonardo fece anche approfonditi studi di fisiognomica, e dipingeva un po' come se fosse un fotografo.
Leonardo fece anche approfonditi studi di fisiognomica, e dipingeva un po' come se fosse un fotografo.
A questo punto Angela passa in rassegna
diversi quadri leonardeschi, mostrandone le slides. Sia nel “Ritratto di Ginevra de' Benci” sia nella “Dama con l'ermellino” Leonardo
dava movimento al corpo, nel ritratto: la figura era spesso
riprodotta di tre quarti.
Ci mostra poi il disegno preparatorio per il ritratto (di profilo) di Isabella d'Este, che insisteva con lui per farsi ritrarre. In realtà non è chiaro se un successivo quadro a colori sia mai stato realizzato.
Ci mostra poi il disegno preparatorio per il ritratto (di profilo) di Isabella d'Este, che insisteva con lui per farsi ritrarre. In realtà non è chiaro se un successivo quadro a colori sia mai stato realizzato.
Nella Belle Ferronière, anch'essa
conservata al Louvre, il vestito è dello stesso stile di quello
della Gioconda, con le maniche con larghi squarci da cui uscivano gli
sbuffi della camicia. Le pieghe del vestito erano un segno della
qualità dell'abito.
Angela continua mostrandoci il
celeberrimo autoritratto a sanguigna di Leonardo, conservato proprio
alla Biblioteca Reale di Torino.
Raffaello fu folgorato dalla Gioconda
quando la vide, tanto da realizzare un quadro simile, come posa ed
elementi. Copie molto simili della Gioconda, di altri autori, sono
tuttora conservate al Prado e a San Pietroburgo. E ce n'è
addirittura una, che ritrae effettivamente una ragazza giovane, che
potrebbe essere una quindicenne, con fondale del tutto diverso (e che
si trova attualmente in un caveau a Singapore).
Nel capitolo 4, “Sulle tracce di
Leonardo”, Angela ci racconta come Leonardo fosse un figlio
illegittimo. Il nonno paterno era notaio, e, contrario alla relazione
del figlio con una contadina, trafficò per farla sposare a un
contadino, e non al suo prezioso figlio. Il piccolo Leonardo visse un
po' con il nonno paterno e un po' con la madre. A un certo punto
torna il suo vero padre e a Leonardo venne impartita un'istruzione a
Firenze. Il ragazzino faceva dei bellissimi disegni, e il padre si
convinse a mandarlo a bottega dal Verrocchio (insieme a personaggi
quali Botticelli, Perugino, Ghirlandaio). Ben presto l'allievo superò
il maestro.
Una curiosità: sembra che il David della bottega del Verrocchio ritraesse Leonardo da giovane.
Una curiosità: sembra che il David della bottega del Verrocchio ritraesse Leonardo da giovane.
Anche della Vergine delle Rocce ne
esistono due versioni, fatte entrambi da Leonardo (una conservata al
Louvre e una alla National Gallery di Londra). Questo perché i frati
che l'avevano commissionata erano disposti soltanto a pagare le
spese vive dei pigmenti etc.. e non a pagarla a prezzo di mercato.
Per cui Leonardo vendette il primo quadro a chi glielo pagava di più,
e poi ne realizzò una seconda versione, senza perderci troppo tempo,
per i monaci.
Le mani della Gioconda sono mani che
parlano. Anch'esse sono sfumate, senza nervature in rilievo. Leonardo
aveva compiuto approfonditi studi di anatomia, e ne è rimasta
testimonianza nei suoi disegni.
Nel paesaggio che si intravede sullo
sfondo della Gioconda vi sono una strada, un fiume e un ponte a più
arcate. Potrebbe trattarsi del Ponte Buriano, sulla Cassia nei pressi
di Arezzo, però le strutture rocciose riprodotte non combaciano con
quel luogo, sembrano invece le gole di Prat'antico, vicino a Firenze.
Nella Gioconda è molto evidente la prospettiva aerea usata da
Leonardo: gli oggetti che stanno sullo sfondo sono sfumati, azzurrati
in distanza, proprio per evidenziare lo “spessore dell'aria” -
invece gli oggetti vicini sono in basso, colorati e nitidi.
La parte posteriore della Gioconda è
una tavola di legno, non una tela. Sulla parte davanti, ci sono
almeno mezzo milione di screpolature.
La Gioconda ha perso i suoi colori originali perché, quando si trovava nelle Collezioni Reali francesi, vennero messi vari strati di vernice. Adesso i colori sono piuttosto scuri, si sono incupiti. Qualche tempo fa, nel laboratorio di restauro di Aramengo, vicino ad Asti, la famiglia Nicola ha effettuato una pulitura digitale su un'immagine della Gioconda mostrando come doveva essere coi suoi colori originali, quando Leonardo la dipinse.
