sabato 29 ottobre 2011

white collar

Ho scovato un altro telefilm piuttosto carino, che mi è piaciuto molto, e che mi ha tenuta incollata al video per circa una quindicina di giorni (tempo necessario per vedermi le prime due stagioni).Si tratta di "White Collar", serie americana di genere poliziesco, incentrata sull’insolito abbinamento tra un brillante artista della truffa, Neal Caffrey (Matthew Bomer), e un detective dell'FBI, Peter Burke (Tim DeKay), che si occupa dei cosiddetti crimini riguardanti i colletti bianchi (white collar, per l'appunto). E' un'espressione che si usa normalmente anche in italiano, e indica quei crimini economico/finanziari, truffe, furti d'arte, frodi in bilancio, etc... perpetrati soprattutto da persone di stato sociale medio alto e spesso nell'ambito della loro professione. Insomma, dopo tanti telefilm dedicati a squadre omicidi, narcotraffici e RIS, questo riempie un altro settore che ancora mancava :-)

La storia non sarà il massimo dell'originalità, ma è piuttosto avvincente. Se poi servisse anche un motivo estetico per seguire il telefilm, basta pensare agli occhi e alla presenza fisica dell'attore che interpreta Neal (anche se voci di gossip - che pare proprio siano fondate - dicono sia gay... ma tanto a noi 'sta cosa non ci cambia la vita, no?).

Nel pilot della prima stagione, Neal Caffrey, giovane e affascinante mago della truffa, finito in prigione dopo tre anni di ricerca da parte dell’FBI, riesce ad evadere. Viene richiamato Burke, che l'aveva catturato in passato, il quale in poche ore riesce a rintracciarlo. Neal prima di ritornare in prigione dà informazioni importanti a Burke e si offre come consulente per aiutarlo a catturare un criminale. In cambio Neal ottiene il rilascio sotto la custodia dell'agente Burke e dell'FBI. L'accordo si rivela azzeccato e funzionante, e Neal diventa a tutti gli effetti "consulente" civile per l'FBI.

Il rapporto fra Caffrey e Burke si rivela da subito perfetto: furbo e divertente uno, con l'aria scanzonata ma affascinante, serioso e un po' cinico e un tantino arrogante l’altro. Ma l'alchimia funziona, e nel corso delle puntate nasce un vero e proprio rapporto di affetto e amicizia. Intorno a loro gravitano personaggi indovinatissimi come Elizabeth, la moglie di Burke, che prende subito in simpatia Neal, e Mozzie, l'amico truffatore di Neal (i cui interpreti ce li ricordiamo, rispettivamente, in "Beverly Hills 90210" e in "Sex and the city").

giovedì 20 ottobre 2011

diari bestiali

Dal diario di un cane:

8:00 - Cibo ! La mia cosa preferita !
9:30 - Un giro in macchina ! La mia cosa preferita !
9:40 - A spasso nel parco ! La mia cosa preferita !
... 10:30 - Coccole ! La mia cosa preferita !
12:00 - Pranzo ! La mia cosa preferita !
13:00 - Giochi in giardino! La mia cosa preferita !
15:00 - Scondizolo ! La mia cosa preferita !
17:00 - Merenda ! La mia cosa preferita !
19:00 - Si gioca a palla ! La mia cosa preferita !
20:00 - Wow! Guardo la tv con mamma e papà ! La mia cosa preferita !
23:00 - A nanna nella cuccia ! La mia cosa preferita !

Dal diario di un gatto :

Giorno di prigionia numero 983.
I miei guardiani continuano a prendermi per il culo con dei piccoli oggetti ciondolanti.
L'unica cosa che mi aiuta ad andare avanti è il mio sogno di scappare. Nel tentativo di disgustarli, vomito ancora sul tappeto.
Oggi ho decapitato un topo e ho gettato il corpo senza testa ai loro piedi. Speravo che ciò li terrorizzasse, perchè è la prova di cosa son capace di fare. Comunque, hanno fatto un piccolo commento su che "bravo piccolo cacciatore" io sia. Bastardi.
Oggi son quasi riuscito ad assassinare uno dei miei tormentatori passandogli in mezzo ai piedi mentre camminava. Devo riprovarci domani, però in cima alle scale.
Sono convinto che gli altri prigionieri siano lecchini e spie. Il cane ha sempre dei privilegi speciali. Viene regolarmente rilasciato, e sembra pure che voglia tornare. Ovviamente è un ritardato.

