mercoledì 16 febbraio 2011

the king's speech

Mi sono presa il pomeriggio di permesso - tanto ho un sacco di ore da consumare che altrimenti perdo - e me ne sono andata al cinema a vedere "Il discorso del re" (The king's speech). Sono andata al cinemino a due passi dall'ufficio, che proponeva la pellicola in lingua originale con i sottotitoli in italiano (pur sempre necessari, perché senza di loro non me la sarei cavata completamente...)


Bello, bello, quasi commovente in molti passaggi. Bravissimi Colin Firth, Geoffrey Rush e Helena Bonham-Carter. Perfetta fusione fra le difficoltà psicologiche di Bertie, che si manifestano nelle sua balbuzie, e gli aspetti pubblici dell'essere un re (o anche soltanto il "semplice" duca di York). Ho letto che anche la regina Elisabetta, alla quale il film è stato proiettato prima che uscisse nelle sale, l'ha apprezzato molto.

p.s. Ho scoperto solo nei titoli di coda che Jennifer Ehle interpretava la moglie di Logue: accidenti, non l'ho minimamente riconosciuta, anche se l'attrice mi pareva familiare... e dire che lei e Colin Firth sono stati la coppia Elizabeth/Darcy nella mitica trasposizione BBC di "Orgoglio e Pregiudizio" del 1995!

Niente sembrava aprire a Albert Frederick Arthur George Windsor, duca di York, la via della corona inglese: era il secondogenito di re Giorgio V (nato un anno dopo Edward Albert Christian George Andrew Patrick David Windsor) e soprattutto era funestato da una balbuzie che l’esplosione della radio nel primo dopoguerra del Novecento sembrava rendere ancor più drammatica e popolare. Eppure le cose presero una ben diversa piega perché, salito al trono con il nome di Edoardo VIII, Edward Albert eccetera eccetera preferì agli onori del trono le grazie della divorziata statunitense Wallis Simpson (americana e separata: due macchie indelebili per chi avrebbe dovuto essere anche il capo della Chiesa Anglicana), abdicando a favore del fratello minore. Che si trovò ad affrontare, oltre alle sue balbuzie, anche la Seconda guerra mondiale.

E proprio questi due «eventi» - la diffusione della radio e lo scoppio della guerra - sono quelli che racchiudono la parabola di Il discorso del re di Tom Hooper (nessuna parentela con il quasi omonimo ma più vecchio Tobe), a sottolineare ancora di più come privato e politico, pubblico e psicologico si intrecciano indissolubilmente. Specie nel secolo che ha «inventato» le comunicazioni di massa. Perché anche se la maggioranza delle scene si svolgono al riparo da occhi indiscreti, nelle stanze reali o in quelle, ben più povere, del «logopedista» Lionel Logue, è solo il senso di questo soffocante incombere (della Storia e della Dignità regale) che può spiegare e giustificare le azioni di tutti. Un «peso» che l’inglese e aristocratico Albert non sembra disposto a riconoscere e che invece l’australiano e plebeo Logue - e lo spettatore con lui - capiscono immediatamente.

Così la bella sceneggiatura di David Seidler diventa una specie di inchiesta psicologica dentro le tante contraddizioni di un uomo che non sembra prendere minimamente in considerazione l’ipotesi di essere stato schiacciato dall’educazione, dalla tradizione, dal padre, dal regno, dal dovere, dalla radio, da tutto. Mentre il suo «antagonista» deve cercare di farglielo capire, sbarazzandosi di tutti questi ostacoli che finiscono per bloccargli le parole in bocca. Come in una specie di braccio di ferro tra i primi e gli ultimi, la classe reale e i discendenti dei deportati nelle colonne penali australi. Tutto questo, naturalmente, senza che sia mai detto esplicitamente ma solo fatto intuire da tanti piccoli particolari, che sceneggiatore e regista disseminano lungo il film (l’attimo di imbarazzo di Elizabeth Bowes-Lyon, futura Elisabetta II, che si aspetta che qualcun altro faccia funzionare l’ascensore al suo posto; i convenevoli del tè a casa Logue) e che aggiungono più complessi livelli di lettura alla lotta di un uomo pubblico contro il suo handicap.

Per dare maggior forza a queste idee, Hooper sceglie una messa in scena frontale, spesse volte con macchina fissa, utilizzando obiettivi leggermente deformanti, così da accentuare il senso di accerchiamento che «il mondo» esercita sul futuro Giorgio VI. Un mondo complesso e contraddittorio, a volte urticante, come quello che il fratello raccoglie nel suo castello insieme all’amante Wallis Simpson e che come per incanto sparisce quando il principe balbuziente segue il percorso riabilitativo di Logue. Allora la scena ridiventa spoglia, come se il disadorno studio del logopedista fosse una specie di metafora del mondo interiore del futuro re Giorgio: senza niente a cui «aggrapparsi» o dietro cui «difendersi», dove persino i disegni e i colori alle pareti sono di difficile decifrazione. Mentre le richieste dell’insegnante sembra voler distruggere ogni «equilibrio» (il principe di York deve sdraiarsi, cantare a squarciagola, dire parolacce: cioè spogliarsi delle sue attitudini regali).

Una messa in scena minimale che si può reggere solo su una eccezionale prova d’attore. E Colin Firth (Giorgio VI), Geoffrey Rush (Lionel Logue) ed Helena Bonham Carter (Elisabetta II) sono davvero superlativi: Firth (già premiato col Golden Globe e seriamente favorito all’Oscar) e Bonham Carter restituiscono dallo schermo tutte le sfumature di una coppia regale che è costretta a confrontarsi con il mondo della concretezza quotidiana, fuori dai cancelli di Buckingham Palace; mentre Rush sa far trasparire, dietro il rispetto e l’educazione che si deve alla famiglia reale, quel tanto di rivalsa «psicologica» che l’Inghilterra del primo Novecento sta coltivando verso i suoi sovrani. Un gioco di sguardi, di allusioni, di inchini e sorrisi che raccontano meglio di tanti discorsi le due velocità a cui stava avanzando il Paese e che la minaccia della guerra saprà riunire in un fronte comune.

Offrendo così al sovrano l’occasione di ritrovare un comune sentire insieme a un eloquio finalmente non più tartagliante.

(Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 24 gennaio 2011)

4 commenti:

  1. me l'hanno consigliato con calore proprio qualche giorno fa... chissà se riuscirò mai a vederlo :D

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  2. Vai a vederlo, mi unisco anch'io a chi te lo ha consigliato. Se ne hai la possibilità guardalo in originale, ci sono molte sfumature che nel doppiaggio immagino vadano perse.

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  3. noooo! lo sai che mi sembrava di conoscerla ma non riuscivo a capire dove l'avevo vista??? Mr.Darcy ed Elisabeth di nuovo insieme!!! Che bello......

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  4. Anche io ho visto un film uscito da poco, ma è stato deludente, Burlesque. Questo invece mi intriga, soprattuto perchè Colin Firth è nella mia top 5 dei bonazzi in circolazione, ah ah ah....ma mi piace moltissimo anche Helena Bonham Carter, un'attrice superba.
    Ho notato la locandina l'altro giorno e mi sono ripromessa di andarlo a vedere al cinema e non in streaming, come anche Black Swan, mi piace la Portman e la trama premette bene. Un paio di film che vedrò volentieri.

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