La Gioconda ha perso i suoi colori originali perché, quando si trovava nelle Collezioni Reali francesi, vennero messi vari strati di vernice. Adesso i colori sono piuttosto scuri, si sono incupiti. Qualche tempo fa, nel laboratorio di restauro di Aramengo, vicino ad Asti, la famiglia Nicola ha effettuato una pulitura digitale su un'immagine della Gioconda mostrando come doveva essere coi suoi colori originali, quando Leonardo la dipinse.
Leonardo trascorse i suoi ultimi anni
in Francia, presso la corte di Francesco I. Portò con sé pochi
quadri, fra cui il San Giovanni Battista, a cui era molto affezionato
(il modello del quadro era stato il suo allievo, nonché
amante, Salai). Prima di morire, Leonardo regalò questi suoi quadri a
Salai, e fu poi quest'ultimo a venderli alla corona francese (la Gioconda per 12mila
ducati).
E' stato in occasione del famoso furto
avvenuto nel 1911 che la Gioconda conobbe un periodo di particolare
fama. Sul finire dell'800 era comunque considerata un sex symbol per
il suo sguardo seduttivo, mentre nel '900 cominciò ad essere oggetto
di ironia e prese in giro da parte di vari artisti.
Per tirare le fila del discorso, chi è
la Gioconda esposta oggi al Louvre? Leonardo fece il quadro su
commissione di Francesco del Giocondo, come è stato detto al
principio.
Ma che fine ha fatto questo primo
quadro? Non esiste prova che sia avvenuto il pagamento. Giocondo non
vi fa alcun riferimento nel suo testamento. E nemmeno nessuno fa mai
riferimento alla Gioconda durante la vita di Leonardo.
Giuliano de Medici (uno dei figli di
Lorenzo il Magnifico) aveva un'amante che morì di parto. Giuliano
riconobbe il figlio, ed è possibile che abbia chiesto a Leonardo di
fare un ritratto della donna morta (Leonardo l'aveva conosciuta tempo
prima). Questa donna potrebbe essere quella ritratta nella tela oggi
conservata al Louvre. D'altronde vi è anche una frase del segretario
di un cardinale in visita all'anziano Leonardo presso la corte
francese: “Leonardo ci ha mostrato un ritratto di dama commissionatagli da
Giuliano”.
L'ipotesi indicata dal libro – e
sostenuta dallo studioso Pedretti – è quindi che al Louvre non ci
sarebbe Monna Lisa (la moglie di Francesco del Giocondo), bensì
Pacifica Brandani, l'amante di Giuliano de Medici (e quindi, se vogliamo, Monna Pacifica).
Alberto Angela va avanti per
oltre un'ora e mezza con la sua esposizione. Finisce verso le 19.20.
Non mi sono distratta neanche per un attimo, e l'avrei ascoltato ancora a lungo.
Non mi sono distratta neanche per un attimo, e l'avrei ascoltato ancora a lungo.
mercoledì 19 ottobre 2016
toulouse-lautrec in mostra a torino
Toulouse-Lautrec. La Belle Époque
Palazzo Chiablese, Torino
22 ottobre 2016 - 5 marzo 2017
Dopo mesi di notizie discordanti a proposito di annullamento definitivo e/o di rinvii vari, si apre finalmente in città questa benedetta mostra, annunciata mesi fa e sempre rimandata.
Con circa 170 opere, tutte provenienti dalla collezione dell’Herakleidon Museum di Atene, si apre a Palazzo Chiablese una grande retrospettiva dedicata a Toulouse-Lautrec, l’aristocratico bohémien considerato il più grande creatore di manifesti e stampe tra il XIX e XX secolo.
Il percorso illustra l’arte eccentrica e la ricercata poetica anticonformista e provocatoria - tra le più innovative tra Ottocento e Novecento - di uno degli artisti oggi più apprezzati e ammirati; un’anima da "artista tormentato" fin dall’infanzia e non adeguatamente "riconosciuto", seppur pervaso da un fortissimo slancio ottimista e dalla consapevolezza della bellezza della vita. Una bellezza semplice, dai contorni volutamente sfumati e da vivere in momenti dissoluti, dai colori forti e spregiudicati e priva di abbellimenti, nei disegni come nelle tinte. Nessuno, dopo di lui, è stato in grado di rendere così "perfetto" il volto dell’imperfezione. È questo il suo stile.
In mostra litografie a colori (come Jane Avril, 1893), manifesti pubblicitari (come La passeggera della cabina 54 del 1895 e Aristide Bruant nel suo cabaret del 1893), disegni a matita e a penna, grafiche promozionali e illustrazioni per giornali (come in La Revue blanche del 1895) diventati emblema di un’epoca indissolubilmente legata alle immagini di Toulouse-Lautrec.
Palazzo Chiablese, Torino
22 ottobre 2016 - 5 marzo 2017
Dopo mesi di notizie discordanti a proposito di annullamento definitivo e/o di rinvii vari, si apre finalmente in città questa benedetta mostra, annunciata mesi fa e sempre rimandata.