L'uccellino dev'essere un informatore. Lo osservo mentre comunica con le guardie regolarmente. Son sicuro che riferisce ogni mia singola mossa. I miei guardiani l'hanno messo in custodia protettiva in una cella in alto, così è al sicuro, per ora... Vi terrò aggiornati.

lunedì 17 ottobre 2011

moda italiana

Moda in Italia. 150 anni di eleganza
17 settembre 2011 - 8 gennaio 2012 (prorogata al 29 gennaio)
Reggia di Venaria, Torino


Nello scorso weekend ho visitato una bella ed interessante mostra alla Reggia della Venaria. L'esposizione racconta la storia della moda in Italia dal 1861 ad oggi. E' divisa in due parti (presentate su due piani) affidate rispettivamente alla direzione artistica della costumista premio Oscar Gabriella Pescucci e del direttore di Vogue Italia Franca Sozzani.

Lungo le sale veniamo accompagnati da un suggestivo gioco di specchi tra arti figurative, fotografie, musica e cinema, che ci guidano in un viaggio lungo i 150 anni di stile italiano. Le musiche e le immagini sono legate al periodo presentato nella sala, mentre se devo essere sincera non mi sono accorta per nulla del percorso olfattivo (o mi sono assuefatta appena entrata nella prima sala, oppure il raffreddore stava covando... mah? - comunque mi è stato assicurato che esiste anche quello...)
Il percorso di visita è organizzato per decenni e per temi, e si suddivide in otto sezioni.


Verso l'Unità, tra storia e romanzo
La mostra parte dall'Unità d'Italia e dall'epopea del Risorgimento. Il 1861. Il Romanticismo aulico che ispira le gesta di quegli anni si esprime nell'eleganza soave della dama romantica, stretta nel busto e avvolta nella lusseureggiante gonna sorretta dalla crinolina, oggetto emblema di un'epoca. Una femminilità distante ed eterea, di ispirazione aristocratica, pervade le prime sale tra abiti originali e costumi del grande cinema di Luchino Visconti.
Le prime tre sale ospitano rispettivamente un abito da sera originale della Contessa di Castiglione, e due riproduzioni "filmiche": l'abito bianco da ballo di Claudia Cardinale ne "Il gattopardo" e l'abito scuro da viaggio di Alida Valli in "Senso".

L'Italia diventa regno
Dopo il 1870 e maggiormente nell'età umbertina (1878-1900) la figura femminile evolve e con essa muta l'approccio alla vita sociale. La donna borghese è sinuosa e vitale grazie alla silhouette offertale dalla tournure (struttura per rigonfiare le gonne) che punta sugli aspetti maggiormente sensuli, come fianchi e retro. Il preziosismo della nuova cultura esteta importata in Italia da D'Annunzio e il gusto decadente creano l'immaginario sofisticato della cosiddetta fin de siecle.
In mostra ci sono un manto regale della regina Margherita, un suo abito, le divise dei gentiluomini di corte.


L'Italia della Belle Epoque
Il primo 900 è un'età nevrotica e brillante per l'ansia di vita che traspare e il presagio della fine di un mondo. La moda è conservatrice, sempre ancorata a busti e sottane, però eclettica, preziosa, severa e volutamente non rivolta ai più. Decori presi da ogni epoca e stile, ispirazioni dettate dal colonialismo o dalla fantasia ispirata all'opera lirica di Giacomo Puccini, profili innaturali e femminilità vistose rappresentano una vivacità culturale densa di simboli.

Futurismo
Nel 1919 a Firenze il futurista Thayat realizza la tuta da lavoro, pensata per tutte le occasioni, anche eleganti, determinando così un percorso di sperimentazione tra moda e arte. Tripudio di colori in panciotti sgargianti, dinamica praticità del taglio e modernità delle asimmetrie oltre che rifiuto delle costrizioni borghesi (la cravatta per esempio) si esplicano con freschezza in queste creazioni perché, come disse Giacomo Balla "si pensa e si agisce come si veste".

Tra due guerre mondiali
La Grande Guerra cambia il volto all'Europa e la moda, come quasi tutte le arti applicate, cambia anch'essa identità. Sparisce il secolare busto, mentre il cinema muto ispira nuovi canoni di bellezza: capelli corti, linee appena accennate da abiti semplicissimi quanto sgargianti, bellezze acerbe. Negli anni '30 l'atmosfera si incupisce e la donna diventa diva fatale: profili androgini e abiti a sirena per la sera, carattere militaresco per il giorno. Si sviluppa nell'Italia fascista l'interesse per le fibre sintetiche, come la viscosa, prodotta per lungo tempo a Venaria (Snia Viscosa).
Sono esposti una divisa militare di D'Annunzio, abiti di Eleonora Duse, numerosi abiti di stile charleston degli anni '20, abiti degli anni '30-'40, italiani e tedeschi

