lunedì 16 gennaio 2017

every breath you take

Judith McNaught, Every breath you take, Ballantine Books, 2006

Gli ingredienti dei libri della McNaught sono sempre gli stessi: lui ricco e potente, lei giovane e tendenzialmente innocente, spesso c'è un cane fra i comprimari, e poi - immancabile - c'è il grande fraintendimento, un misunderstanding che tiene lontani i due protagonisti prima di arrivare al lieto fine.
E anche stavolta è così, ma per amore dei vecchi tempi (la McNaught è una fra le prime autrici romance che ho letto da ragazzina) avrei anche potuto passarci sopra e dare un voto più alto al libro, invece di attribuirgli tre stelline su cinque. Però non lo faccio, perché dopo una prima metà del libro che ho trovato molto buona, la seconda metà mi ha delusa.

A partire dai tempi della narrazione: la prima metà racconta lo svolgimento di due soli giorni nella vicenda, la seconda invece mette l'acceleratore e arriva quasi a tre anni dopo, in maniera poco armonica e sbilanciata.
Senza contare che il grande fraintendimento è davvero idiota e futile (sarebbe bastata una telefonata per evitarlo: è impossibile pensare che al giorno d'oggi, e anche nell'anno 2005 in cui è stato pubblicato il libro, due che stanno insieme per due giorni non si scambino i rispettivi numeri di cellulare) e trascinato troppo a lungo.

Sembra quasi che le due metà della storia siano state scritte da due mani diverse, o che la seconda metà sia stata scritta in maniera più sciolta giusto perché c'era bisogno di finire il libro. E nemmeno la parte thriller è ben amalgata col resto.

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