Con circa 170 opere, tutte provenienti dalla collezione dell’Herakleidon Museum di Atene, si apre a Palazzo Chiablese una grande retrospettiva dedicata a Toulouse-Lautrec, l’aristocratico bohémien considerato il più grande creatore di manifesti e stampe tra il XIX e XX secolo.
Il percorso illustra l’arte eccentrica e la ricercata poetica anticonformista e provocatoria - tra le più innovative tra Ottocento e Novecento - di uno degli artisti oggi più apprezzati e ammirati; un’anima da "artista tormentato" fin dall’infanzia e non adeguatamente "riconosciuto", seppur pervaso da un fortissimo slancio ottimista e dalla consapevolezza della bellezza della vita. Una bellezza semplice, dai contorni volutamente sfumati e da vivere in momenti dissoluti, dai colori forti e spregiudicati e priva di abbellimenti, nei disegni come nelle tinte. Nessuno, dopo di lui, è stato in grado di rendere così "perfetto" il volto dell’imperfezione. È questo il suo stile.
In mostra litografie a colori (come Jane Avril, 1893), manifesti pubblicitari (come La passeggera della cabina 54 del 1895 e Aristide Bruant nel suo cabaret del 1893), disegni a matita e a penna, grafiche promozionali e illustrazioni per giornali (come in La Revue blanche del 1895) diventati emblema di un’epoca indissolubilmente legata alle immagini di Toulouse-Lautrec.
martedì 30 agosto 2016
la festa della segale in valle gesso
Ogni anno, la prima domenica successiva al Ferragosto, a Sant'Anna di Valdieri (CN) si tiene la festa della segale.
Il paesino si trova in Valle Gesso, una vallata incuneata all'estremo sud-ovest del Piemonte, fra il Cuneese e la Costa Azzurra. Il territorio è compreso nel Parco naturale delle Alpi Marittime, che oltre frontiera diventa il parco francese del Mercantour.
Nel corso dell'Ottocento queste zone affascinarono moltissimo il re Vittorio Emanuele I di Savoia, che le fece riserva reale di caccia, e vi costruì residenze per soggiorni più o meno prolungati. Anche i suoi successori frequentarono volentieri questi luoghi, e la loro presenza lasciò un'impronta profonda sul territorio e nella memoria popolare degli abitanti. Grazie alla presenza della riserva reale, fu garantita la sopravvivenza di camosci e di stambecchi, al pari di quanto successe nel parco del Gran Paradiso.
In passato in Valle Gesso si coltivava la segale, un cereale rustico e resistente al clima severo delle montagne, che era alla base di una vera e propria "civiltà della segale". Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, per la valle la segale significò non soltanto poter avere pane oppure paglia per gli animali, ma anche disporre di un ottimo materiale, isolante e resistente, per costruire i tetti. Quindi un elemento importantissimo e indispensabile sia per l'alimentazione, sia per l'uso comune nella vita quotidiana.
In mancanza d'altro, si cercava di sfruttare al meglio ciò che si aveva, e la segale era una delle cose più facilmente recuperabili.
Esiste un proverbio bretone che recita così: "faute de froment les alouettes font leur nid dans le seigle", vale a dire che in mancanza di grano le allodole fanno il loro nido nella segale, cioè si adattano come meglio possono.
In montagna la segale arrivava a maturazione solo a fine luglio, principio di agosto, e la battitura avveniva nei cortili, con la partecipazione dell'intera popolazione, accompagnata da una festa occitana con musiche e danze. Si trattava di un momento fondamentale, di forte aggregazione sociale, retaggio di antichi riti agresti di fertilità.
La festa della Segale vuole rievocare proprio quel momento di festa del passato. Gli eventi vanno avanti nell'intero fine settimana, anche se noi abbiamo assistito soltanto alle manifestazioni della domenica. Lungo una delle due vie principali del paese c'è un mercatino di prodotti enogastronomici e artigianali tipici del luogo, dove i prodotti da forno la fanno da padrone (e non soltanto quelli fatti con la farina di segale...), accanto a miele, aglio, lavande e peperoni. All'ingresso del paese i volontari in costume d'epoca mettono in scena la rievocazione della battitura della segale con un particolare attrezzo chiamato "cavalia", e mostrano ai visitatori come viene fatto il pane (che si può anche acquistare). Immancabile come in ogni sagra di paese è poi il pranzo organizzato dalla Pro Loco a base di polenta, salsiccia e un bicchiere di vino rosso.
Nel pomeriggio c'è una breve sfilata in costume d'epoca, con un carretto e tanti bambini che imbracciano fiori e fascine di segale. Nel corteo sfila anche uno strano personaggio con la faccia colorata di nero e un costume di corda di paglia, una coda e un cappellone di treccia di segale: si tratta della maschera dell’Orso di Segale, che lungo il percorso tenta di spaventare i bambini e importunare (bonariamente) le persone. Le origini di questa maschera carnevalesca si perdono nella notte dei tempi; probabilmente l'Orso era metafora della natura che si risvegliava in primavera, oppure era simbolo dell'uomo selvatico.