La Repubblica e la rinascita della moda italiana
"Riprendere a sognare per riprendere a vivere" asseriva Dior che nel 1947 con il suo new look aveva riproposto un modello di donna ormai dimenticato: vitino stretto, tacchi a spillo e gonna a crinolina, inarrivabile ai più, ma sufficiente a fare dimenticare gli orrori e le privazioni recenti. Nel 1951 a Firenze il verbo francese dell'eleganza si traduce per la prima volta in italiano. L'esperimento funziona e nascono gli stilisti, autori delle creazioni rese celebri nelle pellicole della Hollywood sul Tevere, che mostrarono la rinascita e le bellezze italiane al mondo.
La mostra prosegue al piano superiore, e propone, fra gli altri, abiti delle sorelle Fontana, abiti delle dive cinematografiche degli anni '50-60: Audrey Hepburn, Liz Taylor, Ava Gardner (con il "pretino", un tailleur di foggia vescovile), scarpe di Ferragamo realizzate per Marylin Monroe.


Sartorialità
Dagli anni '60 lo stile italiano si fa unico nel mondo. L'eleganza data dalla maestria nella confezione e dalla creatività dei primi grandi stilisti creano un gusto unico e inconfondibile nelle sue firme. Il rosso di Valentino, il taglio scultura di Capucci, l'esuberanza di Versace, l'eleganza di Armani rappresentano un carattere di autorialità sartoriale impossibile da eguagliare.

1970/2011
La moda approda a Milano. Scandalo e sperimentalismo degli anni '70. Neo conservatorismo e stile rampante per gli anni '80. Eleganza minimale e del dettaglio per i '90. Creatività che si concede ai più nel mercato globale del post 2000. Nel suggestivo Teatro delle Commedie della Reggia, un'installazione che riproduce la passerella di una coloratissima sfilata raccoglie i capolavori delle più grandi firme della moda italiana.

venerdì 14 ottobre 2011

jane eyre


Ieri sera ho visto il nuovo adattamento cinematografico di "Jane Eyre", che rimane, pur a tanti anni dall'ultima volta in cui l'ho letto, uno dei miei libri preferiti e più cari. Nei giorni scorsi avevo letto in giro sul web delle recensioni di spettatrici che erano rimaste un po' deluse da questa nuova versione, e soprattutto dal Rochester interpretato da Michael Fassbender. Partivo quindi con qualche paura, ma alla fine devo dire che questa versione non mi è dispiaciuta, tutt'altro.

Più gotica e cupa delle precedenti, questa rilettura filmica si apre con la fuga di Jane da Thornfield, dopo il mancato matrimonio, e procede a raccontare tutta la storia precedente - anni infantili a Longbourn inclusi - in forma di flashback.
E' sicuramente difficile infilare tutto il libro in due ore esatte, e infatti secondo me alcuni passaggi sono stati talmente solo accennati che, se non si è letto il libro, vanno persi (ad esempio la malattia della piccola Helen, il fratello di Bertha). Comunque le atmosfere riprodotte sono fosche al punto giusto, con una Thornfield Hall illuminata dalle luci delle candele, popolata da voci lontane, pavimenti scricchiolanti e tendaggi svolazzanti, boscaglie nelle quali compare improvvisamente un nero destriero e brughiere attraverso cui giunge la voce perduta di Rochester.

Rispetto al precedente film di Zeffirelli, ho trovato un po' affrettato e scarsamente elaborato l'avvicinamento iniziale fra Jane e Rochester (non vi ho avvertito molta tensione) ma mi sono ugualmente emozionata soprattutto nella seconda parte.

Se siete amanti di Jane Eyre, questo film va sicuramente visto. Da parte mia penso proprio che nei prossimi giorni mi riguarderò anche le precedenti versioni (quella di Zeffirelli e quella dello sceneggiato BBC 2006).
Jane Eyre - la recensione del film
(di Federico Gironi, ComingSoon)


Americano, madre svedese e padre giapponese, Cary Fukunaga aveva all’attivo il grande successo indipendente di Sin Nombre, ovviamente inedito in Italia, quando ha deciso di cimentarsi nell’impresa di un nuovo adattamento cinematografico del celebre romanzo vittoriano di Charlotte Brontë.
Imbattutosi nel copione scritto dalla sceneggiatrice di Tamara Drewe, Moira Buffini, Fukunaga ha fin dall’inizio dichiarato di voler lavorare con attenzione sui risvolti gotici della storia, dell’ambientazione e dei personaggi: e i risultati confermano queste intenzioni.

