martedì 28 dicembre 2010

una donna a berlino

Non conoscevo questo libro. Non ne avevo mai sentito parlare sino a quando non ne ho letto sul blog della Francy, che si riferiva all'edizione inglese. Ma ho scoperto che il libro è stato pubblicato anche in italiano (Einaudi, 2004), e sebbene al momento non sia disponibile a catalogo, sono riuscita a trovarlo abbastanza facilmente in biblioteca.
Il diario dell'anonima trentenne berlinese, steso nei giorni terribili fra il 20 aprile e il 22 giugno 1945, costituisce una delle rare testimonianze tedesche sugli ultimi drammatici mesi di guerra e sul crollo finale del nazismo. Pubblicato prima in inglese, negli Stati Uniti nel 1954 e in Inghilterra l'anno successivo, quindi tradotto in gran parte dell'Europa (nel 1957 si ebbe la traduzione italiana per Mondadori) e in Giappone, solo nel 1959 apparve in lingua originale, grazie a una piccola casa editrice svizzera. In Germania, come ricorda Enzensberger nell'introduzione scritta appositamente per questa nuova edizione italiana, il diario fu accolto con infastiditi silenzi quando non con vera e propria ostilità, tanto che l'autrice, una giovane giornalista, si oppose in seguito a ulteriori ripubblicazioni nel proprio paese, sin quando lei fosse stata in vita (l'autrice è morta nel 2001).
Le pagine del diario raccontavano infatti, senza alcun cedimento al vittimismo, il crollo improvviso di un'identità collettiva e il persistere, pur nel crollo, tanto di antichi pregiudizi quanto dei più recenti temi della propaganda nazista, primo fra tutti il sentimento antirusso.

Atroce. L'ho trovato atroce, ma nel senso che non riuscivo a staccarmi da queste pagine e ho finito di leggerle tutte in un giorno e mezzo. Un lucido e consapevole diario di due mesi di vita, di sopravvivenza a cavallo dell'occupazione di Berlino da parte dei russi vincitori. I giorni che noi italiani siamo abituati a pensare come quelli della "Liberazione", per i tedeschi sono stati vissuti diversamente. E dalle donne tedesche in particolare, anch'esse eterne vittime dei vincitori di una guerra.
Ciò che in tempo di pace viene giustamente considerato un crimine orrendo contro un'altra persona, in tempo di guerra viene quasi visto come "normale" diritto di un soldato vincitore. La donna appartenente alla popolazione vinta non è più vista come una persona ma come una cosa "di": la donna "del" nemico, la donna "del" vinto, la donna "del" perdente, e come tale trattata, come un oggetto di proprietà che adesso si può usare a proprio piacimento, vero e proprio bottino di guerra. Rispetto per un altro essere umano, kaputt!
L'autrice non si lamenta, registra appena le è possibile ciò che sta avvenendo, ma lo fa senza vittimismi, senza lamentarsi, senza sopportarlo passivamente. "Vomitare" su carta ciò che le succede serve per riuscire a lasciarselo alle spalle, per uscirne "sana" - per quanto ciò sia possibile.
Il suo livello culturale la porta anche a considerare e giudicare in maniera critica e distaccata le "relazioni" con l'altro sesso dei soldati e degli stessi ufficiali russi.
Un libro forte, che senza essere urlato né fragoroso ti dà un bel pugno nello stomaco...

3 commenti:

  1. sono contenta che sia piaciuto anche a te.... Sei la seconda che ho "costretto" a leggere. Se certe cose le leggessero tutti, forse avremmo una miglior coscienza collettiva della violenza.

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  2. Fra, ho appena scoperto che ne hanno anche tratto un film, lo sapevi? "Naturalmente" in Italia non è uscito...
    http://www.imdb.it/title/tt1035730/

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  3. Un libro da leggere assolutamente... grazie per la bella recensione. Ora vado ad informarmi sul film...

    Gioiosi auguri per il 2011

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