A fine pomeriggio, per chiudere la festa, si tiene un concerto di musiche occitane, accompagnato da balli. Quest'anno si è esibito il gruppo dei Lou Tapage, un gruppo folk rock che canta anche in occitano e francese. Me ne aveva già lungamente parlato un'amica che li conosce e li segue da tempo, e ho trovato la loro musica davvero travolgente.
Nel corso dell'Ottocento queste zone affascinarono moltissimo il re Vittorio Emanuele I di Savoia, che le fece riserva reale di caccia, e vi costruì residenze per soggiorni più o meno prolungati. Anche i suoi successori frequentarono volentieri questi luoghi, e la loro presenza lasciò un'impronta profonda sul territorio e nella memoria popolare degli abitanti. Grazie alla presenza della riserva reale, fu garantita la sopravvivenza di camosci e di stambecchi, al pari di quanto successe nel parco del Gran Paradiso.
In passato in Valle Gesso si coltivava la segale, un cereale rustico e resistente al clima severo delle montagne, che era alla base di una vera e propria "civiltà della segale". Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, per la valle la segale significò non soltanto poter avere pane oppure paglia per gli animali, ma anche disporre di un ottimo materiale, isolante e resistente, per costruire i tetti. Quindi un elemento importantissimo e indispensabile sia per l'alimentazione, sia per l'uso comune nella vita quotidiana.
In mancanza d'altro, si cercava di sfruttare al meglio ciò che si aveva, e la segale era una delle cose più facilmente recuperabili.
Esiste un proverbio bretone che recita così: "faute de froment les alouettes font leur nid dans le seigle", vale a dire che in mancanza di grano le allodole fanno il loro nido nella segale, cioè si adattano come meglio possono.
In montagna la segale arrivava a maturazione solo a fine luglio, principio di agosto, e la battitura avveniva nei cortili, con la partecipazione dell'intera popolazione, accompagnata da una festa occitana con musiche e danze. Si trattava di un momento fondamentale, di forte aggregazione sociale, retaggio di antichi riti agresti di fertilità.
La festa della Segale vuole rievocare proprio quel momento di festa del passato. Gli eventi vanno avanti nell'intero fine settimana, anche se noi abbiamo assistito soltanto alle manifestazioni della domenica. Lungo una delle due vie principali del paese c'è un mercatino di prodotti enogastronomici e artigianali tipici del luogo, dove i prodotti da forno la fanno da padrone (e non soltanto quelli fatti con la farina di segale...), accanto a miele, aglio, lavande e peperoni. All'ingresso del paese i volontari in costume d'epoca mettono in scena la rievocazione della battitura della segale con un particolare attrezzo chiamato "cavalia", e mostrano ai visitatori come viene fatto il pane (che si può anche acquistare). Immancabile come in ogni sagra di paese è poi il pranzo organizzato dalla Pro Loco a base di polenta, salsiccia e un bicchiere di vino rosso.
Nel pomeriggio c'è una breve sfilata in costume d'epoca, con un carretto e tanti bambini che imbracciano fiori e fascine di segale. Nel corteo sfila anche uno strano personaggio con la faccia colorata di nero e un costume di corda di paglia, una coda e un cappellone di treccia di segale: si tratta della maschera dell’Orso di Segale, che lungo il percorso tenta di spaventare i bambini e importunare (bonariamente) le persone. Le origini di questa maschera carnevalesca si perdono nella notte dei tempi; probabilmente l'Orso era metafora della natura che si risvegliava in primavera, oppure era simbolo dell'uomo selvatico.
A fine pomeriggio, per chiudere la festa, si tiene un concerto di musiche occitane, accompagnato da balli. Quest'anno si è esibito il gruppo dei Lou Tapage, un gruppo folk rock che canta anche in occitano e francese. Me ne aveva già lungamente parlato un'amica che li conosce e li segue da tempo, e ho trovato la loro musica davvero travolgente.
giovedì 24 marzo 2016
da poussin agli impressionisti
Da Poussin agli Impressionisti. Tre secoli di pittura francese dall'Ermitage
Torino, Palazzo Madama
11 marzo - 4 luglio 2016
Dopo infiniti rinvii di data, si è finalmente aperta a Palazzo Madama una grande mostra dedicata alla storia dell’arte francese. Capolavori straordinari che rispecchiano l’evolversi del gusto artistico in Russia e la passione per l’arte francese, e al contempo testimoniano l’amore per l’Italia di molti dei pittori in mostra.