Il suo Jane Eyre è lontanissimo dalla celebre versione di Robert Stevenson interpretata da Joan Fontaine e Orson Welles, così come dal più recente degli adattamenti, quello diretto da Zeffirelli con Charlotte Gainsbourg e William Hurt. Eppure rimane coerentissimo alla sua matrice letteraria, con un afflato di fedeltà che travalica le mere circostanze narrative.
Ricalcando la ricchezza interiore e il rigore formale del personaggio che gli da il titolo e di cui narra la parabola di vita, il film di Fukunaga si aggrappa alla ruvida e gelida materialità dei luoghi e di certe mentalità, ma lascia anche spirino folate di spiritualità, di mistero e di passioni.
Di spiriti, la Jane Eyre interpretata da una Mia Wasikowska che recita con la sordina e colpisce al cuore con le frequenze basse della sua ottima performance, parla fin dall’inizio. Spiriti, rumori, misteri, presagi e voci nella brughiera che rispecchiano l’irrazionale incontenibile delle passioni del cuore e della mente, che sembrano provenire dai racconti che si facevano Byron, Shelley e Polidori chiusi dalla villa di Diodati. E allora non appare un caso o un vezzo che il Rochester di Fassbender sia un personaggio decisamente byronesco: scapigliato, inquieto e volatile, quasi più rockstar ante litteram che poeta maledetto.

L’amore tra i due, di conseguenza, o come causa, è allora più viscerale e appassionato di quanto il cinema ci abbia abituato a vedere, più ossessionante nella sua irrinunciabile natura. Per questo, più centrale e dominante rispetto alle altre sfumature della storia.
Eppure, quello di Fukunaga non è un film "caldo": perché, proprio come fatto da Andrea Arnold nell’altro recente adattamento brontiano, quello di "Cime tempestose", dimore e brughiere sono messe in scena in tutta la loro ostica natura, in una nudità che non nasconde il buio, il freddo, lo scomodo e il doloroso. Ma rispetto a Wuthering Heights, Jane Eyre si perde meno nella ricercatezza fotografica che quasi contraddice la natura dura e pura dello sguardo, concedendosi un’eleganza pittorica mai levigata, nella quale il segno del pennello e della fatica son sempre percepibili.

Una fatica che è quella sopportata da Jane, fisica e morale, in qualsiasi contesto la mostri il film: dalla casa della zia Reed a quella solo in apparenza più ospitale di St.John Rivers, passando per la scuola Lowwood. E, ovviamente, in una Thornfield Hall mai così oscura e stregata, i cui cupi e monotoni corridoi s’illuminano solo al passare della Wasikowska.
Flebilmente ma intimamente, come quei rossori che balenano sulle guance dell’attrice che scaldano e coinvolgono perfino lo spettatore.

lunedì 10 ottobre 2011

contiamoci tutti...

Ho scoperto soltanto ieri che esistono due versioni diverse del modulo per il Censimento Istat, una rossa e una verde. E io che pensavo che invece venissero chieste a tutti le stesse cose: credevo sarebbe stato più logico.
La versione completa del questionario è di colore rosso, quella breve di colore verde. La versione completa contiene una serie di quesiti di natura socio-economica che sono stati omessi nella versione breve. Ai cittadini potrà arrivare dunque l'uno o l'altro modello sulla base di una metodologia campionaria decisa dall'Istat.
"Nei Comuni fino a 20mila abitanti - spiegano dall'istituto nazionale di statistica - tutti i residenti riceveranno il questionario rosso, quello più complesso, mentre nei Comuni oltre 20mila abitanti i 2/3 dei residenti riceveranno il questionario verde e 1/3 quello rosso".

A me ovviamente è arrivato il modulo rosso, che oltre al resto mi chiede, ad esempio, il numero dei cellulari che possiedo, il tipo di connessione ad Internet, il numero di posti auto, il numero di docce e/o vasche da bagno, quanto tempo ci impiego ad andare al lavoro/scuola e che tipo di mezzo utilizzo, se ho dei deficit visivi o motori (almeno su quest'ultima posso invocare la privacy e non rispondere), etc...
Tutte queste domande sul modulo verde non ci sono.

Quello che mi dà potenzialmente fastidio è che, se non rispondessi a "queste" domande (o le sbagliassi palesemente), sarei soggetta a una sanzione, mentre chi ha ricevuto il modulo verde non vi risponde (proprio perché "queste" domande non gli vengono sottoposte). Parlando di possibili multe, credo che dovremmo essere messi tutti nella stessa condizione di partenza, vale a dire: tutti con le medesime domande, con lo stesso modulo.
Non capisco proprio quale senso statistico e metodologico abbia l'utilizzo di un modulo normale e di uno ridotto...