Una selezione di oltre 70 opere dalle collezioni del prestigioso Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo (la cui collezione di pittura francese conta oltre duemila dipinti, la più vasta raccolta al di fuori della Francia) per una mostra che illustra la storia della pittura francese dal 1600 alla fine dell’Ottocento, dall’avvento delle accademie fino alla nuova libertà della pittura en plein air proposta dagli impressionisti.
L’esposizione intreccia tutti i grandi temi della pittura moderna – dai soggetti sacri a quelli mitologici, dalla natura morta al ritratto, dal paesaggio alla scena di genere – e delinea la storia della fortuna dell’arte francese in Russia: le ragioni storiche e culturali del successo di alcuni generi accademici, rispetto all’impegno sociale delle correnti realiste; il gusto raffinato di Caterina II che nel 1772 si aggiudicò gran parte dei dipinti raccolti a Parigi dal celebre amateur francese Pierre Crozat negli anni a cavallo tra il Sei e il Settecento; gli acquisti alla moda dei ricchi aristocratici russi nell’Ottocento, le riorganizzazioni dei musei nel Novecento in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre.
Il percorso in mostra, articolato in 12 sezioni per un totale di circa 50 artisti, si apre con le influenze caravaggesche di Simon Vouet, prosegue attraverso il destino dei grandi maestri del classicismo, da Philippe de Champaigne ai sommi Poussin e Lorrain; attraversa la nuova libertà della pittura di Watteau, Boucher e Fragonard, per approdare al ritorno all’antico di Greuze e alla poesia venata di Romanticismo di Vernet e Hubert Robert; il neoclassicismo di Ingres si intreccia al nuovo sentimento del paesaggio che si affaccia con Croot e all’affermazione dell’Impressionismo con Renoir, Sisley, Monet, Pissarro, fino all’apertura verso le avanguardie moderne con Cézanne e Matisse.
Torino, Palazzo Madama
11 marzo - 4 luglio 2016
Dopo infiniti rinvii di data, si è finalmente aperta a Palazzo Madama una grande mostra dedicata alla storia dell’arte francese. Capolavori straordinari che rispecchiano l’evolversi del gusto artistico in Russia e la passione per l’arte francese, e al contempo testimoniano l’amore per l’Italia di molti dei pittori in mostra.
Una selezione di oltre 70 opere dalle collezioni del prestigioso Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo (la cui collezione di pittura francese conta oltre duemila dipinti, la più vasta raccolta al di fuori della Francia) per una mostra che illustra la storia della pittura francese dal 1600 alla fine dell’Ottocento, dall’avvento delle accademie fino alla nuova libertà della pittura en plein air proposta dagli impressionisti.
L’esposizione intreccia tutti i grandi temi della pittura moderna – dai soggetti sacri a quelli mitologici, dalla natura morta al ritratto, dal paesaggio alla scena di genere – e delinea la storia della fortuna dell’arte francese in Russia: le ragioni storiche e culturali del successo di alcuni generi accademici, rispetto all’impegno sociale delle correnti realiste; il gusto raffinato di Caterina II che nel 1772 si aggiudicò gran parte dei dipinti raccolti a Parigi dal celebre amateur francese Pierre Crozat negli anni a cavallo tra il Sei e il Settecento; gli acquisti alla moda dei ricchi aristocratici russi nell’Ottocento, le riorganizzazioni dei musei nel Novecento in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre.
Il percorso in mostra, articolato in 12 sezioni per un totale di circa 50 artisti, si apre con le influenze caravaggesche di Simon Vouet, prosegue attraverso il destino dei grandi maestri del classicismo, da Philippe de Champaigne ai sommi Poussin e Lorrain; attraversa la nuova libertà della pittura di Watteau, Boucher e Fragonard, per approdare al ritorno all’antico di Greuze e alla poesia venata di Romanticismo di Vernet e Hubert Robert; il neoclassicismo di Ingres si intreccia al nuovo sentimento del paesaggio che si affaccia con Croot e all’affermazione dell’Impressionismo con Renoir, Sisley, Monet, Pissarro, fino all’apertura verso le avanguardie moderne con Cézanne e Matisse.
giovedì 10 marzo 2016
la santa degli zingari
C'è una cittadina della Camargue nella quale si respira un'atmosfera decisamente particolare, molto poco francese e invece tanto andalusa.
Si tratta di Saintes-Maries-de-la-Mer, dove ci si imbatte, invece che in lavanda e saponette, in trofei di teste di toro appese nei bar e pittoreschi stivaloni in cuoio esposti sulle bancarelle del mercato.
Il paese prende il nome dalla tradizione secondo cui Maria Jacoba, cugina della Madonna, e Maria Salomé giunsero su un'imbarcazione senza vela né timone (insieme ad altri personaggi illustri in fuga dalla Palestina, fra cui san Lazzaro, la Maria Maddalena, Santa Marta e San Giacomo) su una spiaggia nelle vicinanze.
Le due Marie in questione erano accompagnate dalla loro serva Sara, di pelle scura, e restarono a vivere nei pressi del luogo del loro sbarco. Da qui partì l'evangelizzazione della Gallia. Come potete notare, "Il codice da Vinci" riprende una leggenda ben nota: Dan Brown non ha inventato nulla di originale.
Il villaggio è conosciuto soprattutto per il pellegrinaggio degli zingari (les Gitans), che accorrono ogni anno da tutta Europa in occasione della festa di Santa Sara, la Santa degli zingari, che per l'appunto è la loro patrona.
I festeggiamenti si svolgono il 24 e il 25 maggio: durante il primo giorno la statua di Sara, coperta di gioielli e vestiti colorati, viene trasportata sin sulla spiaggia nel corso di una processione, per benedire le onde che la portarono sin lì. Gli zingari portano a spalle la loro santa e sono accompagnati dai Gardians camarguesi a cavallo. Il giorno successivo una seconda processione è invece dedicata alle due sante Marie, e termina sempre sulla spiaggia.
Le reliquie delle due Marie e di Sara sono conservate nell'Eglise des Saintes Maries, che si individua senza difficoltà perché la sua torre svetta massicciamente sui tetti rossi della cittadina. Anzi, la si vede già da distante, avvicinandosi al paese.
L'edificio è in pietra, in uno stile romanico senza fronzoli, tanto che più che una chiesa sembra quasi una fortezza (e in effetti è probabile che rivestì anche questo ruolo, perché quando venne costruita - intorno al IX secolo - i pirati saraceni imperversavano in queste zone, ed è quindi altamente probabile che la popolazione cercasse riparo nella chiesa durante le incursioni).
Il suo interno è sorprendente: totalmente in pietra, nudo e quasi grezzo, senza decorazioni, quasi una specie di cantina dalla volta altissima, dove forse in diversi punti le pietre avrebbero bisogno di qualche restauro. Quando ci ho messo piede ho immediatamente pensato che sarebbe stato un set perfetto per qualche scena di Pirati dei Caraibi...
Sotto l'altare è ben visibile una piccola scalinata, che porta alla piccola cripta sottostante. La cripta toglie davvero il respiro, in senso letterale: tanto è ampio e freddo l'interno di pietra della chiesa, tanto è ristretto, caldissimo e dalla volta bassa l'ambiente della cripta, pieno zeppo di candele accese e di persone che si recano a rendere omaggio alla santa.
Arrivando da fuori, per un attimo si fa davvero fatica ad abituarsi al caldo, poi tutto sommato si riesce a resistere il tempo di curiosare e fare qualche fotografia. Ciò che sorprende è la statua di Sara, letteralmente imbacuccata sotto strati e strati di vestiti coloratissimi, uno sull'altro, talmente spessi da nascondere la figura della statua stessa.
Noi abbiamo visitato la chiesa al principio di giugno, pochissimi giorni dopo lo svolgersi del pellegrinaggio degli zingari, e quindi nella cripta erano ancora freschi e ben presenti i ricordi della festa. Può darsi che in altri periodi dell'anno la statua sia meno ricca di decorazioni. In giro ci sono moltissimi ex-voto, fotografie e oggetti di chiara impronta gitana, lampade accese e violini appesi.
Risalendo gli scalini che portano alla navata superiore, si ritorna all'aria fresca e respirabile, e per un attimo si viene colpiti da una sensazione di quasi freddo, tanto dev'essere notevole l'escursione termica fra i due ambienti.
domenica 13 dicembre 2015
matisse e il suo tempo
Matisse e il suo tempo
Torino, Palazzo Chiablese
12 dicembre 2015 - 15 maggio 2016
Le opere in mostra a Palazzo Chiablese di Torino provengono dal Centre Pompidou di Parigi. Sebbene il titolo ponga in rilievo soprattutto Matisse, in realtà ci sono anche molti altri lavori di suoi contemporanei: un buon ritratto dello spirito del tempo dei primi anni del XX secolo. In totale si tratta di 50 opere di Matisse, e di altri 47 capolavori di artisti del calibro di Picasso, Renoir, Bonnard, Modigliani, Mirò, Derain, Braque, Marquet e Léger.
La scelta di indicare Matisse nel titolo della mostra è dovuta principalmente a un criterio quantitativo, anche se, come si può vedere, l'esposizione è ben più ricca. La mostra pone comunque un forte accento sulla carriera di Matisse, il cui stile pittorico ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte contemporanea.
Matisse, una delle personalità artistiche più affascinanti del Novecento, durante tutta la sua carriera è stato capogruppo dei fauves, osservatore critico del cubismo, discepolo di Signac, Renoir e Bonnard, rivale di Picasso, maestro d’accademia e infine precursore di un'arte che anticipa l’espressionismo astratto newyorkese.
Il percorso espositivo è articolato in dieci sezioni, organizzate secondo un percorso cronologico, che permette di scoprire Matisse fin dagli esordi fino ai suoi ultimi momenti, senza però dimenticare gli approfondimenti tematici:
- I “Moreau” (gli esordi di Matisse e i suoi legami d’amicizia con i condiscepoli dell’atelier di Gustave Moreau all’École des Beaux-Arts)
- Il periodo del Fauvismo
- Polo Nord – Polo Sud. Matisse e il Cubismo (la scoperta e lo scontro artistico con il Cubismo di Braque e Picasso)
- Gli anni di Nizza, riletture (le prime forme di Impressionismo)
- Il pitture delle odalische (il viaggio in Marocco e le influenze della cultura del luogo)
- Il desiderio della linea. Matisse e il Surrealismo
- Dipingere la pittura. Gli atelier di Matisse
- Matisse, Renoir e la “Danza” di Barnes
- Il Modernismo. La svolta degli anni Trenta
- Il lascito di Matisse all’Astrattismo. L’ultimo Matisse
Torino, Palazzo Chiablese
12 dicembre 2015 - 15 maggio 2016
Le opere in mostra a Palazzo Chiablese di Torino provengono dal Centre Pompidou di Parigi. Sebbene il titolo ponga in rilievo soprattutto Matisse, in realtà ci sono anche molti altri lavori di suoi contemporanei: un buon ritratto dello spirito del tempo dei primi anni del XX secolo. In totale si tratta di 50 opere di Matisse, e di altri 47 capolavori di artisti del calibro di Picasso, Renoir, Bonnard, Modigliani, Mirò, Derain, Braque, Marquet e Léger.
La scelta di indicare Matisse nel titolo della mostra è dovuta principalmente a un criterio quantitativo, anche se, come si può vedere, l'esposizione è ben più ricca. La mostra pone comunque un forte accento sulla carriera di Matisse, il cui stile pittorico ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’arte contemporanea.
Matisse, una delle personalità artistiche più affascinanti del Novecento, durante tutta la sua carriera è stato capogruppo dei fauves, osservatore critico del cubismo, discepolo di Signac, Renoir e Bonnard, rivale di Picasso, maestro d’accademia e infine precursore di un'arte che anticipa l’espressionismo astratto newyorkese.
Il percorso espositivo è articolato in dieci sezioni, organizzate secondo un percorso cronologico, che permette di scoprire Matisse fin dagli esordi fino ai suoi ultimi momenti, senza però dimenticare gli approfondimenti tematici:
- I “Moreau” (gli esordi di Matisse e i suoi legami d’amicizia con i condiscepoli dell’atelier di Gustave Moreau all’École des Beaux-Arts)
- Il periodo del Fauvismo
- Polo Nord – Polo Sud. Matisse e il Cubismo (la scoperta e lo scontro artistico con il Cubismo di Braque e Picasso)
- Gli anni di Nizza, riletture (le prime forme di Impressionismo)
- Il pitture delle odalische (il viaggio in Marocco e le influenze della cultura del luogo)
- Il desiderio della linea. Matisse e il Surrealismo
- Dipingere la pittura. Gli atelier di Matisse
- Matisse, Renoir e la “Danza” di Barnes
- Il Modernismo. La svolta degli anni Trenta
- Il lascito di Matisse all’Astrattismo. L’ultimo Matisse
domenica 5 aprile 2015
l'attesa per outlander è finita
Ci siamo, ci siamo! I sei mesi di attesa che ci hanno imposto tra le prime otto puntate e la ripresa della stagione sono finalmente arrivati al termine. A fine settembre sembrava un tempo impossibile da sopportare (è stato addirittura coniato l'hashtag #Droughtlander). E' stata durissima, ma per fortuna la produzione non ci ha lasciati da soli: ogni tanto arrivava una piccola dose di fotografie nuove, piccoli trailer, eventi a cui gli attori partecipavano e a cui seguivano vagonate di foto e filmati, tutti hanno continuato a essere presenti sui social, è stata rilasciata la colonna sonora originale con 13 meravigliosi brani strumentali. Insomma non ci hanno lasciati in astinenza completa.
Si sono curati di noi.
Commenti alla puntata 1x09 "The Reckoning"
L'episodio è incentrato su Jamie, stavolta è accompagnato dal suo punto di vista e non da quello di Claire (e questa è già una prima bella differenza rispetto al libro). I parallelismi con l'episodio 1x01, e con la narrazione di Claire, sono davvero molto evidenti e voluti (le frasi di Claire e di Jamie cominciano praticamente allo stesso modo: strange the things you remember...) I primi minuti ci mostrano Jamie al salvataggio di sua moglie dentro Fort William, con nuove musiche di Bear McCreary che sottolineano le atmosfere di pericolo. Le note di sottofondo sono sempre protagoniste importanti, non sono mai un semplice accompagnamento. Dopo la sigla iniziale c'è poi una bellissima scena post-sigla in cui Jamie "veste" il suo kilt. Queste scene sono sempre dei piccoli gioiellini, e di solito rappresentano pienamente il senso della puntata.
Fra le varie deviazioni rispetto al libro, ci sono sia le scene con Laoghaire, sia la questione con i due zii MacKenzie, che funzionano molto bene nell'economia complessiva della puntata.
Laoghaire che si avanti con Jamie, gli chiede spiegazioni e anzi gli si offre esplicitamente è creazione dello sceneggiatore (Matt Roberts) e non della Gabaldon (in questo punto della storia), ma è perfettamente coerente, perché tutti noi, lettori e telespettatori, sappiamo che potrebbe essere andata così. La scena è sensata. Mi lascia però un po' perplessa il fatto che Jamie riconosca che è stata lei a mettere i ramoscelli di cattivo augurio, rendendosi così conto della sua inclinazione alla vendetta nei confronti di Claire. Nei libri sembrava che Jamie non ne fosse consapevole - (spoiler alert!) anche perché altrimenti non si spiegherebbe perché, dieci anni dopo, si comporti con lei nel modo che noi lettori ben sappiamo, e odiamo...
La parte di Colum e Dougal ci mostra le divergenze tra i due fratelli attraverso gli occhi di Jamie (cosa che il POV di Claire non avrebbe potuto fare), e fa emergere le qualità di leadership e diplomazia di Jamie. Rispetto al libro, Colum riconosce apertamente con Jamie che avrebbe potuto essere lui il suo successore come laird: chissà se questo avrà ripercussioni future sulla trama?
E grazie a queste qualità, Jamie riesce a risolvere anche la frattura tra lui e Claire, derivata dalla punizione che le ha dato per aver messo in pericolo buona parte del gruppo con la sua disobbedienza. Jamie è abbastanza intelligente e di larghe vedute da sapere che non vuole una moglie sottomessa, che è importante ricucire il rapporto con sua moglie, e che stavolta deve piegarsi lui. Così come non aveva fatto voto di fedeltà a Colum, giura invece lealtà a Claire, facendo voto di non alzare mai più le mani su di lei.
Commenti alla puntata 1x09 "The Reckoning"
L'episodio è incentrato su Jamie, stavolta è accompagnato dal suo punto di vista e non da quello di Claire (e questa è già una prima bella differenza rispetto al libro). I parallelismi con l'episodio 1x01, e con la narrazione di Claire, sono davvero molto evidenti e voluti (le frasi di Claire e di Jamie cominciano praticamente allo stesso modo: strange the things you remember...) I primi minuti ci mostrano Jamie al salvataggio di sua moglie dentro Fort William, con nuove musiche di Bear McCreary che sottolineano le atmosfere di pericolo. Le note di sottofondo sono sempre protagoniste importanti, non sono mai un semplice accompagnamento. Dopo la sigla iniziale c'è poi una bellissima scena post-sigla in cui Jamie "veste" il suo kilt. Queste scene sono sempre dei piccoli gioiellini, e di solito rappresentano pienamente il senso della puntata.
Fra le varie deviazioni rispetto al libro, ci sono sia le scene con Laoghaire, sia la questione con i due zii MacKenzie, che funzionano molto bene nell'economia complessiva della puntata.
Laoghaire che si avanti con Jamie, gli chiede spiegazioni e anzi gli si offre esplicitamente è creazione dello sceneggiatore (Matt Roberts) e non della Gabaldon (in questo punto della storia), ma è perfettamente coerente, perché tutti noi, lettori e telespettatori, sappiamo che potrebbe essere andata così. La scena è sensata. Mi lascia però un po' perplessa il fatto che Jamie riconosca che è stata lei a mettere i ramoscelli di cattivo augurio, rendendosi così conto della sua inclinazione alla vendetta nei confronti di Claire. Nei libri sembrava che Jamie non ne fosse consapevole - (spoiler alert!) anche perché altrimenti non si spiegherebbe perché, dieci anni dopo, si comporti con lei nel modo che noi lettori ben sappiamo, e odiamo...
La parte di Colum e Dougal ci mostra le divergenze tra i due fratelli attraverso gli occhi di Jamie (cosa che il POV di Claire non avrebbe potuto fare), e fa emergere le qualità di leadership e diplomazia di Jamie. Rispetto al libro, Colum riconosce apertamente con Jamie che avrebbe potuto essere lui il suo successore come laird: chissà se questo avrà ripercussioni future sulla trama?
E grazie a queste qualità, Jamie riesce a risolvere anche la frattura tra lui e Claire, derivata dalla punizione che le ha dato per aver messo in pericolo buona parte del gruppo con la sua disobbedienza. Jamie è abbastanza intelligente e di larghe vedute da sapere che non vuole una moglie sottomessa, che è importante ricucire il rapporto con sua moglie, e che stavolta deve piegarsi lui. Così come non aveva fatto voto di fedeltà a Colum, giura invece lealtà a Claire, facendo voto di non alzare mai più le mani su di lei.
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